Iliade (Monti)/Libro III: differenze tra le versioni
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Riga 24:
Poiché sotto i lor duci ambo schierati
gli eserciti si fur, mosse il troiano
come stormo
e schiamazzando, col romor che mena
lo squadron delle gru, quando del verno{{R|5}}
fuggendo i nembi
con acuti clangori, e guerra e morte
porta al popol pigmeo. Ma taciturni
Riga 38:
più che tiro di pietra: a questa guisa{{R|15}}
si destava di polve una procella
sotto il piè
di poco spazio
gli eserciti nemici, ecco Alessandro{{R|20}}
nelle prime apparir file troiane
Riga 46:
una pelle di pardo, ed il ricurvo
arco e la spada; e due dardi guizzando
ben ferrati ed aguzzi, iva
sfidando i primi a singolar conflitto.
Il vide Menelao dinanzi a tutti
venir superbo a lunghi passi; e quale
il cor
un cervo di gran corpo o caprïolo,{{R|30}}
spinto da fame a divorarlo intende,
e il latrar
villan robusti il minacciar non cura;
tale alla vista del Troian leggiadro
Riga 59:
far sopra il traditor la sua vendetta,
balza armato dal cocchio: e lui scorgendo
venir
e della morte paventoso in salvo
si ritrasse
in montana foresta orrido serpe
risalta indietro, e per la balza fugge
di paura tremante e bianco in viso,
tal fra le schiere
Ettore il vide, e con ripiglio acerbo
gli fu sopra gridando: Ahi sciagurato!
Riga 73:
vile del pari che leggiadro! oh mai{{R|50}}
mai non fossi tu nato, o morto fossi
anzi
certo il mio voto, e per te stesso il meglio,
più che carco
Odi le risa
che al garbo
ti suspicâr da prima, e or sanno a prova
che vile e fiacca in un bel corpo hai
E vigliacco qual sei tu il mar varcasti
con eletti compagni? e visitando{{R|60}}
straniere genti tu
donna
rapir potesti, e il padre e Troia e tutti
cacciar nelle sciagure,
farti bersaglio, ed infamar te stesso?{{R|65}}
Perché fuggi? perché di Menelao
non attendi lo scontro? Allor saprai
di qual prode guerrier
la florida consorte: né la cetra
ti varrà né il favor di Citerea,{{R|70}}
Riga 95:
quando cadrai riverso nella polve.
Oh fosser meno paurosi i Teucri!
ché tu
Ed il vago a rincontro: Ettore, il veggo,
a ragion mi rampogni, ed io
Ma quel duro tuo cor scure somiglia
che ben tagliente una navale antenna
Riga 105:
Non rinfacciarmi di Ciprigna i doni,
ché, qualunque pur sia, gradito e bello
sempre è il dono
è nel nostro volere. Or se
squadre e le teucre seggansi tranquille,
e me nel mezzo e Menelao mettete
e di tutto il tesor di
Qual si vinca di noi
con tutto insieme il suo regal corredo,
e via la meni alle sue case; e tutti
su le percosse vittime giurando
amistà, voi di Troia abiterete{{R|95}}
faran ritorno e
alle vaghe lor donne. - A questo dire
brillò di gioia Ettorre, ed elevando
di sostarsi
Tutte fêr alto: ma
a saettar si diero alla sua mira
e dardi e sassi, infin che forte alzando
la voce Agamennón: Cessate, ei grida,{{R|105}}
cessate, Argivi; non vibrate, Achei,
Ettore brami. - Riverenti tutti
cessâr le offese, e si fur queti. Allora
Riga 135:
ciò che parla Alessandro, esso per cui
fra noi surta ed accesa è tanta guerra.
