Viaggio in Dalmazia: differenze tra le versioni

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VIAGGIO IN DALMAZIA
 
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{{Centrato|AGL'ILLUSTRISSIMI, ED ECCELLENTISSIMI SIGNORI
 
ANDREA QUIRINI,
 
GIROLAMO GRIMANI,
 
SEBASTIANO FOSCARINI K
SENATORI GRAVISSIMI,
RIFORMATORI
DELLO STUDIO DI PADOVA}}
<poem>
 
Indice generale
*'''{{Testo|/Introduzione|Introduzione}}
Agl’illustrissimi, ed eccellentissimi signori Andrea Quirini, Girolamo Grimani,
Sebastiano Foscarini K.r senatori gravissimi, riformatori dello Studio di
Padova. Alberto Fortis
*'''{{Testo|/1|1}}
A Sua Eccellenza il signor Jacopo Morosini patrizio veneto. DELLE
OSSERVAZIONI FATTE NEL CONTADO DI ZARA.
§. 1. Dell’isole d’Ulbo, e Selve...
§. 2. Dell’isola di Zapuntello.....
§. 3. Dell’isola d’Uglian..........
§. 4. Impasti marmorei, che la compongono...
§. 5. Della città di Zara...
§. 6. Polledra ermafrodito......
§. 7. Del livello del mare....
§. 8. Della città, e campagna di Nona..
§. 9. Della campagna di Zara........
§. 10. Acquedotto di Trajano........
§. 11. Biograd, o Alba maritima.....
§. 12. Castello della Vrana..........
§. 13. Del lago della Vrana, suo emissario, e pescagione..
§. 14. Petrificazioni di Ceragne, Bencovaz, e Podluk....
§. 15. Rovine d’Asseria, ora detta Podgraje.......
§. 16. Della manna di Coslovaz.....................
§. 17. D’Ostrovizza................................
§. 18. Del rivo Bribirschiza, e di Morpolazza.....
*'''{{Testo|/2|2}}
A Sua Eccellenza mylord Giovanni Stuart, Conte di Bute, ec. ec. ec. DE’
COSTUMI DE’ MORLACCHI...........................
§. 1. Origine de’ Morlacchi.....................
§. 2. Etimologia di questo nome..................
§. 3. Origine diversa de’ Morlacchi dagli abitanti del litorale, dall’isole, e
anche fra loro.................................
§. 4. Degli Haiduci............................
§. 5. Virtù morali, e domestiche dei Morlacchi....
§. 6. Amicizie, e inimicizie............
§. 7. Talenti, ed arti..............
§. 8. Superstizioni...............................
§. 9. Costume........................................
§. 10. Vesti donnesche.....................
§. 11. Sponsali, gravidanze, parti..................
§. 12. Cibi.....................................
§. 13. Utensili, e capanne; vestiti, ed armi.....
§. 14. Musica, e poesia; danze, e giuochi.....
§. 15. Medicina.......................
§. 16. Funerali....................
*'''{{Testo|/3|3}}
CANZONE DOLENTE DELLA NOBILE SPOSA D’ASAN AGÀ.
Argomento................................
Xalostna pjesanza Plemenite Asan-Aghinize...........
Canzone dolente della nobile sposa d’Asan Agà.....................
*'''{{Testo|/4|4}}
Al chiarissimo signor cavaliere Antonio Vallisnieri p. p. di storia naturale
nell’Università di Padova. DEL CORSO DEL FIUME KERKA, IL TITIUS
DEGLI ANTICHI............
§. 1. Delle vere sorgenti del fiume Kerka.......................
§. 2. De’ colli vulcanici, che si trovano fra la cascata di Topolye, e Knin.
§. 3. Di Knin, e de’ Monti Cavallo, e Verbnik...........
§. 4. Delle acque, che confluiscono nella Kerka, e del corso di questo
fiume, sino al Monastero di S. Arcangelo...................
§. 5. Delle rovine di Burnum..................................
§. 6. Corso del fiume sino alla caduta di Roschislap.......
§. 7. Corso della Kerka sino alla cascata di Scardona......
§. 8. Della città di Scardona, e d’alcuni tratti d’antichi scrittori, attinenti
alla mineralogia della Dalmazia...........................
§. 9. Voci popolari in fatto di mineralogia dalmatina......
*'''{{Testo|/5|5}}
Al chiarissimo signor abbate Gabriello d.r Brunelli professor disegnato di
storia naturale nell’Istituto di Bologna. DEL CONTADO DI SIBENICO, O
SEBENICO..................................
§. 1. Del territorio, e della città di Sibenico.......
§. 2. De’ letterati che nacquero, o fiorirono nel XVI secolo a Sibenico; e de’
pittori...................................
§. 3. Porto di Sibenico, e Lago scardonitano. Costumanze antiche......
§. 4. Pesca del lago, litografia, e produzioni subacquee del porto di
Sibenico.....................
§. 5. Villa, e vallone di Slosella.............................
§. 6. Osservazioni su l’androsace...........................
§. 7. Dello scoglietto di S. Stefano......
§. 8. Dell’isola di Morter.....................
§. 9. Di Tribohùn, Vodizze, Parvich, Zlarine, e Zuri......
§. 10. De’ laghi di Zablachie, e di Morigne...........
§. 11. Di Simoskoi, e Rogosniza.......................
*'''{{Testo|/6|6}}
Al chiarissimo signor Gian-Giacopo Ferber, membro del Collegio
mineralogico di Svezia, socio di varie accademie, ec. DEL CONTADO DI
TRAÙ.................................................................
§. 1. Del distretto di Traù........................................
§. 2. Di Bossiglina, e della penisola Illide........................
§. 3. Della città di Traù, e del marmo traguriense degli Antichi.......
§. 4. Dell’isola di Bua................................................
§. 5. Minera di pissasfalto..............................................
§. 6. Delle patelle articolate...........................................
§. 7. Del litorale di Traù verso Spalatro, e della pietra di Milo...
§. 8. Degl’insetti nocivi................................
A Sua Eccellenza il signor Giovanni Strange ministro britannico presso la
Serenissima Repubblica di Venezia, membro della Società reale di Londra, e
d’altre celebri accademie d’Europa, ec. DEL CONTADO DI SPALATRO...
§. 1. Descrizione degli strati, e filoni del promontorio Marian. Sbaglio del
Donati rilevato......................................................
§. 2. Del porto, della città, della storia letteraria di Spalatro....
§. 3. Rovine di Salona..........................................
§. 4. Della montagna di Clissa, e del Mossor.....................
§. 5. Del paese abitato da’ Morlacchi fra Clissa, e Scign; della valle di
Luzzane, e del Gipàlovo Vrilo.....................................
§. 6. Della montagna Sutina, e luoghi aggiacenti..................
§. 7. Delle rovine d’Epezio, e de’ petrefatti che si trovano in que’ contorni.
Al chiarissimo signor Giovanni Marsili professore di botanica nell’Università
di Padova, membro della Società reale di Londra, ec. DEL CORSO DELLA
CETTINA, IL TILURUS DEGLI ANTICHI.............
*'''{{Testo|/7|7}}
§. 1. Delle fonti della Cettina...............
§. 2. Viaggio sotterraneo.........................
§. 3. Pranzo morlacco in un sepolcreto..............
§. 4. Pianura di Pascopoglie, Fonte salsa, isola d’Otok. Rovine della
Colonia Equense.........................................
§. 5. Delle colline vulcaniche, e de’ laghi di Krin. Gesso di Scign.......
§. 6. Della fortezza di Scign, e della campagna vicina..............
§. 7. Corso della Cettina fra’ precipizj; sue cateratte......
 
§. 8. Corso della Cettina da Duare, sino alle foci..........
§. 9. Della provincia di Pogliza, e suo governo.........
§. 10. Della città d’Almissa. Ingiustizia fatta dal padre Farlati a quegli
abitanti. Errori geografici dello stesso.......
§. 11. Della muraglia naturale di Rogosniza, e della Vrullia, il Peguntium
degli Antichi...........................
§. 12. Della paklara, o remora de’ Latini.......
*'''{{Testo|/8|8}}|
A Sua Eccellenza mylord Federico Hervey vescovo di Londonderry, pari
d’Irlanda, ec. ec. DEL PRIMORIE, O SIA REGIONE PARATALASSIA
DEGLI ANTICHI.......................
§. 1. Della città di Macarska.....................
§. 2. Del monte Biocova, o Biocovo, che domina Macarska....
§. 3. Delle meteore del Primorie.............
§. 4. Del mare che bagna il Primorie; del suo livello; della pesca...
§. 5. De’ luoghi abitati lungo il litorale del Primorie a ponente, e a levante
di Macarska.........................
§. 6. Delle voragini di Coccorich; de’ laghi di Rastok, di Jezero, di Desna; e
del fiume Trebisat.........................
§. 7. De’ fiumi Norin, e Narenta, e della pianura allagata da essi........
*'''{{Testo|/9|9}}
Al chiarissimo signor abbate Lazzero Spallanzani pubblico professore di storia
naturale nell’Università di Pavia, membro della Società reale di Londra,
dell’Istituto di Bologna, e d’altre celebri accademie d’Europa. DELL’ISOLE
DI LISSA, PELAGOSA, LESINA, E BRAZZA NEL MARE DALMATICO, E
DELL’ISOLA D’ARBE NEL QUARNARO......................
§. 1. Dell’isole Lissa, e Pelagosa.......................
§. 2. Dell’isola di Lesina.........................
§. 3. Dell’isola di Brazza...........................
§. 4. Dell’isola d’Arbe, nel Golfo del Quarnaro.....................
</poem>
 
 
ALBERTO FORTIS
 
Io avea già scorso parte della Dalmazia, profittando della dotta compagnia d’un ragguardevolissimo personaggio straniero, e mi accingeva a passare in più rimote contrade spinto dal desiderio d’acquistar nuovi lumi, quando l’elevato genio dell’amplissimo senatore signor Giovanni Ruzini fervidamente promosse una mia seconda spedizione in quel regno, sull’esempio delle tanto moltiplicate e sostenute dai più illuminati Sovrani dell’età nostra. Prestaronsi a favorirla con generosa efficacia il nobil uomo signor Filippo Farsetti, celeberrimo protettore delle scienze e dell’arte tanto della sua stessa celebrità quanto d’ogni elogio trascendentemente maggiore, e il nobil uomo signor conte Carlo Zenobio, pelle signorili doti dell’animo, pella coltura dello spirito, pella dolcezza delle maniere e pell’aurea modestia ch’egli in superior modo fa unire alla grandezza, da qualunque ordine di persone riverito ed amato. I risultati del viaggio, eseguito sotto auspici sì fortunati, formano l’opera che ardisco d’offerire alla sapienza dell’Eccellentissimo Magistrato, dal cui zelo sono protetti ed incoraggiati gli studi utili ne' felicissimi stati del Veneto Dominio. Sicuro di non avere risparmiato insistenza o sfuggito disagio per corrispondere all’oggetto della mia missione, io mi sento animato dalla speranza che l’Eccellenze Vostre sieno per accogliere benignamente l’omaggio d’un divoto suddito, quantunque la debolezza dell’ingegno e la scarsezza delle cognizioni possano
 
