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Di Fredùn sì tremendo. In sua grandezza
Temea la sua caduta, e pien d’angoscia
Pel predetto nemico era quel core.
555E un giorno fu ch’egli, sedendo in trono
Di sculto avorio (la regal sua benda
In fronte gli lucea di bei turchesi),
Raccolse da ogni parte i sacerdoti
E al vacillante suo poter sostegno
560In lor fede cercò. Diss’egli ai saggi:
     Antichi saggi, per virtù, per alta
Stirpe famosi in nostra terra, un fiero
Nemico a me sta nell’agguato, e a tutti
I saggi è questo ver ben noto e aperto.
565Giovinetto egli è ancor, ma sapïenza
Di antico gli sta in cor, prence gagliardo
Per nascimento, ardimentoso eroe
Nell’opre grandi del suo braccio. E disse
Un sacerdote, di virtù maestro,
570Nella presenza degli eroi, che, d’anni
Ben che tenero sia tal giovinetto,
Giovinetto nemico e imberbe ancora
Stimar non dobbiam noi vile e dappoco.
Nè il dispregio però, ben che fanciullo,
575Ma temo sì della fortuna avversa
L’arti mal fide; e ben sarà s’io vegga
Raccòrsi qui d’eroi, di combattenti
Maggior drappello, a me fedel, di Devi
E d’alate Perì, d’uomini ancora
580In armi esperti. Esercito infinito
Io leverò; vogl’io che con le genti
S’accapiglino i Devi. Intanto voi,
Voi con me v’accordate. Io già non valgo
A sopportar lo stato mio. Ma un foglio
585Segnate voi dinanzi a me; si attesti
In quel foglio per voi che la semenza
D’opre soltanto commendate e belle