Egli vuol che
quete stian
col bellicoso Menelao decisa
ricchezza le pertien. Quegli
che rimarrassi vincitor, si prenda
la bella donna, e in sua magion
col tutto che possiede: e sia tra noi
con saldi patti
Disse; e tutti ammutîr. Ma non già muto
si restò Menelao, che doloroso,
Me pur, gridava, me me pure udite,{{R|125}}
ché il primo offeso mi son io.
bramo io pur diffinita e
questa lite una volta e le sofferte
molte sventure per la mia ragione
e per
perisca di noi due, che dalla Parca
è dannato a perire; e voi con pace
vi separate. Una
svenate, o Teucri,
di bianco pelo al Sole: un terzo a Giove{{R|135}}
offrirassi da noi. Ma venga
la maestà di Prïamo, e la pace
giuri egli stesso su le sacre fibre
Riga 163:
io conosco i suoi figli), onde protervo{{R|140}}
nessun di Giove i giuramenti infranga.
Incostante,
intervien
son le passate e le future cose,{{R|145}}
ivi è felice
Sì disse; e rallegrò Teucri ed Achei
la dolce speme di finir la guerra.
Schieraro i cocchi e ne smontâr: svestiti
quindi
separava le schiere. Alla cittade
due banditori, a trarne i sacri agnelli
Riga 178:
invìa del pari il rege Agamennóne{{R|155}}
alle navi Taltibio, onde la terza
ostia
Scese intanto dal cielo ambasciatrice
Iri ad Elèna dalle bianche braccia,
Riga 184:
il sembiante gentil, di Laodice
che pregiata del prence Elicaone,
e tra le figlie prïamee tenuta
la più vaga. Trovolla che tessea{{R|165}}
Riga 193:
La Diva innanzi le si fece, e disse:{{R|170}}
Sorgi, sposa diletta, a veder vieni
spettacolo improvviso. Essi che dianzi
di sangue ingordi lagrimosa guerra
Riga 200:
alle lunghe lor picche al suol confitte.
Alessandro frattanto e Menelao
per te
combatteranno, e tu verrai chiamata{{R|180}}
del prode vincitor cara consorte.
Riga 206:
un subito nel cor dolce desìo
del primiero marito e della patria
e
prestamente ravvolta, e di segrete
tenere stille rugiadosa il ciglio,
della stanza
ma due donzelle la seguìan, Climene
per
Etra la figlia. Delle porte Scee
giunser tosto alla torre, ove seduto
Riga 217:
Pantòo, Timete, Icetaone e i due
spegli di senno Ucalegonte e Antènore,{{R|195}}
del popol senïori, che
per vecchiezza deposto avean
ma tutti egregi dicitor, sembianti
alle cicade che agli arbusti appese
Come vider venire alla lor volta
la bellissima donna i vecchion gravi
Riga 228:
biasmare i Teucri né gli Achei si denno{{R|205}}
se per costei sì dïuturne e dure
sopportano fatiche. Essa
veracemente è Dea. Ma tale ancora
via per mar se ne torni, e in nostro danno
più non si resti né
Dissero; e il rege la chiamò per nome:
Vieni, Elena, vien qua, figlia diletta,
Riga 238:
non hai colpa tu meco, ma gli Dei,{{R|215}}
che contra mi destâr le lagrimose
arme
chi sia quel grande e maestoso Acheo
di sì bel portamento? Altri
ben di statura, ma non vidi al mondo{{R|220}}
maggior decoro, né mortale io mai
degno di tanta riverenza in vista:
Re lo dice
delle donne così gli rispondea:
Suocero amato, la presenza tua{{R|225}}
di timor mi rïempie e di rispetto.
Oh scelta una crudel morte
pria che
il marital mio letto abbandonando
e i fratelli e la cara figlioletta{{R|230}}
Riga 255:
e quindi è il pianto che mi strugge. Or io
di ciò che chiedi ti farò contento.
