Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/181: differenze tra le versioni

Alebot (discussione | contributi)
m Wikipedia python library
Aubrey (discussione | contributi)
Stato della paginaStato della pagina
-
Pagine SAL 25%
+
Pagine SAL 75%
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:
{{ZbPagina|49}} La favola del pavone vergognoso delle sue zampe pecca d’inverisimile anzi d’impossibile, giacchè non ci può esser parte naturale e comune in verun genere d’animale, che a quello stesso genere non paia conveniente, e quando sia nel suo genere ben conformata non paia bella: giacchè la bellezza è convenienza, e questa è idea ingenita nella natura; quali cose però si convengano, questo è quello che varia nelle idee non solo dei diversi generi di animali, ma eziandio degl’individui di uno stesso genere, come negli uomini, agli Etiopi (per non uscire dalla bellezza del corpo) par bello il color nero, il naso camoscio, le labbra tumide, e brutti i contrari che a noi paion belli, e tra i bianchi questa e quella nazione si diversifica assaissimo nel valutar come bella questa o quella forma che all’altra nazione dispiacerà. Ma che la natura abbia fatto parte stabile ed essenziale di verun genere animalesco che a quello stesso genere paia brutta è impossibile, giacchè non è possibile che un genere non abbia nessuno cui stimi bello, e questo vediamo parimente nella specie, e le stesse differenze ch’io ho notate nei giudizi degli uomini provengono dalla differente forma loro come negli Etiopi, Lapponi, Selvaggi, isolani di cento figure ec. E le altre differenze, come nello stimar più l’occhio ceruleo che il nero, ec. versano non intorno a cose stabili e immutabili, ma, com’è chiaro da questo esempio, mutabili, e differenti in una stessa specie secondo gl’individui, giacchè altrimenti la natura avrebbe fatto una specie di bruttezza assoluta, se parendo bruttezza a noi, paresse anche a quel tal genere o specie. Ma la bruttezza assoluta ben noi ce la figuriamo che vedendo le zampacce del pavone, e parendoci sconvenienti al resto del suo corpo, non crediamo che possano parer belle a nessuno animale, ma il fatto non istà così, anzi al pavone parebbono brutte nel proprio genere quelle zampe più grosse carnose morbide ornate vestite ec. che a noi parrebbono più belle, e giudica brutto quello del suo genere (o specie che la vogliamo dire) che non ha le zampe perfettamente secche asciutte ec.
in una stessa specie secondo gl’individui, giacchè altrimenti la natura avrebbe fatto una specie di bruttezza assoluta, se parendo bruttezza a noi, paresse anche a quel tal genere o specie. Ma la bruttezza assoluta ben noi ce la figuriamo che vedendo le zampacce del pavone, e parendoci sconvenienti al resto del suo corpo, non crediamo che possano parer belle a nessuno animale, ma il fatto non istà così, anzi al pavone parebbono brutte nel proprio genere quelle zampe più grosse carnose morbide ornate vestite ec. che a noi parrebbono più belle, e giudica brutto quello del suo genere (o specie che la vogliamo dire) che non ha le zampe perfettamente secche asciutte ec.




