Divina Commedia/Inferno/Canto XXIX: differenze tra le versioni
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{{Qualità|avz=100%|data=18 maggio 2008|arg=Poemi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Divina Commedia/Inferno|Inferno]]<br />Canto ventinovesimo|prec=../Canto XXVIII|succ=../Canto XXX}}
''Canto XXIX, ove tratta de la decima bolgia, dove si puniscono i falsi fabricatori di qualunque opera, e isgrida e riprende
▲''Canto XXIX, ove tratta de la decima bolgia, dove si puniscono i falsi fabricatori di qualunque opera, e isgrida e riprende l'autore i Sanesi.''
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che de lo stare a piangere eran vaghe. {{r|3}}
Ma {{
perché la vista tua pur si soffolge
là giù tra
Tu non hai fatto sì a
pensa, se tu annoverar le credi,
che miglia ventidue la valle volge. {{r|9}}
E già la luna è sotto i nostri piedi;
lo tempo è poco omai che
e altro è da veder che tu non vedi". {{r|12}}
"Se tu avessi",
"atteso a la cagion per
forse
Parte sen giva, e io retro li andava,
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e soggiugnendo: "Dentro a quella cava {{r|18}}
credo
la colpa che là giù cotanto costa". {{r|21}}
Allor disse
lo tuo pensier da qui innanzi
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; {{r|24}}
mostrarti e minacciar forte col dito,
e
Tu eri allor sì del tutto impedito
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"O duca mio, la vïolenta morte
che non li è vendicata ancor",
"per alcun che de
fece lui disdegnoso;
sanza parlarmi, sì
e in ciò
Così parlammo infino al loco primo
che de lo scoglio
se più lume vi fosse, tutto ad imo. {{r|39}}
Quando noi fummo sor
di Malebolge, sì che i suoi conversi
potean parere a la veduta nostra, {{r|42}}
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lamenti saettaron me diversi,
che di pietà ferrati avean li strali;
Qual dolor fora, se de li spedali
di Valdichiana tra
e di Maremma e di Sardigna i mali {{r|48}}
fossero in una fossa tutti
tal era quivi, e tal puzzo
qual suol venir de le marcite membre. {{r|51}}
Noi discendemmo in su
del lungo scoglio, pur da man sinistra;
e allor fu la mia vista più viva {{r|54}}
giù
de
punisce i falsador che qui registra. {{r|57}}
Non credo
fosse in Egina il popol tutto infermo,
quando fu
che li animali, infino al picciol vermo,
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si ristorar di seme di formiche;
languir li spirti per diverse biche. {{r|66}}
Qual sovra
si trasmutava per lo tristo calle. {{r|69}}
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Io vidi due sedere a sé poggiati,
dal capo al piè di schianze macolati; {{r|75}}
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come ciascun menava spesso il morso
de
del pizzicor, che non ha più soccorso; {{r|81}}
e sì traevan giù
come coltel di scardova le scaglie
o
"O tu che con le dita ti dismaglie",
cominciò
"e che fai
dinne
che son
etternalmente a cotesto lavoro". {{r|90}}
"Latin siam noi, che tu vedi sì guasti
qui ambedue", rispuose
"ma tu chi
E
con questo vivo giù di balzo in balzo,
e di mostrar lo
Allor si ruppe lo comun rincalzo;
e tremando ciascuno a me si volse
con altri che
Lo buon maestro a me tutto
dicendo: "Dì a lor ciò che tu vuoli";
e io incominciai, poscia
"Se la vostra memoria non
nel primo mondo da
ma
ditemi chi voi siete e di che genti;
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ma quel per ch'io mori' qui non mi mena.}} {{r|111}}
Vero è
"
e quei,
volle
ardere a tal che
Ma ne
me per
dannò Minòs, a cui fallar non lece". {{r|120}}
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Certo non la francesca sì d'assai!}}". {{r|123}}
Onde
rispuose al detto mio: "
che seppe far le temperate spese, {{r|126}}
e Niccolò che la costuma ricca
del garofano prima discoverse
ne
e
Caccia
e
Ma perché sappi chi sì ti seconda
contra i Sanesi, aguzza
sì che la faccia mia ben ti risponda: {{r|135}}
sì vedrai
che falsai li metalli con
e te dee ricordar, se ben
</poem>
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===== Altri progetti =====
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[[en:The Divine Comedy/Inferno/Canto XXIX]]
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