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peravventura averlo reso meno perfetto di quello che farebbe duopo egli fosse, per comparire degnamente dinanzi a Loro. Se dalla pubblicazione di questa fatica mia non altro vantaggio presentaneo si ottenesse che la sostituzione de’ marmi dalmatini (de’ quali servivansi, pell’architettura non meno che pegli usi più nobili della statuaria, i Romani), a quelli che a caro ed oggimai indiscreto prezzo annualmente ci vendono i forastieri, io stimerei che i miei nobilissimi mecenati potessero sentire la compiacenza d’aver reso, nella scoperta di quelle antiche lapicidine, un servigio non lieve alla nazione. Che se poi dagli esami diligenti intorno all’indole e allo stato attuale de’ laghi, delle paludi, de’ fiumi; dalle notizie de’ prodotti naturali di quel vasto paese e dalle indicazioni tendenti ad aumentarli, a migliorarli, a renderli più utili allo Stato; dalla scoperta di qualche nuova cosa che sfuggì finora alle ricerche de’ naturalisti, ne derivassero de’ vantaggi sensibili al pubblico patrimonio, al commercio nazionale ed alle arti allora i generosi promotori della mia spedizione goderebbero con incontrastabile titolo la qualificazione d’ottimi patrioti ed io gusterei pienamente della interna contentezza che inonda l’anima del suddito utile, a cui ben più che alla fama d’erudito e scienziato deve ogni bennato uomo aspirare.
La clemenza e la protezione autorevole dell’Eccellenze Vostre, ch'io imploro col più vivo sentimento di rispettosa fiducia, potranno sole condurmi a tanto bene ed animare in me vie maggiormente il desiderio di penetrare, con viste di pubblica utilità, ne’ segreti della scienza naturale, da tutta l’Europa colta riconosciuta a’ dì nostri dopo replicate sperienze come la meno disputatrice ed incerta e, per conseguenza, la più direttamente vantaggiosa d’ogn'altra.
 
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{{Centrato|A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR
 
JACOPO MOROSINI PATRIZIO VENETO}}
 
Delle osservazioni fatte nel Contado di Zara
 
La lontananza da Venezia privandomi dell’onore d’esserle vicino sovente, e togliendomi pell’interposto mare il modo d’inviarle con sicurezza frequentemente nuove di me, non farà già ch’io tralasci di scriverle. Assai tardi Vostra Eccellenza probabilmente avrà questa mia lettera: ma io sono ben certo che in qualunque tempo le giunga sarà benignamente accolta, mercé di quella bontà cui Ella degnasi d’avere per me, e di quel trasporto col quale usa ricevere tutte le notizie che tendono a dilatare i progressi della scienza naturale.
 
Io mi sono prefisso di render conto delle varie osservazioni che ho di già fatte, e di quelle che sarò per fare d’ora innanzi nelle mie peregrinazioni, intraprese sotto gli auspici di nobilissimi mecenati patrizi, a quel picciolo numero d’illustri amatori o di celebri professori, co’ quali mi tiene in corrispondenza il vincolo fortissimo degli studi comuni. L’incominciare dallo scriverne a Lei mi sembra un tanto più preciso dovere, quanto che i coltivatori della buona ed utile scienza de’ fatti, e le produzioni così belle e varie della natura (in un secolo di tanta luce pel resto dell’Europa), dispregiate e pur troppo mal conosciute fra noi, unicamente presso l’Eccellenza Vostra ritrovano buon’accoglienza e ricetto.
Io dividerò le mie lettere, ora seguendo la separazione topografica dei distretti, ora il corso de’ fiumi, ora il circuito dell’isole, ora la natura ed analogia delle materie. L’estensione della Dalmazia Veneta è troppo vasta, il numero dell’isole di questo mare troppo considerabile, perché da brevi peregrinazioni qualche cosa di
 
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completo possano aspettare i naturalisti. V’hanno degli uomini audaci che, trasportati da uno sconsigliato fervore di giovinezza e persuasi di poter imporre al mondo letterario, promettono di dare in pochi mesi la botanica, la zoologia e l’orittografia delle più vaste provincie; ma chi è usato a contemplare con filosofica posatezza la varietà immensa delle cose intende pur troppo bene, che non basta la vita d’un uomo solo (ed abbia pur egli aiuti generosi) a tessere la completa storia naturale della più picciola isola o del territorio più angusto. Un’acqua minerale, una vasta e diramata caverna, il corso d’un fiume con tutte le acque influenti, ricercano lunghissime osservazioni innanzi che si possa di loro espressamente trattare. E come non le ricercherebbono, se gli abitanti subacquei del più picciolo seno di mare, anzi un solo di essi, una pianta, un insetto, di cui si vogliano appieno conoscere le trasformazioni e le proprietà, puote occupare per mesi ed anni talvolta un oculato naturalista, prima di lasciarsi conoscere a perfezione? Chi non diverrebbe modesto e tardo sapendo che quanto Swammerdam, Reaumur, Maraldi e tanti altri uomini celeberrimi hanno osservato intorno alle api, resta convinto di poca esattezza dopo le recenti osservazioni di mr. Schirach? Vostra Eccellenza, che ben conosce le asprezze e l’ampiezza del campo in cui sudano i naturalisti, voglia difendermi dalle voci indiscrete de’ non-conoscitori di questa scienza, che pur talvolta l’osservatore taciturno e raccolto in se stesso importunano latrando, come i fastidiosi cani usano di fare contro chi va pe’ fatti suoi, senza pensare a recar loro molestia.
 
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§. 1. Dell’isole d’Ulbo e Selve
 
Varcato quel tratto di mare che dai nostri naviganti e da’ geografi è conosciuto sotto il nome di Quarnaro, le prime isolette dove io ho approdato furono le due contigue d’Ulbo e di Selve8, fra le quali sogliono passare i legni minori diretti da Venezia a Zara. Esse probabilmente sono quelle medesime che da Costantino Porfirogenitoa trovansi annoverate fra le deserte, co’ nomi al di lui solito stroppiati d’Aloep e Selbo9. L’opportunità della situazione in cui trovansi fa che, a’ tempi nostri, sieno abitate e coltivate anche più che non merita lo scarso ed ingrato loro terreno. Gli abitatori vi hanno che fare con un fondo arido e petroso, in cui gli
 
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ulivi mal volentieri allignano e le viti producono poco buon frutto; di grano fanno sì miserabile raccolta che non giova parlarne. La pietra dominante vi è della pasta di marmo compatto biancastro ch’è, come sa Vostra Eccellenza, estesa anche molto ampiamente pe’ monti più alti dell’Italia che guardano il Mediterraneo, e segnatamente a Piperno, a Terracina e presso le reali delizie di Caserta ritrovasi. Io non so se facendo il giro del golfo fra l’Italia nostra e l’Istria si ritrovasse pelle altezze10 del Friuli, non essendomi fino ad ora accaduto di viaggiare per quelle contrade, né (per quanto mi si fa credere) avendovi molti amatori dichiarati l’orittografia. N’è però composta per la maggior parte la penisola dell’Istria, e regna questa spezie d’impasto pell’isole intermedie, mostrando una contemporaneità d’origine coi monti litorali e mediterranei, ne’ quali si veggono del marmo medesimo vaste stratificazioni, quantunque benespesso fuor della giacitura loro naturale e interrotte. Noi lo abbiamo comunemente sotto gli occhi, pel grand’uso che se ne fa nelle fabbriche di Venezia, e mi pare che convenga col calcareo solido, di particelle impalpabili e indistinte del Wallerio. L’apparenza di questo marmo è silicea, particolarmente nella frattura, rompendosi egli sotto il martello in ischeggie concavo-convesse come le focaie usano di fare. Tardi si lascia attaccare dagli acidi artefatti, e non v’è che l’aria con quelli cui porta seco sovente, che rendane in lungo giro d’anni la superficie scabrosa e lasci distinguere i corpicelli triturati ond’egli è composto. Sull’umile isoletta d’Ulbo io ho raccolto de’ curiosi esemplari di pietra ostracitica. I gusci delle ostriche vi si
 
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trovano orizzontalmente disposti l’uno sopra l’altro; la lunga età né li calcinò, né li petrificò. Essi conservano la lucentezza loro naturale, e si rompono in isquame laminose a un di presso come fanno quelli che di fresco sono tratti dal mare. Non sono però que’ gusci spoglie d’abitanti delle nostre acque, che non producono ostraciti così lunghe e scannellate, ma sembrano abbandonati colà da quel rimoto Oceano, de’ di cui testacei formaronsi i vasti strati di pietra calcarea differentemente impastati che compongono tuttora l’ossatura dell’isole di Dalmazia, piccioli e miserabili avanzi d’antiche terre squarciate da’ fiumi, corrose da’ sotterranei torrenti, scombussolate da’ tremuoti, capovolte da’ vulcani e finalmente allagate dal nuovo mare. Io ho dato a questo aggregato il nome di pietra calcarea scissile, spatosa, alternativamente composta di trituramenti marini e d’ostraciti piane, scannellate, esotiche. Fra le fenditure degli strati e nelle picciole caverne che vi si trovano benespesso, è frequente cosa l’incontrare delle grosse incrostazioni e gruppi di qualche mole. Queste rassomigliano identicamente al marmo dolce, stalattitico, colorato, a fascie serpeggianti, cui gli scalpellini nostri conoscono sotto il nome d’alabastro di Corfù. Sull’isola di Selve non ebbi campo di fare osservazioni d’alcuna sorte; il vento e la pioggia burrascosa che mi vi avea spinto, m’impedì anche una breve escursione. E probabile che le pietre non vi siano differenti da quelle d’Ulbo. Entrambe queste isolette godono d’aria salubre; non hanno però acqua buona e sentono troppo da ogni lato i venti, non avendo eminenze che le difendano. Selve abbonda di popoio addetto alla navigazione e di greggie.
 
