L'Epitalamio d'Elena: differenze tra le versioni
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{{Qualità|avz=75%|data=19 maggio 2008|arg=Da definire}}{{Intestazione letteratura
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| Iniziale del titolo = L
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| Eventuale titolo della sezione o del capitolo =
|NomeCognomeTraduttore=Angelo Teodoro Villa▼
| Anno di pubblicazione =
| Eventuale secondo anno di pubblicazione =
| Secolo di pubblicazione = Antichità
| Il testo è una traduzione? = si
| Lingua originale del testo = greco
| Anno di traduzione = 1753
| Secolo di traduzione = XVIII secolo
| Abbiamo la versione cartacea a fronte? = no
| URL della versione cartacea a fronte =
}}
<poem>
Già presso a Menelao dal biondo crine
Dodici Verginelle un verde aventi
Giacinto in su le chiome, alto decoro
Del suol di Sparta, e in lor Città le prime,
{{R|5}}Formaro avanti al nuovamente pinto
Talamo un coro; indi co' piè concordi
Battendo il suol, fean d'Imeneo<ref>Erano appunto le Verginelle della Sposa compagne, che sulla sera principalmente si mettevano a gridare ''Imeneo'', come abbiamo da ''
Tutta sonar con l'uniforme canto,
Poichè 'l giovane Atrida<ref>Menelao, fratel minore d'Agamennone, e amendue figliuoli d'Atreo.</ref> in letto accolse
{{R|10}}Di Tindaro la figlia, Elena amata,
Seco tra' lacci d'Imeneo congiunta.
Dunque, dicean, tu caro Sposo, al primo
Calar de l'ombre isti a cercar le piume?
Che? Forse la stanchezza, il sonno, il vino
{{R|15}}Rese t'avean le tue ginocchia gravi?
Tu sol, se sazio di vegliar mai fosti,
Dovevi gli occhi satollar di sonno;
Ma lasciar, che la Vergine a diporto
Stesse con l'altre Verginelle accanto
{{R|20}}De la tenera Madre, infin che l'Alba
Chiara sorgesse. Di mattin, di sera,
Ora, e poi d'anno in anno, o Menelao,
Questa sarà, sì questa ognor tua sposa.
O Sposo fortunato, allor che a Sparta,
{{R|25}}Soggiorno d'altri Eroi, per l'alte nozze
Giungesti, allor ti starnutò<ref>Qui prende ''Teocrito'' lo starnuto per fausto augurio. Così ''Penelope'' presso d'
Alcun per fausto augurio. Avrai tu solo
Suocero Giove, di Saturno il figlio,
Tra' Semidei. Sotto i medesmi lini
{{R|30}}Quella Figlia di Giove a te sen venne,
Eguale a cui non v'ha tra l'altre Achee
Donna, che calchi il suol. Gran prole aspetta,
Quando sia pari a sì gran Madre il parto.
Noi già nel corso, e ne l'età compagne
{{R|35}}Unte ognora con lei presso a' lavacri<ref>Era usanza de' Greci, introdotta anche presso a' Romani, d'ungersi spesse volte i corpi, e di lavarsegli eziandio. Nè tanto facevan questo ne' caldi bagni domestici, quanto coll'acqua del mare, e dentro i fiumi. Molti esempi si trovano presso d'
Del fiume Eurota, a guisa d'uom; noi quattro
Volte sessanta Verginelle, e tutte
Giovani Donne, al paragon se tratte
D'Elena siam, noi tutte in volto abbiamo
{{R|40}}Alcun difetto. Qual nascente Aurora,
Che ceder fa la veneranda Notte,
A l'apparir de la Stagion più chiara,
Che 'l verno sgombra; entro di noi splendeva
L'impareggiabil Donna, altera, e grande.
{{R|45}}E qual s'alza ne' campi il solco, e quale
E' il Cipresso ne l'orto, o va nel corso
Tessalo<ref>Erano assai in credito appresso a' Greci i Cavalli di Tessaglia, e primi furono in quel paese i Centauri, che Cavalli domarono, e vi montaron sul dorso.</ref> corridor; tal fregio a Sparta
La di guance rosate Elena accresce.
Non v'è chi tali sul panier dipinga
{{R|50}}Opre, quant'Ella, o chi più taglj accorta
Da le lunghe forchette in su l'industre
Tela lo stame col fuscel tessuto:
Chi toccar sappia al par di lei la cetra,
O cantar vuol Diana, ovver la d'ampio
{{R|55}}Petto Minerva: ogni Amorin fra gli occhi
D'Elena siede. O bella, o graziosa
Vergine! Ah tu più vergine non sei.
Noi verremo al mattin, verremo al corso,
E a le foglie de' prati a farne serti
{{R|60}}Dolce-odorosi, e avrem di Te memoria,
Elena, come le lattanti agnelle,
Che a la poppa materna ognor son tratte.
Noi prima un serto col cresciuto in terra
Loto<ref>''Loto è un'erba'', dice Suida, ''d'odor soave, che alcuni chiamano Myrcloto.''
{{R|65}}Sovr'un ombroso Platano sospeso.
Noi spargerem le prime a goccia a goccia
Sotto il Platano ombroso umido unguento
Ad onor tuo fuor d'un argenteo vase.
Tai note scriverem su la corteccia
{{R|70}}In Dorica<ref>Quattro essendo, oltre al comune, i dialetti più nobili, e più usati tra' Greci, val a dire l'Attico, l'Ionico, l'Eolico, e 'l Dorico; in quest'ultimo scriveva d'ordinario Teocrito, e alcuna volta nell'Ionico. Era però il Dorico a' suoi tempi già riformato, e reso più dolce νέα, κ. μαλθακωτέρα.</ref> favella, affinchè lette
Sien da chi passa: A me si dee rispetto,
Che d'Elena son pianta. O Sposa, addio,
Addio, tu, che la Figlia hai del gran Giove.
Latona a voi conceda illustre prole,
{{R|75}}Latona de la prole alma Nutrice.
Tra Voi Ciprigna inspiri un pari affetto,
La Dea Ciprigna: Giove stesso, Giove
Di Saturno il figliuol, dono a Voi faccia
D'immortali ricchezze, acciò che sempre
{{R|80}}Passino in avvenir da generosi
A generosi Eroi. Scenda col sonno
Un reciproco amor ne' vostri petti,
Ed un'ardente brama. E in su l'Aurora
Poi vi sovvenga di lasciar le piume:
{{R|85}}Che a buon mattin ritornerem noi pure,
Quando il primo Cantor dal proprio letto
La ben pennuta sua cervice alzando
Sciorrà sua voce. Or ti rallegra intanto
Imene,<ref>Questa era la solita cantilena, che tra l'altre cerimonie nelle nozze s'usava. Perciò ''
</poem><br/>
<center>F I N E.</center>
{{Sezione note}}
[[Categoria:Testi-E|Epitalamio d'Elena, L']]
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