Divina Commedia/Purgatorio/Canto XVI: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=75%|data=4 ottobre 2008|arg=Poemi}}
{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Divina Commedia/Purgatorio|Purgatorio]]Canto sedicesimo|prec=../Canto XV|succ=../Canto XVII}}
 
{{capitolo
''Canto XVI, dove si tratta del sopradetto terzo girone e del purgare la detta colpa de l'iral’ira; e qui Marco Lombardo solve uno dubbio a Dante.''
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''Canto XVI, dove si tratta del sopradetto terzo girone e del purgare la detta colpa de l'ira; e qui Marco Lombardo solve uno dubbio a Dante.''
<poem>
Buio d'infernod’inferno e di notte privata
d'ogned’ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant'esserquant’esser può di nuvol tenebrata, {{r|3}}
 
non fece al viso mio sì grosso velo
come quel fummo ch'ivich’ivi ci coperse,
né a sentir di così aspro pelo, {{r|6}}
 
che l'occhiol’occhio stare aperto non sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
mi s'accostòs’accostò e l'omerol’omero m'offersem’offerse. {{r|9}}
 
Sì come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che 'l’l molesti, o forse ancida, {{r|12}}
 
m'andavam’andava io per l'aerel’aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: "Guarda che da me tu non sia mozzo". {{r|15}}
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Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar per pace e per misericordia
l'Agnell’Agnel di Dio che le peccata leva. {{r|18}}
 
Pur 'Agnus’Agnus Dei'Dei’ eran le loro essordia;
una parola in tutte era e un modo,
sì che parea tra esse ogne concordia. {{r|21}}
 
"Quei sono spirti, maestro, ch'i'ch’i’ odo?",
diss'iodiss’io. Ed elli a me: "Tu vero apprendi,
e d'iracundiad’iracundia van solvendo il nodo". {{r|24}}
 
"Or tu chi se'se’ che 'l’l nostro fummo fendi,
e di noi parli pur come se tue
partissi ancor lo tempo per calendi?". {{r|27}}
 
Così per una voce detto fue;
onde 'l’l maestro mio disse: "Rispondi,
e domanda se quinci si va sùe". {{r|30}}
 
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"Io ti seguiterò quanto mi lece",
rispuose; "e se veder fummo non lascia,
l'udirl’udir ci terrà giunti in quella vece". {{r|36}}
 
Allora incominciai: "Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
e venni qui per l'infernalel’infernale ambascia. {{r|39}}
 
E se Dio m'm’ ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch'i'ch’i’ veggia la sua corte
per modo tutto fuor del moderno uso, {{r|42}}
 
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s'i's’i’ vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte". {{r|45}}
 
"Lombardo fui, e fu'fu’ chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso l'arcol’arco. {{r|48}}
 
Per montar sù dirittamente vai".
Così rispuose, e soggiunse: "I'I’ ti prego
che per me prieghi quando sù sarai". {{r|51}}
 
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Prima era scempio, e ora è fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov'ioov’io l'accoppiol’accoppio. {{r|57}}
 
Lo mondo è ben così tutto diserto
d'ogned’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto; {{r|60}}
 
ma priego che m'additem’addite la cagione,
ch'i'ch’i’ la veggia e ch'i'ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone". {{r|63}}
 
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Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch'i'ch’i’ 'l’l dica,
{{§|lume v'è dato a bene e a malizia|lume v'è dato a bene e a malizia}}, {{r|75}}
 
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A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che 'l’l ciel non ha in sua cura. {{r|81}}
 
Però, se 'l’l mondo presente disvia,
in voi è la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne sarò or vera spia. {{r|84}}
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che piangendo e ridendo pargoleggia, {{r|87}}
 
l'animal’anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla. {{r|90}}
 
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s'ingannas’inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore. {{r|93}}
 
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per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond'ellaond’ella è ghiotta,
di quel si pasce, e più oltre non chiede. {{r|102}}
 
Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che 'l’l mondo ha fatto reo,
e non natura che 'n’n voi sia corrotta.}} {{r|105}}
 
Soleva Roma, che 'l’l buon mondo feo,
due soli aver, che l'unal’una e l'altral’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo. {{r|108}}
 
L'unL’un l'altrol’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l'unl’un con l'altrol’altro insieme
per viva forza mal convien che vada; {{r|111}}
 
però che, giunti, l'unl’un l'altrol’altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch'ogn'erbach’ogn’erba si conosce per lo seme. {{r|114}}
 
In sul paese ch'Adicech’Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
prima che Federigo avesse briga; {{r|117}}
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or può sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna,
di ragionar coi buoni o d'appressarsid’appressarsi. {{r|120}}
 
Ben v'ènv’èn tre vecchi ancora in cui rampogna
l'antical’antica età la nova, e par lor tardo
che Dio a miglior vita li ripogna: {{r|123}}
 
Currado da Palazzo e 'l’l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma,
francescamente, il semplice Lombardo. {{r|126}}
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cade nel fango, e sé brutta e la soma". {{r|129}}
 
"O Marco mio", diss'iodiss’io, "bene argomenti;
e or discerno perché dal retaggio
li figli di Levì furono essenti. {{r|132}}
 
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
di'di’ ch'èch’è rimaso de la gente spenta,
in rimprovèro del secol selvaggio?". {{r|135}}
 
"O tuo parlar m'ingannam’inganna, o el mi tenta",
rispuose a me; "ché, parlandomi tosco,
par che del buon Gherardo nulla senta. {{r|138}}
 
Per altro sopranome io nol conosco,
s'ios’io nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. {{r|141}}
 
Vedi l'alborl’albor che per lo fummo raia
già biancheggiare, e me convien partirmi
(l'angelol’angelo è ivi) prima ch'ioch’io li paia". {{r|144}}
 
Così tornò, e più non volle udirmi.
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