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(49-50) | pensieri | 155 |
in una stessa specie secondo gl’individui, giacché altrimenti la natura avrebbe fatto una specie di bruttezza assoluta, se parendo bruttezza a noi, paresse anche a quel tal genere o specie. Ma la bruttezza assoluta ben noi ce la figuriamo, che, vedendo le zampacce del pavone e parendoci sconvenienti al resto del suo corpo, non crediamo che possano parer belle a nessuno animale; ma il fatto non istà cosí, anzi al pavone parrebbono brutte nel proprio genere quelle zampe piú grosse, carnose, morbide, ornate, vestite ec. che a noi parrebbono piú belle, e giudica brutto quello del suo genere, o specie che la vogliamo dire, che non ha le zampe perfettamente secche, asciutte ec.
* Quello che ho detto nel principio di questo pensiero me ne porge un altro, cioè che infatti quella favola non pecca d’inverisimile, non essendo scritta per li pavoni ma per noi, i quali naturalmente siamo portati a credere che quelle zampe bruttissime agli occhi nostri sieno tali anche agli occhi dei pavoni. E quantunque il filosofo facilmente conosca il contrario, tuttavia scrive il poeta pel volgo, al quale non è inverisimile il dir, per esempio, che le stelle cadano, anzi lo dice Virgilio e si dice da’ villani e da’ poeti tuttogiorno, benché a qualunque non ignorante sia cosa impossibile. (50)
* A quello che ho detto nel 3° pensiero avanti al presente si aggiunga che le parole nuove si devono anche cavare dalle radici che sono nella propria lingua; e questa è una fonte principalissima, e dalla quale Dante, che passa pel creatore della lingua, derivò una grandissima e forse la massima parte delle voci ch’egli introdusse. E i derivati da questa fonte serbando, com’è naturale, il colore nativo della lingua piú che qualunque altro, se son fatti con giudizio, vengono a formare il miglior genere di voci nuove che si possano creare ec. ec.