§. 2. Dell’isola di Zapuntello
 
L’ostinazione del vento burrascoso mi cacciò a forza in un seno dell’isola di Zapuntello, dopo ch’ebbi salpato da Selve. L’isola è poco abitata in proporzione
 
 
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della sua estensione, quantunque v’abbiano tre ville15, da una delle quali riceve il nome. Chiamasi anche Melada per la ragione medesima, e non è da dubitare che sia la nominata Meleta dal Porfirogenitoa fra le deserte del mar di Zara. Io non mi sono colà fermato lungamente, ma anche la breve dimora mi vi fece osservare delle curiosità fossili. Vi raccolsi de’ grossi pezzi di pietra forte16, ripieni d’una spezie incognita di lapidefatti appartenenti alla classe degli ortocerati, de’ quali mi riservo a far parola in altro luogo più diffusamente. Ma la più bella produzione fossile di Zapuntello si è una pietra calcarea bianchissima, che ha durezza quasi marmorea, benché apparisca farinosa nella frattura; in essa trovansi delle impressioni di lavori petrosi, arborei, degl’insetti marini. Sembra che nella fanghiglia indurata ond’ebbe questa spezie di pietra l’origine, varie spezie di madrepore e coralline sien rimaste sepolte; l’acido che le distrusse, vi lasciò vuoto o al più tinto d’ocra ferruginosa il luogo che occupavano, per modo che dall’impressione che ne rimane, si può agevolmente giudicare della cosa distrutta. L’arena marina di quel porto è popolata di piccioli nicchi microscopici del genere de’ nautili e Corna d'Ammone, le figure de’ quali trovansi nell’opera del celebre Giano Plancob Delle conchiglie men conosciute, ch’egli ebbe il merito di scoprire il primo nelle arene del nostro mare. Io avrei voluto tentare di far un’appendice alle oculatissime osservazioni di lui, sottoponendo al microscopio acquatico questi piccioli viventi appena estratti dal mare. onde veder se fosse possibile il sapere qualche cosa di più intorno alla struttura particolarmente dell’abitante di
 
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quella conca politalamia che chiamasi Corno d’Ammone, non rimanendo alcun dubbio che la sola differenza fra le maritime del naturalista riminese e le montano-fossili, consista unicamente nella varietà della mole.
 
§. 3. Dell’isola d’Uglian
 
Il primo luogo dov’io mi fermai di proposito per fare qualche osservazione, si fu l’isola d’Uglian nel canale di Zara. Io vi restai otto giorni esaminandone i colli petrosi, vagando poco utilmente in cerca di nuove cose lungo le rive del mare ed occupandomi del cinguettare alla meglio qualche parola d’una lingua, il di cui uso m’era divenuto necessario. I dolci costumi di que’ poveri isolani mi rendevano cara quella solitudine, a cui m’aveva condotto l’abituale melanconia che forma oggimai il fondo del mio carattere. Io avrei voluto potermivi fermare lungamente e lo avrei fatto, se l’incommoda combinazione d’esser male accompagnato non mi avesse quasi a forza costretto a pensar altrimenti. L’isola è feconda produttrice d’ogni cosa, quando i coltivatori scelgano opportunamente le situazioni cui destinano alle varie spezie di semi o di piante. Ell’ha però un guaio comune a quasi tutte l’isole di questo arcipelago illirico: l’acqua vi manca, e se ne risentono, pur troppo sovente nella calda stagione i poveri abitatori, che veggono inaridire le loro speranze e sono costretti a portarsi l’acqua da lontani luoghi, o a berne di pessima e mal conservata in pozzanghere.
Il vestito degli abitanti dell’isole soggette a Zara è molto dissimile da quello de’ contadini nostrali21 e s’accosta più a quello che usano i coltivatori delle terre del continente vicino. Le donne però, e le fanciulle in particolare, hanno una sorte di vesti e d’ornamenti assai vagamente ricamati. Io ho creduto che meritassero l’applicazione del mio disegnatore (Tav.I).
 
 
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Sull’isola d’Uglian, presso alla maritima villetta di Cale, ha voluto combattere colla natura e vincerla il signor T.C. conte di Therry che, a dispetto della marmorea ossatura del colle, riuscì a farvi delle ortaglie col metodo italiano. Gl’insetti fannogli una guerra atrocissima e, ad onta dell’attenzione ch’ei vi sa usare, gli devastano pur troppo spesso i prodotti. A quelli che volano pell’aria si uniscono le lumache, delle quali io non ho mai veduto altrove così prodigiosa quantità. Vi avrebbe trovato da soddisfarsi quel Fulvio Irpino, che il primo fece vivai di lumache nella campagna tarquiniese. Io non so se nell’isola d’Uglian crescano alla maggiore grandezza, come a detta di Plinio22 ne’ di lui vivai facevano le lumache illiricheb, Ma è probabile che se vi si lasciassero propagare e vivere tranquillamente la loro mole corrisponderebbe alla fecondità.
 
§. 4. Impasti marmorei che la compongono
 
Varie spezie di pietra formano l’ossatura d’Uglian e degl’isolotti vicini, ma si possono ridurre a quattro principali. Il più basso strato è marmoreo, con un’infinità di corpi estranei ceratomorfi, cristallizzati in ispato bianco, calcareo. Questi corpi non sono tutti simili di mole e di configurazione, quantunque siano tutti fistolosi e recurvi. Alcuni esemplari ch’io ne conservo corrispondono alla descrizione dell’helmintholitus nautili orthocerae del signor Linneo Il
 
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celeberrimo naturalista crede senza dubbio abitante de’ fondi del Baltico l’originale marino di questa petrificazione (d’onde non fu però mai tratto vivo né in istato testaceo), condotto a ciò dal trovarla frequentissima nel marmo da lui detto stratario, cioè usato ne’ pavimenti delle strade di molte provincie a quel mare aggiacenti. Sembra che il dottissimo uomo siasi dimenticato, questa volta, delle tante spezie di piante esotiche, de’ corpi marini stranieri e delle ossa d’animali terrestri che si trovano lapidefatte nelle viscere de’ monti d’Europa, né mai si rinvengono in istato naturale pe’ nostri mari. Io posso impegnarmi che nell’Adriatico non vivono gli ortocerati, i quali pur sono petrificati nel marmo dell’isole e del continente di Dalmazia; i pescatori di coralli ne hanno scopato il fondo quanto basta per farci sapere che non vi abitano spezie di viventi assai propagate, delle quali ci restino tuttora incogniti gl’individui. Ho fatto disegnare vari pezzi di questo marmo, ne’ quali veggonsi prominenti gli ortocerati, e descriverò più minutamente i corpi presivi dentro, quando farò parola dell’isoletta su di cui ho raccolto i più interessanti. Voi troverete certamente, Eccellentissimo Signore, che fa una strana sensazione al galantuomo quell’asseverante sine dubio, non appoggiato a veruna prova di fatto e contraddetto poi immediatamente da quel deperditus; e quindi non vorrete condannarmi se mi sono emancipato fino al dir contro un celeberrimo uomo, riverito meritamente dalla maggior parte dei coltivatori della scienza naturale.
 
La seconda spezie di marmo d’Uglian, analoga alla pietra ostreifera d’Ulbo, contiene gran quantità d’ostraciti conservatissime e riconoscibili, ma non separabili agevolmente dalla troppo resistente pasta lapidosa in cui stanno prese; si lasciano particolarmente vedere sulla superfizie di que’ pezzi di marmo che sono stati lungamente esposti all’azione dell’aria e delle pioggie. Tanto quel primo ch’è composto d’ortocerati, quanto questo ostreifero sono di color bianco, ma
vanno scoprendo, offrendo al naturalista un modello e uno schema ideale cui rapportarsi e confrontare le proprie osservazioni.
 
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rigidi e intrattabili dallo scalpello di chi volesse trarne lavoro men che grossolano. Sarebbe più atto a prender forma sotto l’artefice il terzo, ch’è assai compatto e ritiene bensì corpi marini, ma così infranti, o così compenetrati dalla sostanza lapidosa, che non si ponno per ignun modo sconnettere. Le sommità de’ colli d’Uglian sono di marmo calcareo, compatto, di parti impalpabili, istriano, dalmatino, o apennino che dir si voglia, da che l’impasto medesimo descritto più addietro come dominante in Ulbo, a vicenda colle breccie domina su le altezze di tutte queste provincie e in Italia. Il Donati, descrivendolo meno esattamente che il Linneo, lo chiama marmo opaco, di grana uniforme, di colore biancastro, ed ha creduto che fosse il traguriense degli Antichi, non so quanto bene apponendosib. Ho per la prima volta veduto su di quest’isola una curiosa spezie di kermes (se pur questo nome può convenirgli, e piuttosto non si dee formarne un nuovo genere)25sul fico e, non risovvenendomi d’aver letto alcuno autore che l’abbia descritta, né d’averne veduto la figura ne’ libri classici d’insettologia, l’ho voluta far disegnare. Questo insetto è differentissimo dal faux-puceron del signor di Reaumur, che non si è mai lasciato trovare da me su’ fichi della Dalmazia. Osservi l’Eccellenza Vostra il ramoscello di fico (Tav. I, Fig. A) su di cui stanno attaccate le galle, se pur con tal nome ponno esser senza improprietà chiamate queste crisalidi singolarissime. Egli non è de’ più carichi; v’ha tale albero, i di cui rami minori tutti ne sono così eccessivamente coperti che rassomigliano a un vaiuoloso pieno di pustole accavallate. La Figura B mostra la galla alcun poco ingrandita; ella è per certo uno de’ più eleganti lavori che l’insettologia possa offerire a’ curiosi. La sua cupola è striata, ma così minuta- mente, che non perde punto della levigatezza se sia guardata coll’occhio nudo. La sommità di essa è costantemente adornata da una papilla che ricorda quelle nelle quali stanno incastrate le spine degli echini. La parte inferiore intorno alla base è circondata
 
b Donati, Saggio d’istoria naturale dell’Adriatico, p, VIII.
 
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da otto papille, quasi del tutto simili alla superiore, che corrispondono ad altrettanti fermagli, co’ quali si è da prima attaccato per disotto l’animaluzzo alla corteccia. La grandezza di queste galle è inuguale: ve n’hanno di quelle che restano meschine e malfatte, per essersi fermato l’animaletto, dal quale tranno l’origine, troppo vicino a due o tre altri che hanno succhiato il latte della corteccia, col mezzo del quale anch’elleno dovean crescere. Non è da mettere in dubbio che dall’umore lattiginoso del fico, elaborato pe’ vasi del trasformato animaluzzo, non prenda giornaliero accrescimento la galla; da che, se per qualche disavventura esteriore ella venga guasta alcun poco, si riproduce la parte offesa facilmente, come usano di fare i gusci delle lumache. Questa particolarità sola par che possa bastare a costituirne un nuovo generea. La sostanza del di lei guscio è un cerume, o lacca, molto analoga al latte seccato dell’albero su di cui nasce e propagasi. Non si potevano distinguere le parti dell’animale, allora quando io l’osservai pella prima volta sull’isola d’Uglian e ne feci raccogliere buona quantità; in tutte le galle ch’io volli esaminare allora, trovai una sostanza mocciosa, di colore sanguigno, che tingeva di bellissimo rosso le dita. Ne portai a Zara nel mese di giugno un gran cartoccio; e da una picciola porzione di esso ritrassi per la via semplice della decozione un cerume di color incarnato; l’acqua in cui bollirono le galle restò tinta di rosso-giallognolo.
Io ne serbava parecchie, da me staccate con diligenza senza ferire l’animale nascostovi, in uno scatolino cui per vari giorni non badai punto, distratto da altre occupazioni. All’aprirlo trovai con mia sorpresa che n’erano usciti innumerabili granellini rossi i quali, esaminati sotto’l microscopio, mi si fecero conoscere per ova allungate a somiglianza dei boccioli de’ bachi da seta. Niun vestigio di verme o
a Parecchi scrittori non ignobili, fra’ quali Garzia dall’Orto, Bonzio, Montano, Amato Lusitano e Tavernier, hanno asserito che la lacca della China, del Giappone e del Pegu sia tratta dall’albero dettovi facoski, o namra, da una spezie di formiche alate. Potrebb’esser vero in parte, se non del tutto, da che un insetto più minuto e debole può estrarre un cerume dal fico. Il Cleyero fin dal 1685, stando a Nangasaki, scrisse al Mentzelio che questa era una favola, e che la lacca traeasi unicamente per incisione: ma fors’egli non avea potuto prender tutti i lumi necessari, V. Garziae ab Horto, Hist arom., l. I, c. 8; Jacobi Bontii, Medic. lnd.; Arnoldi Montani, Hist. Legat. Batav. Soc. lnd. Orient ad Imp. Japon; Amati Lusitani, in Dioscorid., l. 1; Tavernier, p. 2, l. 2.
 
