La fame del Globo/Cap. 2: differenze tra le versioni

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'''Ricevuto all’Università di Firenze per la consegna della laurea honoris causa, il premio Nobel professor [[w:Amartya Sen|Amartya Sen]] pronuncia l’allocuzione di rito proponendo la propria dottrina sul problema dell’alimentazione del Pianeta. Produrre cibo non presenterebbe autentiche difficoltà, secondo l’economista indiano: l’unico problema sarebbe assicurare un reddito a milioni di famiglie che il cibo non possono acquistare. Disponendo di un reddito non farebbero fatica a procurarselo. La tesi, seducente, è in stridente contrasto con i dati più recenti della Fao, che denunciano la crescente difficoltà a ottenere, dalle risorse già sfruttate, produzioni maggiori. Se il potere di acquisto dei popoli poveri aumentasse, è difficile prevedere che la loro domanda potrebbe essere soddisfatta'''
 
 
Ogni titolo assicura i privilegi del grado: un principe palermitano poteva tenere il cappello in testa davanti al viceré spagnolo, un membro di Montecitorio non paga il biglietto del treno. Di un privilegio diverso, e non meno onorevole, gode chi sia insignito del premio Nobel per l'economia, cui è concesso di tenere una lettura accademica proponendo, con magistrale eleganza, una tesi di assoluta ovvietà per essere onorato dall’uditorio come il vate di verità mai udite.
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Ha imposto la constatazione il conferimento della laurea honoris causa, da parte dell'Università di Firenze, al professor Amartya Sen, indiano, presidente del più prestigioso college di Oxford, insignito del supremo riconoscimento dell'Accademia di Stoccolma nel 1998, che nella circostanza ha tenuto, secondo il rituale accademico, una lezione sulla materia dei propri studi. Il tema: Food entitlement and agricultural production, una locuzione di traduzione non agevole per la mancanza, in italiano, di un vocabolo equivalente all'inglese entitlement, che si può tradurre con "disponibilità" o con "capacità di disporre", ma che ai due significati unisce la nota ulteriore di "situazione economica". In sostanza, quindi, capacità di procurarsi il cibo e produzione agricola.
 
La tesi del neolaureato professor Sen, l’asserzionel'asserzione che non è la sufficienza o l'insufficienza della produzione di alimenti a determinare le situazioni di denutrizione e le carestie che attanagliano, con frequenza drammatica, regioni intere dell'Africa, paesi diversi dell'Asia e del Sudamerica, quanto, piuttosto, la situazione economica complessiva delle famiglie che denutrizione e carestie subiscono. Un coltivatore il cui raccolto sia distrutto da un'alluvione può essere incapace di nutrire la famiglia, ha spiegato Sen, anche se le disponibilità alimentari del paese non siano, complessivamente, insufficienti. La famiglia di un bracciante agricolo può conoscere la fame se la produzione cui il capofamiglia dedicava il proprio lavoro sia colpita da una crisi mercantile che non comprometta, tuttavia, il raccolto delle derrate alimentari. E in una popolazione denutrita le donne possono pagare il prezzo di una carestia più gravemente degli uomini perché le regole sociali le collocano in uno stato inferiore, riducendo, rispetto agli uomini, l’entitlement femminile per il cibo.
 
Produrre alimenti in misura adeguata alla domanda non costituirebbe, sul Pianeta, problema insormontabile per il professor Sen, che ha sottolineato che i tassi di incremento della popolazione, che spaventano quanti affrontano il tema fissandosi sul differenziale tra crescita della popolazione e accrescimento delle produzioni alimentari, si stanno riducendo in tutto il Mondo, che quindi l'aumento del cibo supera l'aumento della popolazione, un'asserzione che ha ripetuto proclamando che la crescita di alimenti pro capite avrebbe conosciuto, negli ultimi decenni, valori costantemente positivi.
 
L’essenzaL'essenza della tesi si sostanzia in un rilievo sul quale non si può che concordare pienamente con l’illustre relatore: su tre continenti del Pianeta il problema capitale non è tanto, o non solo, quello di produrre alimenti, il problema essenziale è innescare un autentico sviluppo economico. In quei tre continenti oltre un miliardo di uomini vive con un reddito inferiore o poco superiore ad un dollaro al giorno: ci si può chiedere chi possa essere tanto ingenuo da ridurre le necessità di quegli uomini alla più equa distribuzione di riso e fagioli. Oltre a riso e fagioli quegli uomini chiedono case, acqua potabile, abiti e servizi sociali, per disporre dei quali hanno bisogno, innanzitutto, di un lavoro remunerativo. Lo sviluppo non è, cioè, soltanto un problema di cibo, che pure costituisce il bene che soddisfa la prima delle esigenze, quella senza appagare la quale l'assolvimento di ogni necessità diversa è inutile.
 
Tra i grandi meriti del professor Sen elencati nelle motivazioni della laurea fiorentina spiccava la singolare circostanza di un docente che ha ricoperto, contemporaneamente, nel più famoso college inglese, il corso di lezioni in economia e quello in filosofia. La filosofia indiana gode di una tradizione augusta: sono notorie, peraltro le abissali differenze della sua ispirazione da quella della filosofia occidentale, uno dei cui canoni, dal tempo di San Tommaso dottore sottile, è l'imperativo a distinguere i problemi, affrontandoli, separatamente, uno alla volta.