Fermo e Lucia/Tomo Primo/Cap VI: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=75%|data=9 novembre 2008|arg=Romanzi}}{{IntestazioneIncludiIntestazione|sottotitolo=[[Fermo letteraturae Lucia/Tomo Primo|Tomo Primo]] - Capitolo Sesto<br />Peggio che peggio}}
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|Nome e cognome dell'autore=Alessandro Manzoni
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|Eventuale titolo della sezione o del capitolo=[[Fermo e Lucia/Tomo Primo|Tomo Primo]] - Capitolo Sesto<br />Peggio che peggio
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|Secolo di pubblicazione=XIX secolo
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Ognuno può avere osservato che, dalla peritosa sposa di contado fino a... fino all'uomo il più disinvolto e imperturbabile, e per dirla in milanese il più navigato, tutti hanno certi loro gesti famigliari, certi moti insignificanti dei quali fanno uso quasi involontariamente quando, trovandosi con persone colle quali non sieno molto addomesticati, non sanno troppo che dire, o aspettano il momento di dir cosa la quale non è attesa né sarà molto gradevole a chi deve intenderla. La differenza che passa tra gl'intrigati e i navigati (son costretto a prendere entrambi i vocaboli dal dialetto del mio paese, il quale non manca d'uomini dell'una e dell'altra specie) la differenza è che i primi coi loro moti incerti, e vacillanti e goffi mostrano sempre più il loro imbarazzo, e vi si vanno sempre più affondando, mentre negli altri questo disimpegno è nello stesso tempo un esercizio di eleganza e di superiorità. Tutte le classi hanno una provvisione particolare, e caratteristica di questi atti, e questa distinzione era più osservabile nei tempi in cui le classi erano più distinte per abitudini, e anche pel costume di vestire, il quale si prestava naturalmente ad usi diversi di questo genere. Si potrebbe qui fare una erudita enumerazione di questi gesti, cominciando dai personaggi più celebri e dalle condizioni più note degli antichi romani, o anche degli Egizj, ma sarebbe troppo provocare l'impazienza del lettore avido certamente di seguire la nostra interessante storia. Diremo soltanto che gli atti più usuali dei cappuccini per avere come dicono i francesi une contenance, erano di accarezzarsi la barba, di fare scorrere il berrettino innanzi indietro dal sincipite all'occipite, di porre la mano destra nella larga manica sinistra e viceversa, o di stirarsi il cordone, o di palpare ad uno ad uno i grossi paternostri del rosario che tenevano appeso alla cintola. Questa ultima operazione appunto faceva il Padre Cristoforo quando si trovò da solo a solo con Don Rodrigo; di modo che si avrebbe creduto che vi ponesse molta occupazione, ma il lettore sa che il buon padre era preoccupato da tutt'altro. Del contegno di Don Rodrigo non occorre parlare, giacché ognun sa che nessuno è tanto sciolto, franco, sgranchiato, quanto un ribaldo dopo un buon desinare. Stava egli però con qualche curiosità e con qualche sospetto di quello che il padre fosse per dirgli, sospetto che il contegno un po' irresoluto del padre aveva quasi cangiato in certezza. Gli accennò con sussiego che sedesse, si pose egli pure a sedere, e ruppe il silenzio con queste parole:
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La disputa, come era da supporsi, divenne generale. Fermo insisteva rimproverando Lucia di poco amore, e ripetendo i suoi argomenti con una forza e una amarezza sempre crescente: Lucia addolorata, tenera, ma ferma li ribatteva singhiozzando, ed Agnese predicava all'una, dava sulla voce all'altro secondo l'occasione. Tutt'ad un tratto, un calpestio affrettato di sandali, e un romore di tonaca sbattuta, somigliante a quello che produce in una vela allentata il soffio ripetuto del vento, annunziò il Padre Cristoforo. Si fece silenzio, e Agnese ebbe appena il tempo d'imporre sotto voce a Lucia di non dir parola del disegno contrastato.
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