Daniele Cortis/Capitolo secondo: differenze tra le versioni

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==__MATCH__:[[Pagina:Daniele Cortis (Fogazzaro).djvu/25]]==
 
<div align="center">'''UNA COSA GRAVE'''</div>
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“D’un orso grigio, zio.”
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Invece di rispondere il conte Ladislao trasse di tasca uno specchietto e si avvicinò alla finestra.
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Egli si pose a canterellare il motivo della pastorale con una voce dolce, intonatissima, piena di sentimento.
 
“Non ho voglia, stasera, di suonare”.
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“NonNon ho voglia, stasera, di suonare”.
 
“Perché?”
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“Filosofo, lui!”
 
Restò pensoso un momento, poi scattò in piedi gittando via la sigaretta, andò ad afferrar per le
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tempie Elena, che tentò, con alterezza involontaria, rialzar la testa.
 
“Senti” diss’egli curvandosela a forza sul petto: “hai una gran canaglia di marito.” Le chinò le labbra sui capelli e disse sottovoce:
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“E allora, perché hai detto di sí? Ti giuro che se c’ero io non lo dicevi!”
 
“Oh, signor zio!” diss’ella con alterezza. Sdegnava di parlare, di dire che aveva accettato il primo
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marito offertole, perché certi intrighi di sua madre non le piacevano.
 
“E adesso” proruppe “cosa c’è di nuovo? Che orribili cose ha fatto mio marito? Vi avrà chiesto un po’ dei vostri danari, già. Sarà per questo che la mamma ha le malinconie e tu le convulsioni”.
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Il conte afferrò a due mani lo sgabello su cui stava seduto e si girò di netto.
 
“Oh lo so” diss’egli “e mi dirai poi cosa sono i tuoi discorsi. Non ti fa niente a te che tuo marito, dopo essersi giuocata la roba sua e la tua, pazienza! si voglia giuocare anche la nostra? Non ti fa niente
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a te che venga qui a fare il prepotente, a pretendere del danaro che non gli spetta, a dire che tu spendi e spandi...”
 
“Può essere” disse Elena, fredda.
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“Sapevo che mio marito ha bisogno di danari. Prima di venir qua, mi ha pregato, alla sua maniera, di domandarvene. Io gli dissi che lo lasciavo perfettamente libero di trattar lui con voialtri come voleva, ma che, per conto mio, non vi avrei detto una parola.”
 
“Chi sa che scena ti avrà fatto!”
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“ChiChi sa che scena ti avrà fatto!”
 
“Scena? Non me ne ha parlato piú. Non me ne fa, scene.”
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Elena non rispose.
 
“Scusami” ripigliò suo zio. “È una cosa che riguarda lui solo. Non posso parlare.”
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“Scusami”Scusami” ripigliò suo zio. “È una cosa che riguarda lui solo. Non posso parlare.”
 
Ella si pentí d’aver palesato quelle due parole di suo cugino che potevano attestare un’amicizia, molto intima e confidente. A un tratto tese l’orecchio, s’avvicinò alla finestra e l’aperse. Una gran voce d’acqua corrente entrò nella camera.
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“La sa, noialtri si deve star col papa; direttamente non si può far nulla. Non expedit. Io se avessi cento voti e potessi votare, certo non ne darei uno solo a questo signore qui, e sarò molto contento se farà un bel fiasco. Ma ho paura, perché qui votano tutti per lui. Quello che possiamo far noi è di persuaderne qualcuno a star a casa. Ma poi...”
 
“Anniamo, anniamo avantI” disse il senatore. Non gli garbava che si parlasse forte di queste cose tanto vicino a casa. Ma in quel momento Elena lo chiamò dalla finestra.
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“AnniamoAnniamo, anniamo avantI” disse il senatore. Non gli garbava che si parlasse forte di queste cose tanto vicino a casa. Ma in quel momento Elena lo chiamò dalla finestra.
 
“Carmine!”
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“Basta” diss’egli.
 
Elena era ben sicura di quel virile cuore, tanto leale, tanto caldo sotto un’inerzia lunatica, nata da
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qualche difetto segreto dello spirito, favorita dalle tradizioni nobiliari, cresciuta con l’abitudine, sancita da sofferenze reali nel corpo o nella immaginazione, confermata dallo scetticismo amaro dell’uomo come degna del mondo e di lui.
 
