Fermo e Lucia/Tomo Terzo/Cap VIII: differenze tra le versioni

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Fermo, posto piede sulla terra di San Marco, respirò davvero; e, alla prima insegna che vide, entrò a ristorarsi col cuore più largo. Sentì quivi pure relazioni e ragionamenti su gli avvenimenti di Milano: a dir vero egli avrebbe potuto rettificare in molte parti i fatti e le riflessioni; ma da quei fatti egli aveva appunto imparato a tacere. Continuò la sua strada, giunse a Bergamo, fece inchiesta di quel suo cugino, e gli si presentò.
 
Era questi lavoratore di seta, come Fermo, e uno di quei tanti che vedendo mancarsi il lavoro a cagione delle discipline assurde che a quei tempi erano prescritte nel milanese, e dei pesi insopportabili d'ogni genere, avevano portata la loro industria in un altro stato, dov'erano bene accolti e protetti. Massajo, e diligente in sei anni da che si trovava a Bergamo, aveva egli fatta una provvigione che gli era di grande soccorso in quell'anno malvagio. Rivide egli con piacere Fermo che aveva instradato nei lavori della seta, e a cui aveva fatto da padre, e lo accolse lietamente, prese parte alle sue traversie, e gli promise intanto di procacciargli lavoro. «Se non ne troveremo», soggiunse, «starai con me, mangeremo insieme un po' di pane; e quando torneranno gli anni grassi, mi pagherai di tutto, e farai un buon marsupio anche per te». Se quel brav'uomo avesse letto {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}} non avrebbe mancato di dire in questa occasione: Non ignara mali miseris succurrere disco: perché in fatti questo era il suo sentimento.
 
Lasceremo per ora Fermo, giacché si trova in una situazione tollerabile, e torneremo alla sua e nostra Lucia.