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di mosca rinvenni nella scatola, né sospetto che potessero esserne usciti mi poté venire, perch’ella chiudevasi esattamente a vite, Riposi, avendola prima diligentemente chiusa, la mia scatoletta; e quattro o sei giorni dopo, riapertala, vidi un innumerabile esercito d’animaluzzi rossi che da prima mi parvero aver ali bianche, ma che poi esaminati colle lenti mi si fecero conoscere apteri, da sei piedi, e non ancora del tutto liberi dal guscio dell’ovo cui portavano su la schiena, in guisa d’ale sollevate ed unite. Io li rinserrai nella loro prigione dove morirono in pochi giorni di fame. Non si trovavano nelle campagne de’ contorni di Zara fichi popolati da quest’insetti; e quindi rinunziai al desiderio di veder più oltre. Poco tempo dopo ne rinvenni sull’isola della Brazza26, e in molte galle o crisalidi sorpresi un verme che mi fe girare il cervello: ma dopo d’avervi ben pensato, io pendetti a crederlo un usurpatore anzi che un abitator naturale della casa. E vie più in questa opinione mi confermai allora quando mi venne fatto di trovare gl’insettini rossi erranti pe’ rami, indi mezzo istupiditi e strettamente aderenti alla corteccia. Io mi prometto di riosservarli diligentemente, se mi si presenteranno di nuovo in opportuna stagione. E tanto più mi cresce la voglia di farlo, quanto che quelle ova rosse hanno di molta rassomiglianza colla grana del kermes tintorio. Io spero che stiacciandole e riunendole in massa prima che sbuccino, o dagli animaluzzi uccisi appena sbucciati, si avrà una pasta da farne qualche cosa di ragionevole. Il Quinquerano27, cent’ottant’anni sono, scrisse della grana del kermes circostanze che molto convengono a questa nuova grana del ficoa.
 
a «Has autem baccas quando vident in vermiculos abire velle illos aceto, vel aqua frigidissima ex puteo adspergunt, et in loco tepido supra fornacem, seu in sole lente exsiccant, donec moriantur. Aliquando animalcula ista a vesiculis relictis segregant, et extremitatibus digitorum leniter comprehendendo in pilam, seu massam rotundam efformant, quae multo pretiosior est granis, et ideo majori pretio a mercatoribus emitur». Quinqueran. ap. Cestonium, in Ep. mss. ad Vallisnerium Seniorem. Dove si dee notare che le voci vermis e vermiculus usavansi frequentemente in quel tempo per indicare un insetto qualunque.
 
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Non è antica né costante questa malattia de’ fichi pell’isole e lidi della Dalmazia. Se ‘1 verno freddo più dell’usato si faccia sentire in qualche distretto, il paese resta per quell’anno quasi totalmente libero dagl’incomodi insetti che fanno un vero danno alla provincia, dove i fichi formano un importante capo di commercio. L’albero, di cui questa genìa s’è impossessata, porta insipidi e schifosi frutti perché ricoperti anch’essi, come le foglie e i rami, della nuova generazione resavisi di già immobile e sepolta sotto la sua spoglia di lacca.
Quando però gli alberi abbiano sofferto per due o tre anni di seguito questa peste, la corteccia annerita e tutta cariosa si distacca dai rami che infracidiscono; l’aspetto loro è squallido anche nel fine di primavera, e finalmente il fracidume dall’estremità propagandosi sino alle principali diramazioni, il tronco medesimo ne resta offeso e perisceb.
 
§. 5. Della città di Zara
 
Zara, detta Jadera da’ Latini e Diadora ne’ bassi tempi, ch’era una volta la capitale della Liburnia, vale a dire della gran penisola che sporge in mare fra i due fiumi Tedanio e Tizio, ora conosciuti sotto i nomi di Zermagna e di Kerka28, dopo la decadenza dell’Impero romano è divenuta la capitale di una più estesa provincia. Il tempo, che ha fatto perdere sino alle vestigia della maggior parte delle città liburniche, ha sempre rispettato questa. Ella gode attualmente di tutto lo splendore che può convenire a una città suddita, e probabilmente ha guadagnato coi girare de’ secoli in vece di perdere. La società di Zara è tanto colta quanto si può desiderarla in qualunque ragguardevole città d’Italia; né vi
b Nel mese di settembre 1773, vale a dire un anno dopo ch’io avea scritto queste osservazioni, ritornato a Zara non trovai su’ fichi de’ contorni vestigio alcuno dell’insetto. Così Io cercai indarno sull’isole di Cherso, d’Ossero, di Veglia, d’Arbe e di Pago. Communicai quel poco ch’io ne ho osservato al celeberrimo naturalista sig. Carlo Bonnet, e questo illustre amico mi anima a proseguirne l’esame, come di cosa interessantissima pell’insettologia non meno che per le arti.
 
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mancarono in verun tempo uomini distinti nelle lettere. Federico Grisogono, che visse nel bel mezzo del XVI secolo29, pubblicò un Discorso sopra le cause del fiusso e riflusso del mare, attribuendolo alla pressione del sole e della luna, Gianpaolo Gallucci, saloense, inserì per intero questo trattatello nella sua opera intitolata Theatrum Mundi et Temporis30, traendolo dal libro medico in cui l’avea posto l’autore. Simone Gliubavaz, gentiluomo zaratino31, lasciò molte preziose carte tendenti ad illustrare la nobile sua patria, e l’ampio territorio ch’ella possiede. Restaci di questo valentuomo un opuscolo manoscritto inedito, che illustra tutte le iscrizioni zaratine ch’erano state disotterrate sino alla metà del XVII secolo. Fra quelli che attualmente vi abitano, meritano distinta menzione l’amabile e coltissimo signor conte Gregorio Stratico32, e il signor Domenico Ballo, taciturno, modesto e forse troppo lucifugo gentiluomo, dalla onestà, cortesia e sapere de' quali gran vantaggi può ritrarre il viaggiatore. Delle antiche fabbriche romane che l’adornavano, miserabili vestigi vi si conoscono appena, le fortificazioni moderne essendovi state fatte a spese degli antichi rimasugli. Troverà Vostra Eccellenza agevolmente ne’ collettori le molte iscrizioni che vi si conservavano sino al principio di questo secolo. Elleno provano che questa città e colonia fu guardata con particolare affezione da molti Imperadori romani, e segnatamente da Augusto e dall’ottimo Traiano. Il primo meritò d’esser chiamato Padre della colonia jadertina, e di questo titolo resta il documento in una
 
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pregevole lapida, il secondo fece fabbricare, o ristorare, un acquedotto che vi portava l’acqua di lontano, il che rilevasi da un frammento d’iscrizione tuttora esistente nella città. Io sono stato accolto a Zara con generosa ospitalità nella bella abitazione del signor dottor Antonio Danieli, dotto professore di medicina. Ella è adornata da vari pezzi di scolture antiche, fra’ quali distinguonsi quattro statue colossali di marmo salino, che a proprie esorbitanti spese questo zelante amatore dell’antichità fece trarre dalle rovine della vicina città di Nona34. Parecchie lapide colà portate da vari luoghi della Dalmazia vi si veggono, fra le quali la riguardevole iscrizione riferita anche dallo Spon35 com’esistente nella casa de’ signori Tommasoni, che dal 1675 in poi era stata nascosa da un intonaco di calce, e dal dottor Danieli fu scoperta e ridonata alla luce dietro alle traccie lasciatene dal viaggiatore francesea.
 
V’hanno, fra le altre molte, tre tavole greche trasportate dall’isola di Lissa36, che sembrano appartenere a qualche psefisma37, ed essere frammenti delle sottoscrizioni de’ senatori.
 
Presso questo mio ottimo amico ed ospite trovasi anche un’abbondante collezione di monete antiche romane, e un buon numero di greche egregiamente conservate.
 
§. 6. Polledra ermafrodito
 
Io ho veduto a Zara una polledra ermafrodito, cioè a dire singolarizzata da quella viziatura mostruosa delle parti sessuali, assai nota agli anatomici, che
34 Denominazione italiana della città di Nin.
35 Medico e antiquario francese (1647- 1685), nel 1678 pubblico un Voyage d’Italie, de Dalmatie, de la Grèce el de Levant, ricco di notizie storiche e artistiche, e di importanti e documentate osservazioni, esito del viaggio intrapreso con George Wheler nel 1674. Fu tra i primi a riproporre quell’interesse per l’antichità greca e orientale dal quale vennero utili apporti ai futuri sviluppi dell’archeologia e dell’antiquaria: di quest’ultima tentò una sistematizzazione in una monumentale opera erudita, Miscellanea eruditae antiquitatis (1679-83).
a Spon, Voyages, t. I. L’iscrizione trovasi nel fine del tomo III.
36 Oggi Viš, isola della quale Fortis tratterà ancora nella lettera a Spallanzani.
37 Decreto popolare, cosiddetto dalle pietruzze con cui si procedeva alla votazione.
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volgarmente viene chiamata ermafroditismo. S’ella fosse nata a Parigi, i dotti l’avrebbero fatta mettere fra gli stalloni come maschio, facendo una bella sentenza simile a quella che obbligò la Drouart a vestire da uomo, perché predominava in essa il sesso virileb. Un Morlacco, in casa di cui era nata quella bestia somigliante alla Drouart negli organi della generazione, la vendette a bassissimo prezzo, quantunque fosse di bella statura e ben messa, per allontanarsi il mal augurio che la nazione superstiziosa trae dalla nascita e sopravvivenza de’ mostri.
 
