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E a quel cenno obbedì, sì che tremendo
Fe’ un giuro innanzi a lui, quale il maligno
Avea richiesto: Non fia mai ch’io sveli
795Il tuo secreto ad uom vivente. Detto
Ascolterò che tu a me dir vorrai.
     O prence, a che nelle tue case, ei disse,
Altro dovrìa signor, da te diverso,
Sedendo governar? Perchè dovrìa
800Esservi un padre, quando è pur tal figlio?
Deh! ascolta un detto mio. Lunga è la vita
Che a questo antico padre tuo rimane
Ancora in terra. Ma tu ascoso e gramo
Passi i tuoi giorni. Tu ne afferra il trono,
805Chè ti convien suo grado eccelso in questa
Natìa tua terra. Se tu intatta presti
Fede al mio dir, prence sarai del mondo.
     Come ascoltò, Dahàk si fé’ pensoso,
Chè pien d’affanno fu quel cor pel sangue
810Del padre antico. Oh! non è degna cosa,
A Iblìs gridò, cotesta! Altro favella,
Chè ciò che di’, far non si dee per noi!
     Se dal mio dir lungi ten vai, rispose,
Se ti volgi da patti e giuramenti,
815Peso rimanga sulla tua cervice
Del giuro infranto. Vile tu sarai,
Sarà in pregio ed onor quel padre tuo!
     Ma già ne’ lacci suoi tratto il maligno
Avea l’arabo prence, ond’ei ben tosto,
820Obbedïente al suo comando, in questa
Guisa l’interrogò: Dimmi qual arte
Adoprar si convien; dimmi qual via.
Scuse o protesti non cercar! — Rispose
Iblìs allor: Bada! quest’arte io solo
825Adoprerò, per ch’io sollevi in alto
In fino al sole il capo tuo. Soltanto
Altissimo serbar sull’opra mia