A Vincenzo Bellini: differenze tra le versioni

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| Nome e cognome dell'autore =Mario Rapisardi
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| Anno di traduzione =
| Progetto =letteratura
| Argomento =poesieodi
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Trovator di suavi itali modi.
Dammi un raggio del sole onde t’abbelli,
Un suon di tue melodi!
{{R|5}}Sciolgo dal crin la civil quercia e il biondo
Premio d’eléi cimenti attico ulivo;
Di ciprio mirto alla mia chioma infrondo
Gentil serto votivo.
Ecco l’ara, ecco il dio. Da l’ardue sfere
{{R|10}}Onda mi vien di numeri divini;:
Garzon’ bennati e giovinette intere,
Leviamo inni a [[w:Vincenzo Bellini|Bellini]]!
Puri, in candide vesti, il crin vestito
Di roridi ligustri e di viole,
{{R|15}}Convenite concordi al sacro rito,
Mescete inni e carole.
Appressatevi all’ara e voi che in fronte
Chiara avete del Genio orma divina.
Dal sen dischiuso del cenisio monte
{{R|20}}A la scillèa marina.
Tu dagli esperj colli a le devote
Sicule piagge, al nativo Etna riedi,
Tu, cultor de le Grazie e sacerdote,
La sacra orgia presiedi.
{{R|25}}Su la canizie tua santa di allori
Il sorriso dell’Arte ecco si avviva...
Cingi, o Pacini, i ridolenti fiori
Nati al Simeto in riva.
Ma chi mai del dolor sentisentì l’amara
{{R|30}}Punta, che schiude a gentilezza il core,
Dilunghi le profane orme dall’ara
Sacra al cantor d’amore.
Su la cetera sua d’astri lucente
Il dolor raccogliea trepido il volo,
{{R|35}}Quel dolor che ne l’alta ombra silente
Dà il canto a l’usignolo;
E del pudico amor nato gemello,
È dei petti mortali ignea catena,
Che i pigri infiamma, e del pensier rubello
{{R|40}}L’empie baldanze affrena.
Indi i sensi celesti e le beate
Voci echeggiò l’etnea valle negletta,..
Oh ponete gli sdegni, empj, spezzate
L’archilochea L’{{Ac|Archiloco|archilochea}} saetta!
{{R|45}}Qui nè cure mordaci, oggi, nè orrende
Gare e d’odio civil rabide erinni:
Limpidi come il sol che su noi splende
Dal cor sgorghino gl’inni.
Giacean le siracusie api dormenti
{{R|50}}Del folto di papiri Ànapo al margo,
Allor che un suon d’italici concenti
Destolle dal letargo.
E qui trasser frettose ove un soletto
Su la cetra esprimea gli estri del core:
{{R|55}}Era un biondo e pensoso giovinetto
Dal glauco occhio d’amorid’amore.
Lieto su quella cetra allor depose
Lo stuol de l’api armoniosearmonïose il miele:
Indi al vario pensiero il suon rispose
{{R|60}}Più dolce e più fedele.
Cosi l’idillio un giorno ebbe Aretusa,
Come la linfa sua placido e terso;
Cosi parlano ancor Sorga e ValchìusaValchiusa
L’acceso italo verso.
{{R|65}}Oh! benedetta sia l’arpa gentile
Che a cortesia le schive anime addestra,
Che piange il sol del fuggitivo aprile,
Che crede ed ammaestra!
Scendeva Orfeo da l’apollineo coro
{{R|70}}Fra l’ombre e i mostri de la selva [[w:Monte Ida|Idea]];
Era sol con la cetra, altro tesoro
Al mondo ei non avea.
E assiso all’ombra dell’aeree piante,
Cui da ferro giammai non venne insulto
{{R|75}}Ai ferrei cori suadea le sante
Leggi e de’ campi il culto.
Lasciati allora i biechi antri e il dispetto
Che di sangue imbevea le glebe avare,
Corser le proli al socìalsocïal banchetto,
{{R|80}}Statuîr nozze ed are.
Ubbidiente da l’aperto solco
L’oro sgorgò de le feconde spiche;
In commercio gentil mutò il bifolco
Onesti usi e fatiche.
{{R|85}}Sceso dal pelio giogo al mar profondo,
Sfidò gli eolj nembi il vacuo pino;
E in civile armonìa fu stretto il mondo
Dal casto inno divino.
 
(1867.)
</poem>
 
 
 
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