Un domestico venne a vedere se il signor Daniele avesse dimenticato lí i suoi guanti.
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“Mi fa piacere, Grigiolo, di avvertire la mamma che sono uscita un momento con Daniele?”
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Elena parlava sorridendo, con la piú franca indifferenza.
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L’altro, a corto di scuse, masticò un bene soddisfatto, pieno di pigrizia e di sonno anticipato. Ma Cortis, fosse perché non comprendeva neppure queste mollezze, fosse perché aveva il capo ad altro tenne la cosa per ferma e, congedato il giovane, si voltò ai grandi occhi gravi che lo interrogavano.
 
Rispose loro con uno sguardo pur grave e lungo. Né l’uno né l’altra parlarono. Dopo momenti che a lui parvero eterni s’incamminarono tutti e due, adagio, verso il portone, per un tacito consenso non sapendo chi si fosse mosso prima. Giunsero in silenzio all’aperto
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dove una stradicciuola corre a destra le praterie verso Villascura e casa Cortis, un’altra scende a sinistra nel fragore del Rovese, in faccia alle nude scogliere imminenti del monte Barco, una terza va diritta a tre grandi abeti che dal ciglio d’un pendío fronteggiano la vallata. Elena trepidò pensando che forse suo cugino avrebbe preso a destra, verso casa sua. Potrebbe seguirlo ancora, in questo caso, costringerlo, quasi, a parlare? Egli tirò avanti diritto, verso gli abeti. Le balzò il cuore, una vampa le salí al viso.
 
“Cara Elena” disse Cortis.
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“Oh!”
 
La giovane signora arrossí, come se in quell’oh
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avesse inteso ricordarsi, con affettuoso rimprovero, tante cose intime, tanti segni d’un’amicizia piú sentita che espressa. Ritirò la mano e disse timidamente:
 
“Scusa.”
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“Senti” diss’egli. “Tu sai cosa vi è stato di triste, molti anni or sono, in casa mia?”
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Ella si ricompose, dimenticò la sua domanda stordita di prima e rispose pronta: “Lo so.”
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“Che vuoi?” disse Cortis. “Non so ancora niente. Finora non ho che una lettera.”
 
“Di lei?”
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“DiDi lei?”
 
“No, di una signora che vive con lei.”
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“Oh sí, va!” esclamò Elena facendoglisi vicina. “Pensa quanto avrà sofferto? Ci andrei io se potessi!”
 
“Tu? E se non avesse sofferto niente?”
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“TuTu? E se non avesse sofferto niente?”
 
Elena trasalí, sorpresa.
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“Parti domattina?”
 
“Sí,
“Sí, cara. Come tremano tutti, questi poveri fiori nell’erba! E quegli abeti lassú come sono intrepidi!”
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“Sí, cara. Come tremano tutti, questi poveri fiori nell’erba! E quegli abeti lassú come sono intrepidi!”
 
Elena guardò il verde tempestato di margherite che ascendeva liscio fino alle piante nere.
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“Ma, si parlava di Aix-les-bains, una volta; adesso non so piú nulla.”
 
Ambedue stettero immobili e muti, come se le parole “non so piú nulla” avessero risposto, nella loro mente, a un soggetto ben piú grave. Non sapevano piú nulla, Elena né Daniele, del loro cammino nel mondo; non potevano prevedere neppure un avvenire probabile, né quando mai si sarebbero ancora incontrati. Sicilia, Aix; che suono triste, questi nomi! Il
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cielo scuro, il Rovese con la sua cupa voce collerica parevano consci di un futuro sinistro. Gran colpi d’aria passavano alti sul capo di Cortis e di sua cugina che non sapevano staccarsi da quell’asilo quieto dove il vento taceva sí che vi si udiva il sugger lieve della ghiaia bagnata di fresco, dopo una lunga aridità.
 
“Pensa a me, qualche volta” disse Cortis, sottovoce.
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“Questo?” diss’ella alzando il viso.
 
La baronessa, quand’era con Daniele Cortis, diventava umile e timida come nessuno l’aveva veduta mai, neppure da bambina; ma ora tutta la sua naturale alterezza le lampeggiava in fronte. Cortis aveva parlato con la coscienza di una energia superiore e si sentiva subitamente in faccia un’eguale, statagli
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sconosciuta fino a quel punto. I suoi occhi potenti si dilatarono.
 
“Allora...” cominciò egli con impeto.