Quegli è
vaste contrade correttor supremo,{{R|235}}
ottimo re, fortissimo guerriero,
un dì cognato a me donna impudica,
Disse; ed in lui maravigliando il vecchio
fisse il guardo e sclamò: Beato Atride,{{R|240}}
cui nascente con fausti occhi miraro
la Parca e la Fortuna, onde il comando
di fior tanto
Sovviemmi il giorno
la vitifera Frigia. Un denso io vidi{{R|245}}
popolo di cavalli agitatore
che poste del Sangario alla riviera
avean le tende, ed io
lor collegato, e fui del numer uno{{R|250}}
il dì che a pugna le virili Amàzzoni
discesero. Ma tante allor non fûro
le frigie torme no quante or
Visto un secondo eroe, di nuovo il vecchio
la donna interrogò: Dinne chi sia{{R|255}}
minor del sommo Agamennón, ma parmi
e del petto più largo e della spalla.
Gittate ha
come arïète si ravvolve e scorre{{R|260}}
tra le file
parmi di greggia guidator lanoso
quando per mezzo a un branco si raggira
di candide belanti, e le conduce.
Quegli è
la donna replicò, là
suol
di molti ingegni ha il capo e di consigli.
Donna, parlasti il ver, soggiunse il saggio
Riga 294:
col forte Menelao qua venne un tempo
ambasciatore Ulisse, ed io fui loro
largo
e
accorgimento. Ma venuto il giorno{{R|275}}
di presentarsi nel troian senato,
notai che, stanti
il soprastava Menelao di spalla;
ma seduti, apparìa più augusto Ulisse.
Come poi la favella e
spiegâr la tela, ognor succinto e parco
ma concettoso Menelao parlava;
né verbo in fallo gli cadea dal labbro,
benché
stavasi in piedi con lo sguardo chino
e confitto al terren, né or alto or basso
movea lo scettro, ma tenealo immoto
in zotica sembianza, e un dispettoso{{R|290}}
detto
Ma come alfin dal vasto petto emise
la sua gran voce, e simili a dirotta
neve invernal piovean
verun mortale non avrebbe allora{{R|295}}
con Ulisse conteso; e noi ponemmo
la maraviglia di quel suo sembiante.
Qui vide un terzo il re
corpo, ed inchiese: Chi
che ha membra di gigante, e va sovrano{{R|300}}
degli omeri e del capo agli altri tutti? -
Il grande Aiace, rispondea racchiusa
nel fluente suo vel la dìa Lacena,
Aiace, rocca degli Achei.
ritto in piè
e
Spesso ad ospizio nelle nostre case
e ravviso con lui tutti del greco{{R|310}}
campo i primi, e potrei di ciascheduno
Riga 340:
o venuti, di sé nelle battaglie
niegan far mostra, del mio scorno ahi! forse
vergognosi, e
Così parlava, né sapea che spenti{{R|320}}
il diletto di Sparta almo terreno
Riga 351:
Idèo recava un fulgido cratere
ed aurati bicchier. Giunto al cospetto
del re vegliardo sì
Sorgi, figliuol laomedonteo; nel campo
ti chiamano
gli ottimati a giurar
disputeransi colle lunghe lancie{{R|335}}
sue dovizie daransi al vincitore.
Noi patteggiando
Ilio securi abiteremo, e in Argo
daran volta gli Achei. Sì disse; e strinse{{R|340}}
il cor del vecchio la pietà del figlio.
pronti obbediro. Montò Priamo, e indietro
tratte le briglie,
salirsi al fianco Antènore. Drizzaro
fuor delle Scee nel campo i corridori.
scesero a terra, e fra
procedean venerandi. Ad incontrarli{{R|350}}
tosto rizzossi Agamennón, rizzossi
tutto venìan frattanto apparecchiando
mescean le sacre spume. Indi
dieder
tratto il coltello che alla gran vagina
della spada portar solea sospeso,
e quinci in giro e quindi distributo{{R|360}}
fu dagli araldi il sacro pelo ai duci,
e la voce e le man, supplice disse:
Giove,
e sovra ogni altro glorioso Iddio,{{R|365}}
Sole che tutto vedi e tutto ascolti,
Riga 396:
Elena e tutto il suo tesor si tegna;
e noi spedito promettiam ritorno
su
Ma se avverrà che Menelao di vita
spogli Alessandro, i Teucri allor la donna
ne renderanno e
pagando ammenda che convegna, e tale
che ne passi il ricordo anco ai futuri.{{R|380}}
Se Priamo e i figli suoi, spento Alessandro,
negheran di pagarla, io qui
sosterrò mia ragione, e rimarrovvi
finché punito il mancator ne sia.