§. 7. Del livello del mare
 
Il mare guadagna continuamente sopra Zara e, se non lo provassero abbastanza le alte maree che allagano que’ luoghi, a’ quali l’acqua non dovea giungere quando furono fabbricati, lo provano gli antichi pavimenti della piazza che sono molto al disotto dell’attuale livello medio dell’acque, e i residui di fabbriche nobili scopertivi, non ha molti anni, nel purgare dalle immondizie quella parte del porto che si chiama il mandracchio38. La quantità de’ fatti, che incontransi lungo le coste dell’Adriatico, atti a provare l’alzamento progressivo dell’acque, non permette che si metta più in dubbio fra noi. Il mare guadagna su i litorali costantemente, anche ad onta de’ fiumi, che prolungano le terre deponendo belletta ed arena presso alle loro foci. Sia paludoso, arenoso, o montuoso e marmoreo il litorale del nostro golfo, vi si ritrovano sommerse le rovine delle antiche fabbriche; e di giorno in giorno vi si moltiplicano le prove dell’inalzamento di livello, o pella ritrocessione delle acque fluviatili impedite dall’aver l’antico libero corso, o pella corrosione e smantellamento de’ massi e de’ monti. Non
b Michel-Anna Drouart, che si fé vedere per prezzo ai curiosi e a’ professori nel 1769 in Venezia, e che fu particolarmente esaminata dal celebre sig. prof. Caldani in Padova e riconosciuta per femmina mostruosa e schifosa, fu dal rinomato sig. Morand, chirurgo del Re di Francia e membro dell’Accademia delle Scienze dichiarata ermafrodito, in cui predominava la virilità. La Cancellaria Arcivescovile la obbligò con particolare decreto a vestire da uomo. Può ciascuno leggere la Memoria del sig. Morand fra quelle dell’Accademia, e restarne scandalezzato.
38 Darsena riparata, all’interno del porto, adatta a piccole imbarcazioni.
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sembra ammissibile da chi abbia moltiplicato le osservazioni su questo proposito né l’opinione già celebre del Browallio39, né quella d’un rinomatissimo vivente matematico, il quale ha creduto che dalla subsidenza delle terre sia da ripetersi l’apparente alzamento dell’acque. I Veneziani sono in istato di giudicare della ragionevolezza di questo sistema, esaminando i cangiamenti della loro città.
 
§. 8. Della città e campagna di Nona
 
Le rovine di Nona, che dovrebbono somministrare abbondante pascolo alla curiosità degli antiquari, sono così sotterrate dalle replicate devastazioni alle quali quell’infelice città fu soggetta, che di raro ne scappano fuori vestigi. Io mi vi portai, colla speranza di veder qualche cosa degna d’esser notata: ma mi vi sono trovato deluso. Non solo niente vi resta che indichi grandezza di tempi romani, ma nemmeno alcun residuo di barbara magnificenza che ricordi que’ secoli ne’ quali vi risiederono i Re degli Slavi Croati. Ella giace su d’un’isoletta nel mezzo d’un porto, che fu ne’ tempi andati capace di ricevere grossi legni e che adesso si è cangiato in fetida palude, perché vi mette foce una fiumaretta fangosa, dopo di aver corso pel tratto di sei buone miglia attraverso le pingui campagne abbandonate di quel distretto. Gli antichi abitatori aveano deviata quest’acqua, e dell’argine da essi fabbricato per farla scaricar nella valle di Drasnich al mare veggonsi tuttora gli avanzi. Ad onta però della spopolazione de’ campi e dello squallore del sito, non si perdettero di coraggio i nuovi abitanti di Nona; ed animati da privilegi accordati loro dalla clemenza del Serenissimo Governo si studiano di farvi ne’ migliori modi rifiorire la popolazione e l’agricoltura. Lo scolo dell’acque renderebbe abitabile e fruttuoso quel pingue territorio. La palude salmastra che cinge le mura di Nona è attissima a somministrare quantità
39 Il teologo e naturalista svedese Jean Browall 1707-1755) è qui citato per il Traité de la diminution des eaux (1755) in cui si oppone alla teoria di Celsius sul progressivo abbassamento del livello marino.
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considerabile di pesce, e particolarmente d’anguille. La pubblica munificenza ne accordò l’investitura a privati, che ne traggono un frutto sufficiente. Introducendovi co’ lavorieri migliori metodi per la pesca, vi si potrebbono marinare o metter in sale molte migliaia d’anguille, che servirebbono al nostro commercio interno, e risparmierebbono una parte almeno del dispendio cui fa la nazione per acquistare salumi esteri. A sinistra della città di Nona, costeggiando il mare, si trovano delle muraglie rovinose d’antiche fabbriche, le quali second’ogni apparenza in più lontani tempi siedettero sulla terra ferma, dove ora sono circondate dalle acque. Il mare forma in quel luogo uno stretto che può passarsi a guazzo, e per cui nelle basse maree a gran pena possono trovar passaggio le più picciole barchette. La villa vicina corrottamente detta Privlaca da’ Morlacchi abitantivi, e Brevilacqua dai Zaratini, sembra trarre il nome dal guado che da’ Latini Brevia aquae soleva chiamarsi. Questo guado separa il Contado di Nona dall’isola contigua di Puntadura40. La costa di Brevilacqua è molto alta e tagliata a piombo per modo che lascia vedere scopertamente i vari strati ond’è composta, e la materia loro. Eglino sono tutti arenari o ghiaiuolosi, e manifestamente deposti da un fiume antico che adesso non si vede più. Alcuni di questi strati, e spezialmente i più bassi, pel filtrare dell’acque si rassodano in pietra, e formano una spezie di tronchi d’osteocolle41 perpendicolarmente disposti. In qualche luogo di quella costa vedesi a pel d’acqua il marmo che serve di base agli strati fluviatili; e questo medesimo marmo volgare comparisce dentro terra, dove probabilmente ne stava prominente qualche collina, prima che le torbide riempiendo i luoghi bassi delle deposizioni loro appianassero la campagna. Vi dominano le lenticolari, e petrefatti congeneri strettamente uniti all’impasto marmoreo.
Nell’andare da Zara42 a Nona cavalcando, io ho osservato una curiosa distribuzione di terreno, che sembrano aver fatta fra loro gli arbusti spontanei
40 Oggi Vir.
41Incrostazioni di carbonato di calcio che si formano attorno a residui organici in decomposizione, dando luogo a formazioni cilindriche di colore biancastro.
42 L’attuale denominazione slava è Zadar.
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ond’è coperto quel tratto di paese per tredici miglia di lunghezza. Sino alla villa di Cosmo trovansi campi pietrosi, ma sufficienti per le viti e pel grano: attualmente sono messi a prato, e pessimamente tenuti. Un miglio di là da Cosmo trovasi un bosco di sabina fruticosa, detta in illirico gluhi smrich, ginepro sordo, né vi si trova verun’altra spezie d’arbusto. Vengono, dopo un miglio di sabine, i lentischi che occupano breve tratto; indi fillirèe, eriche, arbuti ed elci minori, che vivono in buona società tutti insieme; succedono a questi i ginepri; e finalmente presso Nona regna libero e solo il paliuro, cui chiamano draçaa. Non mi sono avveduto d’alcuna differenza sensibile nelle terre occupate da queste varie famiglie di arbusti. L’ilex cocci glandifera de’ botanici è frequentissima lungo il litorale e pell’isole della Dalmazia; ma, per quanta diligenza io abbia usato, non mi venne fatto di trovarvi la grana del kermes. Sarebbe lodevole tentativo il procurare di spargervi la razza di questo insetto prezioso, facendola venire dalle isole del Levante, dove alligna naturalmente. V’è ogni ragione di sperare che in breve tempo si avrebbe un nuovo prodotto in Dalmazia.
 
§. 9. Della campagna di Zara
 
All’ampia provincia che nelle nostre carte porta il nome di Contado di Zara, è restato il nome antico di Kotarb non la chiamano mai altrimenti gli abitatori della
a Dal greco δράπτω [sic], pungo. Molte altre voci botaniche della lingua illirica hanno stretta parentela col greco, come a cagion d’esempio, trava, erba, δράβη; dervo, legno, δρΰς.
b Il Kotar stendevasi oltre i confini che adesso lo vale a due, circoscrivono, ed arrivava fino alle acque del fiume Cettina. Le antiche canzoni illiriche ne fanno fede:
Ustanise, Kragliu Radoslave,
Zloga legga, i zoriczu zaspà;
Odbixete Liika, i Karbava,
Ravni Kotar do vode Cettine.
e più sotto
I vas Kotar do vode Cettine.
Vale a dire,
Sorgi, o re Radoslao: t’era nemica La sorte allor che ti colcasti, e dormi
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campagna. Questo tratto di paese ha fama di poco salubre in tempo di state: io però ne ho scorto una parte impunemente, e più estese osservazioni vi avrei fatto, se le fatiche e il caldo non avessero prodotto una lunga serie d’ostinate febbri al mio disegnatore. Senza di questo contrattempo io avrei portato in Italia un molto maggior numero di notizie, di disegni e di curiosità d’ogni genere. La linea ch’io ho seguita viaggiando pel Contado di Zara, tocca le ville di Santi Filippo e Giacomo43, Biograd (detto anche Zaravecchia) e Pacostiane al mare; la Vrana sul lago di questo nome, Ceragne, Pristegh, Bencovaz, Perussich, Podgraje, Coslovaz, Stancovzi, Ostrovizza, Bribir, Morpolazza, Bagnvaz e Radassinovich fra terra.
 
§. 10. Acquedotto di Traiano
 
A’ Santi Filippo e Giacomo ho veduto i vestigi dell’acquedotto fabbricato, o ristorato da Traiano, e gli ho anche seguiti verso la loro meta non meno che verso il principio per lungo tratto. Sono quindi in caso di positivamente asserire che gli storici dalmatini, e segnatamente Simone Gliubavaz, di cui ho sotto gli occhi le schede manoscritte, e Giovanni Lucio nella sua celebre opera del Regno della Dalmazia e Croazia44 hanno preso un grosso granchio su questo proposito, lasciandoci scritto che Traiano condusse l’acqua dal fiume Tizio, o Kerka, persino a Zara, togliendola dalla cascata di Scardona, detta volgarmente Skradincki-slapc,
Al nascer dell’Aurora. A te ribelle Si fe la Lika, la Corbavia, e tutto Il pian Kotar fin di Cettina all’acque...
Tutto il Kotar fin di Cettina all’acque.
43 Oggi Filipjakov.
44 Tra gli storici della Dalmazia, Giovanni Lucio (1604-1679) è forse il più autorevole e il più citato da Fortis, in particolare per il trattato De regno Dalmatiae et Croatiae (1666), storia della regione dall’epoca precedente alla dominazione romana sino alla soggezione a Venezia, che riscosse ampia fortuna e fu tradotta e ristampata fino alla metà del ‘700. Lucio tenta per la prima volta di dare metodo e rigore critico all’indagine storiografica, anche a partire da un’attenta e documentata considerazione dei fatti: tali caratteristiche rendono le sue opere una fonte tuttora preziosa per la storia della Dalmazia.
c Scardonicus lapsus.
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presso di cui alcune rovine tuttora d’ignobili acquedotti si vedono. Eglino meritano qualche compatimento, se trasportati dalla voglia di far onore al proprio paese hanno dato a Traiano un merito trenta volte maggiore di quello ch’egli ebbe veramente nella costruzione, o riattazione dell’acquedotto; perché non ben conoscevano la contrada che giace fra Skradincki-slap e le marine di Zara, della quale erano, mentr’essi scrivevano, posseditori i Turchi. I residui dell’acquedotto veggonsi comparire poco lontano dalle mura di Zara lungo il mare verso la villa di S. Cassano; indi pel bosco di Tustiza sino alle Torrette, dove servono di sentiero ai pedoni e a’ cavalli; poi presso a’ Santi Filippo e Giacomo, e più oltre a Zaravecchia, nel qual luogo se ne perdono le traccie, che però accennano d’essere state dirette al vicino rivo di Kakma, distante da Skradincki-slap a dritta linea trenta buone miglia. I monti che sorgono fra quel sito e Zaravecchia, sono assai più alti che la cascata del fiume; e quindi sarebbe stato impossibile il condurvi acqua. Eglino sono poi anche così tramezzati da valloni che dovrebbono apparirvi frequenti residui d’arcate, se realmente l’acque del Tizio avessero potuto far quella strada. Ora niun vestigio d’acquedotti trovasi per trenta miglia di paese, che giustifichi l’inconsiderata asserzione del Lucio, del Gliubavaz e la volgare opinione. L’iscrizione ch’io ho accennata più addietro non dice, né lascia sospettare, d’onde avessero origine le acque condotte da Traiano.
 
