Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/193: differenze tra le versioni

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qualcuna già sopraggiunta loro, si legge, come di Cleopatra, Mitridate ec. e piú, anzi forse solamente fra gli antichi. Ma di quelli che si sieno uccisi per le altre cagioni che producono ora il suicidio, come la malinconia, l’amore ec., non si legge ch’io sappia in nessuna storia. Eppure lo scontento della vita e la noia e la disperazione dovrebb’essere tanto maggiore in loro{{ZbPagina|58}} che negli altri, in quanto questi possono supporre se non colla ragione, la quale è ben persuasa del contrario, almeno coll’immaginazione, che non si persuade mai, che ci sia uno stato miglior del loro, ma quelli già nell’apice dell’umana felicità, trovandola vana anzi miserabilissima, non possono piú ricorrere neppur col pensiero in nessun luogo, arrivati, per cosí dire, al confine e al muro, e quindi dovrebbono guardar questa vita come abitazione veramente orribile per ogni parte e disperata, se già i loro desideri non si volgono ai gradi e condizioni inferiori, ovvero a quei miserabili accrescimenti di felicità che un principe si può sognare, come conquiste ec.
{{ZbPagina|57}} S’è osservato che è proprietà degli antichi poeti ed artisti il lasciar molto alla fantasia ed al cuore del lettore o spettatore. Questo però non si deve prendere per una proprietà isolata ma per un effetto semplicissimo e naturale e necessario della naturalezza con cui nel descrivere imitare ec. lasciano le minuzie e l’enumerazione delle parti tanto familiare ai moderni descrivendo solo il tutto con disinvoltura, e come chi narra non come chi vuole manifestamente dipingere muovere ec. Nella stessa maniera Ovidio il cui modo di dipingere è l’enumerare (come i moderni descrittivi sentimentali ec.) non lascia quasi niente a fare al lettore, laddove Dante che con due parole desta un’immagine lascia molto a fare alla fantasia, ma dico fare non già faticare, giacchè ella spontaneamente concepisce quell’immagine e aggiunge quello che manca ai tratti del poeta che son tali da richiamar quasi necessariamente l’idea del tutto. E così presso gli antichi in ogni genere d’imitazione della natura.




{{ZbPensiero|x}}Disse la Dama: Voi mi avete rappacificata colla poesia. — Godo assai, rispose quegli, d’avere riconciliate insieme due belle cose.
{{ZbPensiero|x}}I nostri veri idilli teocritei non sono nè le egloghe del Sanazzaro nè ec. ec. ma le poesie rusticali come la Nencia, Cecco da Varlungo ec. bellissimi e similissimi a quelli di Teocrito nella bella rozzezza e mirabile verità, se non in quanto sono più burleschi di quelli che pur di burlesco hanno molto spesso una tinta.




{{ZbPensiero|x}}Non ci sarebbe tanto bisogno della viva voce del maestro nelle scienze se i trattatisti avessero la mente piú poetica. Pare ridicolo il desiderare il poetico, per esempio in un matematico; ma tant’è: senza una viva e forte immaginazione non è possibile di mettersi nei piedi dello studente e preveder tutte le difficoltà ch’egli avrà e i dubbi e le ignoranze ec., che pure è necessarissimo e da nessuno si fa, anche da’ piú chiari, che però non s’impara mai pienamente una scienza difficile, per esempio le matematiche, dai soli libri.
{{ZbPensiero|x}}Circa le immaginazioni de’ fanciulli comparate alla poesia degli antichi vedi la verissima osservazione di Verter sul fine della lettera 50. Una terza sorgente degli stessi diletti e delle stesse romanzesche idee sono i sogni.




{{ZbPensiero|x}}Tutto si è perfezionato da {{AutoreCitato|Omero}} in poi, ma non la poesia.
{{ZbPensiero|x}}Il principio universale dei vizi umani è l’amor proprio in quanto si rivolge sopra lo stesso essere, delle virtù, lo stesso amore in quanto si ripiega sopra altrui, sia sopra gli altrui, sia sopra la virtù, sia sopra Dio. ec.


{{ZbPensiero|x}}Di alcuni principi che si sieno uccisi per evitare qualche grande sventura o per non saperne sopportare qualcuna già sopraggiunta loro, si legge, come di Cleopatra Mitridate ec. e più, anzi forse solamente fra gli antichi. Ma di quelli che si sieno uccisi per le altre cagioni che producono ora il suicidio, come la malinconia l’amore ec. non si legge ch’io sappia in nessuna storia. Eppure lo scontento della vita e la noia e la disperazione dovrebb’essere tanto maggiore in loro{{ZbPagina|58}} che negli altri, in quanto questi possono supporre se non colla ragione (la quale è ben persuasa del contrario) almeno coll’immaginazione (che non si persuade mai) che ci sia uno stato miglior del loro, ma quelli già nell’apice dell’umana felicità, trovandola vana anzi miserabilissima, non possono più ricorrere neppur col pensiero in nessun luogo, arrivati per così dire al confine e al muro, e quindi dovrebbono guardar questa vita come abitazione veramente orribile per ogni parte e disperata, se già i loro desideri non si volgono ai gradi e condizioni inferiori, ovvero a quei miserabili accrescimenti di felicità che un principe si può sognare, come conquiste ec.


{{ZbPensiero|x}}Disse la Dama: Voi mi avete rappacificata colla poesia: Godo assai, rispose quegli, d’avere riconciliate insieme due belle cose.


{{ZbPensiero|x}}Non ci sarebbe tanto bisogno della viva voce del maestro nelle scienze se i trattatisti avessero la mente più poetica. Pare ridicolo il desiderare il poetico p.e. in un matematico; ma tant’è: senza una viva e forte immaginazione non è possibile di mettersi nei piedi dello studente e preveder tutte le difficoltà ch’egli avrà e i dubbi e le ignoranze ec. che pure è necessarissimo e da nessuno si fa anche da’ più chiari, che però non s’impara mai pienamente una scienza difficile p.e. le matematiche dai soli libri.


{{ZbPensiero|x}}Tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia.


{{ZbPensiero|x}}Per un’Ode lamentevole sull’Italia può servire quel pensiero di Foscolo nell’Ortis lett.19 e 20 Febbraio 1799. p.200. ediz. di Napoli 1821.


{{ZbPensiero|x}}Una facezia del genere ch’io ho detto in un altro pensiero essere stato proprio degli antichi è quella degli Antiocheni che dicevano dell’imperatore Giuliano che aveva una barba da farne corde, (Iulian. in Misopogone) la qual facezia allora applaudita e sparsa per tutta la città e capace di muover Giuliano a scrivere un libro ironico e giocoso (certo elegante e negli scherzi si può dir Attico e Lucianesco e infinite volte superiore ai suoi Caesares, senza sofistumi nello stile nè in altro, e senza affettazioni nè pur nella lingua per altro elegante e ricca e ciò perchè questo è un libro scritto per circostanza e non έπιδεικτικὸς come i Caesares) contro gli Antiocheni, ora ai nostri delicati, francesi ec. parrebbe grossolana, e di pessimo gusto. V. p.312.


{{ZbPensiero|x}}''E tanto è miser l’uom quant’ei si reputa'', disse eccellentemente il Sanazzaro egloga ottava. Ora in quello stato ch’io diceva in un pensiero poco sopra, egli non riputandosi misero nè anche sarebbe stato, come ora tanti in condizione alquanto
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