Riga 410:
sul terren li depose e senza vita.
Ciò fatto, il sacro di Lïeo licore
dal cratere attignendo,
fean colle tazze libagioni e voti;{{R|390}}
e qualche Teucro e qualche Acheo
in questo mentre così dire: O sommo
augustissimo Giove, e voi del cielo
Dii tutti quanti, udite: A chi primiero
rompa
possa il cerèbro distillarsi, a lui
ed
e adultera la moglie ir
Così pregâr: ma chiuse a cotal voto
Giove
Uditemi, dicea, Teucri ed Achei:
alla cittade io riedo. A qual
troncar debba la Parca il vital filo
sol Giove e gli altri Sempiterni il sanno.
Ma contemplar del fiero Atride a fronte{{R|405}}
un amato figliuol, vista sì cruda
gli occhi
Sì dicendo, sul cocchio le sgozzate
vittime pose il venerando veglio,
e ascesovi egli stesso, e tratte al petto{{R|410}}
le pieghevoli briglie, al par con seco
al ventoso Ilïon si ricondusse.
Ettore allora primamente e Ulisse
misurano la lizza. Indi le sorti{{R|415}}
scosser
le mani alzando supplicava al cielo,
e qualche labbro bisbigliar
Giove padre, che grande e glorïoso{{R|420}}
godi in Ida regnar, quello
che tra noi fu cagion di sì gran lite,
fa che spento precipiti alla cupa
magion di Pluto, ed una salda a noi
amistà ne concedi e patti eterni.{{R|425}}
Fra questo supplicar
Ettòr, guardando addietro: ed ecco uscire
di Paride la sorte. Allor
al suo posto ciascun, vicino
scalpitanti destrieri e alle giacenti{{R|430}}
armi diverse. Della ben chiomata
Elena intanto
Alessandro di fulgida armatura
tutto si veste. E pria di bei schinieri
che il morso costrignea
cinse le tibie. Quindi una lorica
del suo germano Licaon, che fatta
al suo sesto parea, si pose al petto:
di
nel ben temprato e lavorato elmetto,
a cui
alta una cresta orribilmente ondeggia.
Ultima prese una robusta lancia{{R|445}}
che tutto empieagli il pugno. In questo mentre
del par
Di lor
biechi. Al vederli stupor prese e tema{{R|450}}
i Dardani e gli Achei.
primier la lunga e grave asta vibrando
la rotella colpì del suo nemico,{{R|455}}
ma non forolla, ché la buona targa
rintuzzonne la punta. Allor secondo
così pregando: Dammi, o padre Giove,
sovra costui che
dammi sovra il fellon piena vendetta.
Tu sotto i colpi di mia destra il doma
sì che il postero tremi, e a non tradire
Disse, e
Penetrò fulminando la ferrata
punta il pavese rilucente, e tutta
Riga 493:
la tunica sul fianco a fior di pelle.{{R|470}}
Incurvossi il Troiano, ed il mortale
colpo schivò.
trasse la spada, ed erto un gran fendente
gli calò ruïnoso in su
Non resse il brando, ché in più pezzi infranto{{R|475}}
gli lasciò la man nuda;
e gli occhi alzando dispettoso al cielo,
Crudel Giove, gridava, il più crudele
di tutti i numi! Io mi sperai punire
di questo traditor
che in pugno, oh rabbia! mi si spezza il ferro,
e gittai
Così fremendo, addosso
con furor si disserra: alla criniera
verso gli Achivi quel meschino, a cui
la delicata gola soffocava
il trapunto guinzaglio che le barbe
annodava
E
venuta ne sarìa; ma del periglio
fatta Venere accorta i nodi sciolse
del bovino guinzaglio, e il vôto elmetto
seguì la mano del traente Atride.