§. 11. Biograd o Alba maritima
 
Biograd, adesso povera villa sul mare, conosciuta da noi e segnata nelle carte col nome di Zaravecchia, datole ne’ tempi d’ignoranza, fu altre volte città ragguardevole. Le distanze, la situazione e qualche lapida che vi è stata trovata, sembrano indicare che in quel sito medesimo fosse Blandona, ma non già l’antica
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Jadera, come credette il Cellarioa45. Egli è poi certo che ne’ tempi di mezzo questo luogo splendette per la frequente residenza e l’incoronazione d’alcuni re croati, e segnatamente di Cresimiro, che vi fondò un monastero nel 1059. Ella è chiamata ne’ documenti di que’ tempi Alba maritima, e dal Porfirogenito Belgrado, secondo l’usanza de’ popoli slavi, che le città di residenza de’ loro Principi con questo nome chiamarono frequentementeb. Ebbe titolo di Vescovato, che fu trasferito a Scardona, dopo che il doge Ordelafo Faliero46 la fece rovinare nel bollor delle guerre cogli Ungheri. Da quelle rovine sorse coll’andar degli anni un villaggio, che popolatosi di gente rapace e facinorosa, meritò lo sdegno del Serenissimo Governo e fu atterrato da’ fondamenti nello scorso secolo. Adesso vi abita poca e povera gente. Il porto di questa villa è ampio e sicuro; su le di lui rive io ho raccolto della sabbia piena di conchigliette microscopiche. Il terreno de’ suoi contorni lungo il mare è petroso, ma non ingrato, quantunque le pietre vi sieno di pasta marmorea. Fuori del porto di Biograd havvi un gruppo d’isolette, che servirono di ricovero sovente agli abitatori del vicino litorale, ne’ tempi dell’incursioni turchesche.
Pacostiane è povero ed ignobile luogo, poco distante da Biograd, situato sull’ismo che separa il mare dal lago della Vrana. I pochi e malsani abitatori si risentono di questa vicinanza, perché consigliati dalla indocilità de’ loro terreni litorali varcano la palude in picciole barchette, per andar a coltivare le sponde opposte del lago e ne respirano gli aliti poco salubri, Costoro si cibano comunemente di pesce lacustre, e in particolare d’anguille anche ne’ tempi meno opportuni e ne’ quali la carne loro è nocevole. La maniera usata colà di pescarle, allor quando
a «Post quam Jadera est, ‘Іάδερα Κολωνία Ptolomeo, et Plinio, Colonia Jadera, memorata etiam Mel., lib, 2, c. 3. ... Hodie vocatur locus Zara vecchia, ultra Zaram novam, visendus cum ruderi-bus nostrae Jaderae». Cellar., Notit. Orb. Antiqui, 1. 2, c. 8.
45 Studioso tedesco di lingue orientali e di matematica (1639-1707), editore di classici e autore di numerosissime opere erudite, è qui ricordato per la sua Notitia orbis antiqui (1701-1706).
b Bielograd, o Belograd, e Biograd significa Bianca-Città. Il Bonfinio, dec. l, lib. VI, fra le città maritime della Dalmazia distrutte da Attila novera Belgrado, quantunque sembri che prima della irruzione degli Unni non dovesse portare questo nome la città, che lo portò ne’ secoli posteriori. Se lo portava poi veramente, sarebbe una nuova prova dell’antichità della lingua slavonica nell’Illirico.
46 Doge di Venezia nel primo ventennio del 1100, oltre a combattere contro i Normanni e contro Padova, intraprese una difficile guerra in Dalmazia contro gli Ungari, che avevano invaso parte della regione e spinta a ribellarsi.
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s’aggruppano per andar in frega47, è singolare. S’avanzano due uomini, diguazzando pel lago ne’ luoghi di poco fondo, e con una grossa corda, cui tengono ciascuno dall’una delle due estremità, battono su le masse delle anguille: una parte ne uccidono, l’altra mettono in fuga; raccolgono le morte e le si mangiano.
 
§. 12. Castello della Vrana
 
La Vrana, che dà nome allago, ed è fabbricata ad una delle di lui estremità che guarda tramontana, fu importante luogo ne’ tempi andati ed appartenne a’ Templari. Vi risiedeva un Gran Priore, che crebbe talvolta in potenza a segno d’essere personaggio preponderante negli affari del Regno. Uno di questi gran priori, Gianco di Palisna, del 1385, spinse la sacrilega temerità sino al far prigioniera la propria sovrana Elisabetta, vedova di Lodovico re d’Ungheria, e Maria di lei figliuola; né gli bastò questo, che la prima fece affogare in un fiume. Filippo il Bello, sul principio dello stesso secolo, non poté far confessare a’ Templari alcun delitto, e pur li distrusse coi ferro e col fuoco. I successori de’ Tempiari d’Ungheria e di Dalmazia, convinti d’un sì esecrabile misfatto, non patirono alcun male: tutta la vendetta che Sigismondo, marito della regina Maria, ne volle trarre, fu mitissima e circoscritta alla persona del Gran Priore.
Il castello, detto per eccellenza Brana o Vranaa nel tempo della sua fondazione, è adesso un orrido ammasso di rovine, ridotto a questo stato dall’artiglieria veneziana. Alcuni scrittori credettero che Blandona fosse colà anticamente; ma niun vestigio di romana antichità si vede in quelle mura e torri cadenti e disabitate. Io mi v’aggirai cercando qualche pietra scritta o lavorata, e n’uscii
47 Espressione dialettale: andare in amore, riferito generalmente ai pesci.
a Vrana, fortezza, da braniti, fabbricare e fortificare.
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finalmente dopo d’aver sudato invano, per non trovarne qualcuna che mi cadesse sul capo.
E ben degno d’osservazione l’han, che sta vicino a queste macerie, quantunque anch’egli sia adesso rovinoso ed abbandonato alla barbarie de’ Morlacchi abitatori delle campagne vicine, che vanno a prendervi materiali da impiegare nelle goffe loro fabbriche. Le fondazioni degli han, o caravanserai48, fanno molto onore alla nazione turca, presso di cui sono frequentissimi. Questo, che vedesi vicino alla Vrana, è stato fabbricato senza risparmio. La sua facciata è di 150 piedi; la lunghezza di 175. E tutto fabbricato di marmo ben appianato e connesso, i di cui pezzi sono stati colà trasportati dalle rovine di qualche antica fabbrica romana, per quanto ben esaminandoli si può rilevare. Il corpo dell’han è diviso in due gran cortili circondati da ben adorne camere e ben intese gallerie. L’architettura delle porte vi è di cattivo gusto turchesco traente al gotico. Una parte delle mura e dei pavimenti di questo luogo fu messa sozzopra dalla sciocca avidità de’ cercatori di tesori.
 
Il nome di Vrana è passato adesso a una meschina villa, forse un miglio lontana dalle rovine del castello, sul luogo medesimo dove nel secolo passato avea i suoi giardini un riguardevole turco detto Halì-begh; la squallida abitazione del curato di quel paese porta ancora il nome degli Orti d’Halì-begh. In un manoscritto del Gliubavaz ch’io ho presso di me, e che appartiene al dotto e cortese signor conte Gregorio Stratico di Zara, trovasi una descrizione de’ giuochi d’acque di que’ giardini, dell’allora ben coltivata campagna vicina. Che cangiamento! I giardini d’Halì-begh sono ridotti a un monte di macerie; le acque, che gl’innaffiavano condotte dall’arte, scorrono adesso per alvei ineguali e scorretti, e unisconsi a quelle di molti rivoli, che cent’anni sono erano maestrevolmente incassati, per impaludare nel lago.
 
48 Caravanserragli, tipici ricoveri orientali per le carovane.
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§. 13. Del lago della Vrana, suo emissario, e pescagione
 
È celebre il lago di Vrana in Dalmazia, e noto anche a Venezia piucché gli altri di quelle contrade, non meno pella sua considerabile estensione di dodici miglia che pel progetto immaginato da privata persona, e messo anche in parte ad esecuzione, di scavarvi un emissario, per cui se ne scaricassero le acque al mare. Il Zendrini49, di chiara memoria, fu consultato sulla possibilità di sì fatto scolo: ma non fu chiamato sopra luogo. Egli si fidò delle livellazioni fattevi all’ingrosso da non so quale ingegnere, e non vide altra difficoltà che quella della spesa, trattandosi di tagliare a considerabile profondità un ismo di vivo marmo pella estensione di mezzo miglio. La spesa non ispaventò il progettante che, favorito dalla clemenza del Senato Eccellentissimo, intraprese e sbozzò per così dire il suo lavoro, scavando coll’aiuto della polvere da cannone un canale, che giace abbandonato e imperfetto da molti anni, e restando così dovrà in breve tempo pella rovina delle sue sponde otturarsi. Il fine dell’emissario era di metter a secco e in istato coltivabile 1400 campi50occupati dall’acque, supposte stagnanti e capaci di sfogo.
 