{{ZbPensiero|x}}Quello che ho detto nel principio di questo pensiero me ne porge un altro, cioè che infatti quella favola non pecca d’inverisimile non essendo scritta per li pavoni ma per noi, i quali naturalmente siamo portati a credere che quelle zampe bruttissime agli occhi nostri sieno tali anche agli occhi dei pavoni. E quantunque il filosofo facilmente conosca il contrario, tuttavia scrive il poeta pel volgo, al quale non è inverisimile il dir p.e. che le stelle cadano, anzi lo dice Virgilio e si dice da’ villani e da’ poeti tuttogiorno, benchè a qualunque non ignorante sia cosa impossibile.{{ZbPagina|50}} A quello che ho detto nel 3. pensiero avanti al presente si aggiunga che le parole nuove si devono anche cavare dalle radici che sono nella propria lingua, e questa è una fonte principalissima e dalla quale Dante che passa pel creatore della lingua derivò una grandissima, e forse la massima parte delle voci ch’egli introdusse. E i derivati da questa fonte serbando com’è naturale il colore nativo della lingua più che qualunque altro, se son fatti con giudizio, vengono a formare il miglior genere di voci nuove che si possano creare ec. ec. Ma questa fonte è tanto più scarsa quanto meno sono le radici cioè quanto la lingua è meno ricca, onde la lingua francese cedendo in questo senza paragone all’italiana non è dubbio che di voci nuove secondo il bisogno, che non alterino la fisonomia della lingua ma consuonino ec. dev’essere molto più atta a produrne la lingua italiana che la francese. E infatti questa che passa per ricchissima in vocaboli delle arti e scienze ec. è infatti poverissima, giacchè questi vocaboli non li piglia dal suo fondo, ma di peso dalle altre lingue come dalla greca onde disdicono e stuonano manifestamente col resto della lingua e l’alterano e imbastardiscono, e ciò perchè non sono lingue di uno stesso genere ma diversissime, il cui genio anche nelle pure voci non ha che fare con quello della francese, all’opposto della latina rispetto all’italiana principalmente. Ora questa ricchezza tanto è loro quanto nostra, perchè è chiaro che non trattandosi di ricchezza αὐτόχJων ma di roba presa altrove, tutti possono prenderla egualmente e colla stessa spesa, massime noi italiani, ai quali non è niente più difficile da στερεοτυπία di fare stereotipia, di quello che ai francesi stéréotypie ec. ec. e di formar nuovi composti greci com’è questo ec. sì che è ricchezza fittizia, non propria, ascita, misera, comune a tutti, e dannosa. Oltracciò i derivati dalle proprie radici sono subito di noto significato, e intesi da tutti, così in massima parte dalla lingua latina (dalla quale già non si dee prendere quello che non sarebbe comunemente inteso) ma questi altri non si capiscono da nessuno se non ci mettete la spiegazione etimologica ec. ovvero se non li mettete nel vocabolario col loro significato, quando non sieno appoco appoco passati in uso, ma ciò non può esser successo senza il detto massimo inconveniente nel principio.


{{ZbPensiero|x}}Quello che ho detto nel principio di questo pensiero me ne porge un altro, cioè che infatti quella favola non pecca d’inverisimile non essendo scritta per li pavoni ma per noi, i quali naturalmente siamo portati a credere che quelle zampe bruttissime agli occhi nostri sieno tali anche agli occhi dei pavoni. E quantunque il filosofo facilmente conosca il contrario, tuttavia scrive il poeta pel volgo, al quale non è inverisimile il dir p.e. che le stelle cadano, anzi lo dice {{Ac|Virgilio}} e si dice da’ villani e da’ poeti tuttogiorno, benchè a qualunque non ignorante sia cosa impossibile. {{ZbPagina|50}} A quello che ho detto nel 3. pensiero avanti al presente si aggiunga che le parole nuove si devono anche cavare dalle radici che sono nella propria lingua, e questa è una fonte principalissima e dalla quale {{Ac|Dante}} che passa pel creatore della lingua derivò una grandissima, e forse la massima parte delle voci ch’egli introdusse. E i derivati da questa fonte serbando com’è naturale il colore nativo della lingua più che qualunque altro, se son fatti con giudizio, vengono a formare il miglior genere di voci nuove che si possano creare ec. ec.

{{ZbPensiero|x}}Anche la stessa negligenza e noncuranza e sprezzatura e la stessa inaffettazione può essere affettata, risaltare ec. Anche la semplicità la naturalezza la spontaneità. V. p.160.


{{ZbPensiero|x}}Dolor mio nel sentire a tarda notte seguente al giorno di qualche festa il canto notturno de’ villani passeggeri. Infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani così caduti dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati ch’io paragonava dolorosamente con quella profonda quiete e silenzio della notte, a
Piè di pagina (non incluso)Piè di pagina (non incluso)
Riga 1: Riga 1:

<references/>