Aggirollo
lo scagliò degli Achei, che festeggianti
il raccolsero. Allor di porlo a morte
risoluto
di nuovo
lo scampò Citerea, che agevolmente{{R|500}}
il poté come Diva: lo ravvolse
Riga 526:
dei profumati talami il depose.
Ella stessa a chiamar quindi la figlia
corse di Leda, e la trovò
torre in bel cerchio di dardanie spose.
Prese il volto e le rughe
filatrice di lane, che sfiorarne
ad Elena solea di molte e belle
Riga 542:
ma invïarsi alla danza, o dalla danza
riposarsi. Sì disse, e il cor nel seno{{R|520}}
le commosse. Ma quando
del bellissimo collo, e
petto, e degli occhi al tremolo baleno
riconobbe la Dea, coglier sentissi
di sacro orrore, e ritrovate alfine{{R|525}}
le parole, sclamò: Trista! e che sono
queste malizie? Ad
di Meonia o di Frigia alta cittade
vuoi tu condurmi affascinata in braccio
il suo rival, me
e perdonata Menelao radduce,
sei tu venuta con novelli inganni
ad impedirlo? E ché non vai tu stessa
e goderti quel vile? Obblìa per lui{{R|535}}
soffri fedele ogni martello, e il cova
finché
a sprimacciar di quel codardo il letto,
argomento di scherno alle troiane
spose, e a me stessa
E irata a lei la Dea: Non irritarmi,
sciagurata! non far
nel mio disdegno, e tanto io sia costretta
ad abborrirti alfin quanto
e
negli argolici petti e
metterò, se mi tenti, odii sì fieri,{{R|550}}
che di mal fato perirai tu pure.
tremò, si chiuse nel suo bianco velo,
e cheta cheta in via si pose, a tutte
le Troadi celata, e precorreva{{R|555}}
fur
corser di qua di là le scaltre ancelle
ai donneschi lavori, ed ella intanto
bellissima saliva e taciturna{{R|560}}
ai talami sublimi. Ivi
del riso Citerea le trasse innanzi
di propria mano un seggio, e di rimpetto
ad Alessandro il collocò.
la bella donna, e con amari accenti,{{R|565}}
garrì, senza mirarlo, il suo marito:
Riga 595:
Fa cor dunque, va, sfida il forte Atride
alla seconda singolar tenzone.
Ma
né nuovo ritentar
col tuo rivale, se la vita hai cara.
Non mi ferir con aspri detti, o donna,
le rispose Alessandro. Fu Minerva
che vincitor
Ma lui del pari vincerò pur io,{{R|580}}
pace, o cara, e ne sia pegno un amplesso
su queste piume; ché giammai sì forte
Riga 608:
quel dì né pur che su veloci antenne{{R|585}}
io ti rapìa di Sparta, e tuo consorte
No, non
di te
Disse; ed al letto
ella seconda; e
su i mollissimi strati si confuse.
Come irato lïon
di qua di là si ravvolgea cercando
il leggiadro rival; né lui fra tanta{{R|595}}
turba di Teucri e
significar sapea, né lo sapendo
ché come il negro ceffo della morte
abborrito da tutti era costui.{{R|600}}
Fattosi innanzi allora Agamennóne,
Teucri, Dardani, ei disse, e voi di Troia
alleati,
fu, lo vedeste, Menelao. Voi dunque
Elena ne rendete, e tutta insieme{{R|605}}
la sua ricchezza, e
ne rintegrate che convegna, e tale
che memoria ne passi anco ai nepoti.
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