Io fui a vedere questo sconsigliato lavoro, per la prima volta in compagnia di mylord Hervey51, vescovo di Derry, e sul fatto conobbimo che ogni spesa e fatica vi era stata gettata, e il progetto fisicamente impossibile ed illusorio. Basta esaminare il lido del mare per chiarirsi di questa verità. Le acque del lago, facendosi luogo pelle vie sotterranee delle divisioni degli strati marmorei, portansi da per se sole al mare nel tempo della bassa marea; elleno sono impedite dal far questo viaggio quando l’acqua crescé o è a un livello medio. Da questa sola
 
 
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semplicissima osservazione apparisce che qualunque emissario si scavasse, le acque di quel lago non anderanno mai a scaricarsi in mare con rilevante e permanente utilità de’ terreni inondati, e che al più potranno, se fosse loro aperta una vera e sussistente communicazione, esser rese soggette ad un’alternazione più sensibile di flusso e riflusso.
Egli è certo che ‘l dimostrato alzamento progressivo del livello del nostro mare (sia poi ch’egli venga dalla depressione delle terre, come alcuni vorrebbero, sia che si debba da qualche altra più universale ragione ripetere, com’io pendo a credere) renderà sempre più scarso lo scolo di quelle acque, e per conseguenza farà crescere d’anno in anno insensibilmente, e sensibilmente poi di cinquanta in cinquant’anni il cratere del lago. Raccogliesi dalle pregevoli schede del Gliubavaz che sino all’anno 1630 il lago della Vrana era dolcissimo; questo scrittore sembra accusare il tremuoto dell’apertura de’ meati sotterranei, pe’ quali la communicazione delle acque e il passaggio de’ pesci si è fatto strada. Ma chiunque ha esteso le proprie osservazioni pelle spiaggie e pelle coste dell’Adriatico, e dopo lunghi esami conosce l’indole degli strati marmorei della Dalmazia maritima, vede manifestamente che non da una causa accidentale qual sarebbe stato uno scuotimento di tremuoto, ma sibbene da una durevole e progressiva, qual è l’alzamento di livello del mare, si ha da riconoscere questo cangiamento; e dee ridere dell’impresa tentata.
Non è già ch’io creda impossibile il ritrarre parecchie centinaia di campi dall’inondazione, che ogni giorno più s’avanza impaludando le terre migliori presso a quel lago, e rendendo insalubre l’aria del vicinato. Al contrario, io sono convinto che v’è un ripiego, come sono convinto che non è, né può essere quello dell’emissario. Eccolo in poche parole. Si rimettano sull’antico cammino le acque provenienti da Smocovich, che probabilmente portavansi al mare; s’incassino, per quanto riesce possibile, quelle che scendono dal ramo di colline che fiancheggia la villa di Vrana, come a dire il rivo di Scorobich, e la ben più abbondante acqua della Biba colla medesima direzione; si facciano vagare nel pendio della valle
 
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l’acque di Ricina e di Pécchina, che si scaricano adesso senza veruna legge nel lago, e vi portano ad accrescere un male ciò che serpeggiando pe’ campi soggetti all’arsura produrrebbe mille beni; si cavino alvei profondi all’acqua che indispensabilmente dee lasciarsi andare pel paludo; s’alzino gli opportuni argini per mettere al coperto le terre basse; presieda a questi lavori qualche uomo onesto ed intelligente. Ecco il vero ed unico modo di trar profitto dalle adesso allagate pianure, di dar una direzione all’acque stagnanti, di render forse non del tutto inutile lo scavato emissario, che presentemente al più potrebbe servire a dar uno sfogo alquanto men tardo alle strabocchevoli piovane.
L’uso vantaggioso che potrebbe farsi del lago della Vrana, in qualunque stato egli si voglia considerare, è quello della pescagione. Le anguille che in grandissima quantità vi si trovano, e che sono abbandonate alla poco ben intesa arte de’ pescatori di que’ contorni, somministrerebbono una somma non indifferente di barili al nostro commercio interno, se colà fossero con inteffigenza imprigionate ne’ lavorieria, e a’ tempi convenienti prese per metterle in sale o marinarle. Non sarebbe mal consiglio il mandarvi qualche barca di pescatori usi a prendere le anguille delle nostre valli del Dogado, onde gli abitanti di Pacostiane e de’ vicini luoghi imparassero un miglior metodo. La Nazione spende annualmente molto denaro per provvedersi di anguille salate e marinate a Comacchio; perché non facciamo piuttosto valere i laghi e le valli dello Stato? Uno degli oggetti principali delle mie osservazioni lungo i lidi della Dalmazia è stata la pesca, in quanto il sistemarla, o l’introdurla di nuovo là dove non è praticata a dovere, può e dev’essere una fonte di risparmio e di provento nazionale. Il lago della Vrana è il più esteso di tutti quelli che vi si trovano poco lontani dal mare, e quindi il più degno d’essere particolarmente contemplato dalle Magistrature che presiedono al nostro commercio, e alla coltivazione ed aumento de’ prodotti nostrali.
a Lavorieri è voce tecnica pescatoria delle nostre lagune e delle valli di Comacchio, che significa que’ ricinti di canne maestrevolmente piantati ne’ quali, internate che sieno, le anguille non trovano più il modo d’uscirne. Quest’arte de’ lavorreri, ch’era propria delle lagune dell’Adriatico, è stata introdotta con buon esito anche nelle paludi pontine presso al Mediterraneo.
 
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Gli abitanti di questo paese, e in generale tutti i Morlacchi, hanno un’avversione mortale per le rane. Ne’ tempi di carestia (che sono pur troppo frequenti in Dalmazia, sì per la male intesa agricoltura, che per grandissimi difetti di costituzione) niun vero Morlacco mangerebbe rane a costo di lasciarsi morire di fame. Il curato di Vrana, interrogato del perché in vece di cattivo cacio non mangiava delle rane, s’accese quasi di sdegno. Ei ci disse che un briccone Morlacco ne pigliava per portarle al mercato di Zara, ma che non era ancora giunto a mangiarne; ed aggiunse che costui era l’obbrobrio della villa.
 
§. 14. Petrificazioni di Ceragne, Bencovaz e Podluk
 
Ne’ boschi poco lontani da Ceragne ho trovato in gran quantità nuclei di turbiniti presi nel marmo comune dalmatino e, poco lunge da questi, la medesima spezie d’ortocerati che a Uglian. Così trovansi pietre lenticolari sotto la rocca di Bencovaz e a un casale poco lontano detto Podluk, dove sono tanto perfettamente ben conservate, come quelle di Monteviale nel Vicentino e di S. Giovanni Ilarione, che sono le più belle ch’io conosca. Fra la rocca di Bencovaz e ‘l bosco di Cucagl stendesi un ramo di colline composte di argilla marina piombata, e in alcun luogo di terra marnosa bianchissima. Nelle aperture scavatevi dalle acque de’ torrenti, io ho raccolto de’ corpi marini erranti, alcuni de’ quali sono nuclei spatosi di turbiniti petrefatti lucidissimi di color giallo dorato. In generale la pietra, di cui sono formate le colline di questi contorni, rassomiglia di molto alle pietre dolci de’ nostri colli italiani. Le vaste campagne e le valli amenissime che formano i distretti di queste ville, sono poco popolate e peggio coltivate, in qualche luogo la scarsezza della popolazione fa torto alla purità dell’aria, portando per necessaria conseguenza l’abbandono totale de’ rivoli montani a se stessi, e l’impaludamento delle acque.
 
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Non è già insalubre l’aria di Perussich, castello eretto dalla nobilissima famiglia de’ conti di Possedaria, per servire di ricovero ne’ tempi di diffidenza ai Morlacchi delle vicine campagne. Egli è situato su d’una collina petrosa, e domina un gran tratto di bel paese dall’alto. Le poche petrificazioni che vi si discernono somigliano alle sopraccennate.
 
§. 15. Rovine dAsseria, ora detta Podgraje
 
Un breve miglio lontano da questo castello trovasi il povero casale di Podgrajea. Egli trae il nome dalla città che dominava negli andati secoli il luogo dalle miserabili case presentemente occupato. La Tavola itineraria di Peutingero52 mette in questo sito Aseria, ch’è l’Assisia di Tolommeo53, e l’Assesia, o Asseria di Plinio. Quest’ultimo, dopo d’aver fatto il novero delle città liburniche obbligate a portarsi al Convento, o Dieta Scardonitana, aggiunge al catalogo i privilegiati Asseriati, immunesque Asseriatesb. Questo popolo che faceasi da sé i propri magistrati, e colle proprie leggi municipali si governava, dovett’essere ricco e potente sopra gli altri vicini. S’ingannarono di molto quegli scrittori delle cose illiriche, i quali credettero sorto dalle rovine d’Asseria Zemonico, ch’è una rocca del Contado di Zara sedici miglia lontana da Podgraje. Il più volte lodato
a Pod-grada, sotto la città.
52 Umanista tedesco 1469-1547), fondatore della scienza dell’antichità romana in Germania, il suo nome è legato ad un itinerario, che ricevette nel 1507 in eredità da C. Certes che l’aveva scoperto. Copia medievale di un’antica carta di età imperiale, del tipo delle carte itinerarie militari, disegnata su pergamena, la Tavola peutingeriana traccia i percorsi stradali, le stazioni di sosta e indica le distanze tra i luoghi. Presenta le deformazioni caratteristiche di questi disegni, privilegiando una direttrice (nel caso quella ovest-est), a sfavore di quanto si trovi o conduca in altre direzioni, considerate di scarso interesse e quindi appiattito sullo sfondo. Peutinger ricopiò dall’originale una piccola parte mentre l’intera Tavola venne dimenticata, per essere riscoperta nel 1397 e pubblicata l’anno successivo dal geografo Ortelio.
53 Il grande astronomo non è qui ricordato per l’Almagesto bensì per la sua Introduzione geografica, sintesi monumentale delle conoscenze geografiche dell’alto medioevo. Elaborata su itinerari e autori precedenti, l’Introduzione iniziò ad essere diffusa in Italia dal ‘500 in poi, in coincidenza con le pregevoli edizioni a stampa curate dai più illustri geografi del tempo.
 
b Plin., Nat Hist, lib. III, c. 21.
 
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Gliubavaz in un suo manoscritto De situ illyrici ha preso questo sbaglio, ma non si può fargliene colpa imperocché, mentr’egli scriveva, le rovine d’Asseria erano ancora soggette ai Turchi e quindi non potevano essere agevolmente osservate.
Le vestigia che ci rimangono delle mura di Asseria (Tav. II) lo provano assai. Il loro circuito resta tuttora assai precisamente riconoscibile sopra terra, e gira 3600 piedi romani. La forma dello spazio cui racchiudono è d’un poligono bislungo; la materia onde sono state fabbricate è marmo comune di Dalmazia: ma non del colle su di cui sorgono, che somministra solamente pietra dolce. I pezzi di questo marmo sono stati tutti lavorati a bugno, e le mura ne furono rivestite dentro e fuori; qualche pietra arriva a essere lunga dieci piedi, e tutte sono di notabile dimensione. La grossezza di queste fortificazioni è communemente d’otto piedi: ma all’estremità più angusta, che cala verso il pié della collina, sono grosse undici piedi; in qualche sito veggonsi tuttora alte da terra dodici braccia. In un sol luogo vi si trova manifesto indizio della porta ch’è coperta dalle rovine; io ho messo i piedi sulla curvatura dell’arco, e v’ha più d’uno de’ vicini abitatori che si ricorda d’averla veduta a netto. Potrebb’esservi stata un’altra porta nel sito d’onde adesso si entra. Oltre le porte, due altre aperture veggonvisi praticate. Ma l’ultima non è così ben conservata come l’altra. Non saprei congetturare a qual uso servissero, non sembrando che possano essere state porte, né feritoie, né scoli d’acqua. Merita molta osservazione il mezzo bastione che conviene benissimo alla moderna architettura militare. Molte più cose vi vedrebbe degne d’attenzione particolare un professore di quest’arte nobilissima. L’antiquario, o anche il semplice amatore delle belle arti e della buona erudizione non potrà a meno, quando si trovi a Podgraje, di non desiderare che qualche mano potente quicquid sub terra est in apricum proferat54. A questo desiderio lo moverà particolarmente il vedere che, dalla rovina di quella città in poi, niuno vi frugò profondamente per voglia di trame qualche cosa. Quelle mura cingono un deposito d’antichità sfasciatevisi dentro, chi sa per qua! cagione, forse per un
 
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tremuoto, o per una improvvisa inondazione di barbari, ch’è peggior cosa. La porta sotterrata, l’altezza considerabile delle mura, veduta dal di fuori in più d’un luogo, qualche grossa muraglia che fra gli arbusti si vede ancora a pel di terra, sono tutte circostanze che deggiono far isperare moltissimo sulla quantità di monumenti pregevoli, che di là si trarrebbono. La magnificenza del fabbricato delle mura, e la frequenza de’ pezzi lavorati, o de’ fini marmi che trovansi sparsi pe’ campi contigui, fanno ben conoscere che in quel paese allignava buon gusto e grandezza. In mezzo alla spianata che copre i residui d’Asseria, trovasi isolata la chiesa parrocchiale della soggetta picciola villa, che fu fabbricata de’ rottami antichi cavati sul luogo. Vi si vedono iscrizioni maltrattate e pezzi di cornicioni grandiosi.
 
I Morlacchi abitatori di Podgraje non facevano per lo passato ingiuria alle lapide che incontravano, arando, o scavando per qualche loro bisogno la terra. Ma da poi che furono obbligati a strascinare, senza mercede, alcune colonne sepolcrali sino al mare co’ loro buoi, eglino hanno giurato inimicizia con tutte le iscrizioni, e le guastano appena disotterrate a colpi di piccone, o per lo meno le risotterrano più profondamente di prima. Avrebbe il torto per certo chiunque volesse accusarli di barbarie per questo. Il modo di renderli ricercatori e conservatori degli antichi monumenti sarebbe il far loro sperare un premio delle scoperte e delle fatiche. Io ho trovato per un raro accidente nella casa del morlacco Juréka una sepolcrale, che ho anche acquistata con pochi quattrini, e unitamente ad alcune altre porterò in Italia. Cattivandosi la fiducia e amicizia de’ Morlacchi, si potrebbe ragionevolmente sperare di trarne delle indicazioni utili. Io mi lunsigherei di saperlo fare, conoscendo l’indole della nazione, e quindi ho lasciato Podgraje portando meco una gran voglia di ritornarvi, munito delle facoltà necessarie per farvi scavare.
 
§. 16. Della manna di Coslovaz
 
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Coslovaz è un povero luogo, come gli altri casali di queste contrade; ma i boschi del suo distretto abbondano di frassini che danno manna in abbondanza, quando siano opportunamente incisi. I Morlacchi non sanno farvi incisioni e non conoscevano questo prodotto. Due anni sono, andò a far colà delle sperienze persona che ne avea ottenuta la permissione dal Governo. Queste non corrisposero tosto alle speranze concepite, perché l’aria erasi rinfrescata alcun poco. Lo sperimentatore perdette la pazienza e abbandonò i frassini tagliati. Al ritornare del caldo, eglino diedero esorbitante quantità di manna, cui avidamente presero a mangiare i Morlacchi, trovandola dolce. Parecchi di essi furono quasi ridotti a morte dall’uscite violente: la manna restò dopo pochi giorni abbandonata ai porci e ai polli d’India55.
 
§. 17. D’Ostrovizza
 
Ostrovizza, che alcuni vogliono corrisponda ad Arauzona, altri allo Stlupi degli Antichi, e che probabilmente non ha punto che fare coll’una né coll’altro, è stato altre volte luogo di qualche riguardo, e dalla Serenissima Repubblica comperato del 1410 con qualche altro pezzo di terreno, per cinque mila ducati. La sua rocca, che sorgeva su d’un sasso tagliato a piombo d’intorno, dovea essere creduta a ragione inespugnabile, prima che l’uso dell’artiglieria si fosse propagato. Fu presa da Solimano del 124 ma poi ripassò sotto il felice dominio veneto. Adesso non ha più verun vestigio di fortificazione, ed è un masso ignudo e isolato.
Io ho fatto disegnare una picciola prospettiva de’ colli d’Ostrovizza (Tav. III), perché le loro sommità mostrano assai manifestamente la duplicità delle divisioni degli strati, e ponno disingannare coloro che fossero troppo corrivi a credere nate con essi, per legge di stratificazione, le apparenze di separazioni perpendicolari. Le linee divisorie che tagliano quasi sempre ad angoli retti le orizzontali, sono
 
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altrettante prove visibili del lavoro dell’acque distruggitrici. Elleno si fanno strada giù per le spalle del colle scavandovi rivoletti, i quali nascondono in qualche sito le divisioni orizzontali.
Gli strati che formano la sommità del masso su di cui siedeva l’antico castello, sono di ghiaia fluitata56 di varie paste e colori; ve n’ha di quarzosa, chi sa mai da quali montagne minerali venuta, e ve n’ha che porta corpi marini lapidefatti. Lo strato è di pietra analoga a quella di Nanto nel Vicentino, ch’è il moilon de’ Francesi. Vagando pell’aspra collina e pe’ suoi contorni ho raccolto varie nummali erranti, sì della spezie volgare che ha le spire nascoste, come di quella men ovvia che le ha di fuori, un bellissimo esemplare di camite, ed ho veduto fra gli altri petrefatti molte coralloidi fistulose e degli echiniti africani maltrattati. Vi si ritrovano anche vari univalvi turbinati, coclee particolarmente, e buccini lisci, con qualche raro esemplare di una spezie esotica di fungite, orbicolare, complanata, anzi talvolta depressa nel centro, che agli orli non ha un terzo di linea di grossezza, né suoi eccedere un pollice nel diametro. Sui colle, dov’era anticamente il castello, trovansi degl’indizi di strato d’un bellissimo marmo tigrato, composto di piccioli frantumi marini e di sabbia vulcanica prodotta dai fluitamento di lave triturate.
Lo strato coperto è d’argilla azzurognola, semipetrosa, simile a quella che forma il pié del colle contiguo, e d’un ramo di monticelli che prolungandosi incontrano Brebir, e passan oltre sino a Scardona. Non m’accomoderei agevolmente col celebre signor Raspe57 ad attribuire a’ tremuoti queste fenditure verticali degli strati calcarei, e molti altri fenomeni somiglianti. Eglino sono troppo minutamente suddivisi, e troppo regolarmente, perché si possa ripeterne le separazioni da un agente improvviso e gagliardo. S’aggiunge per togliermi affatto
56 Termine che indica ciò che viene levigato, smussato dalla corrente Da «fluitare», trasportare con acqua o con fluidi.
57 Più noto per essere l’autore della Storia dei meravigliosi viaggi del Barone di Münchhausen RE. Raspe (1737-94) fu traduttore di opere scientifiche, divulgatore e studioso di scienze: scrisse anche uno Specimen historiae naturalis globi terraquei (1763), in cui, tra l’altro, sostenne la teoria di Robert Hook sull’origine dei monti.
 
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da questa opinione l’aver io in più luoghi della Dalmazia osservato, che anche i solidi massi di marmo calcareo volgare hanno delle crepature e fenditure in ogni senso, a un di presso come quelle de’ marmi sopraccennati, spiegate assai ingegnosamente dal dottissimo monsignor Passeri58 nella sua Storia naturale de’ fossili del Pesarese, opera degnissima di ricomparire alla luce, e d’essere, più di quello ch’è, conosciuta oltremonti. Non è già ch’io non sia disposto a concedere moltissimo coi signor Raspe (e coi soprallodato amico mio monsignor Passeri, che sembra parziale59del sistema hoockiano) alla forza de’ tremuoti e de’ fuochi vulcanici che li cagionano, allorquando si tratta di spiegare le gran fenditure, sfaldamenti, rovesciamenti delle montagne: ma gli esempi dei disequilibramenti e rovine nate dai lunghi lavori sotterranei delle acque, sono tanto frequenti nelle provincie ch’io nelle picciole mie peregrinazioni ho visitato, sì in Italia come oltremare, che non ardirei di preferir loro cagioni più infrequenti e rimote.
Sotto la villa d’Ostrovizza è una palude, il di cui fondo di torba colpito da un fulmine alcuni anni sono arse lungamente, non dando verun segno d’incendio se non in tempo di notte. Spento che fu il fuoco sotterraneo, restò tutto nero e sterile il terreno sovrappostovi, e appunto la di lui negrezza, destando la mia curiosità, mi fece rilevare questa cosa. Mi accorderà l’Eccellenza Vostra, che fra le origini de’ monti vulcanici abbiamo un diritto di mettere anche i fulmini? Se desse un fulmine in qualche monte di zolfo, non farebb’egli probabilmente più romore, non avrebbe più riflessibili conseguenze di quello ch’ebbe nelle umide torbiere d’Ostrovizza? Mi risovviene a questo proposito d’aver letto in qualche luogo, che il signor Linneo viaggiando pell’isola d’Oeland vide ardere a Moe Kelby alcuni monticelli di minerai, dal quale era già stato cavato l’allume; l’incendio accidentale avea incominciato due anni prima ch’egli passasse di quel luogo: il
58 Rappresentante di quel filone dell’erudizione che va sotto il nome di «etruscheria», Giovanni Battista Passeri (1694-1780) fu antiquario del Granduca di Toscana e vicario di Pesaro. Oltre a numerose altre opere erudite scrisse la Storia fossile del Pesarese 1752), più volte ricordata da Fortis.
59«Sostenitore» delle teorie di E. Hook, scienziato inglese che elaborò una teoria della deformazione elastica dei corpi naturali, da cui la legge «ut tensio sic vis» che tuttora porta il suo nome.
 
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vulcanetto avea molti caratteri della solfatara di Pozzuoli. Kempfero60 ha notato ne’ suoi viaggi del Giappone un vulcano nato dall’accensione casuale d’una minera di carbon fossile.
Un boschetto, non molto lontano da questo sito, produce nelle stagioni d’autunno e di primavera una enorme spezie di fungo, che rassomiglia perfettamente ai carrarese sopra di cui l’ottimo amico nostro signor Marsili, professore di botanica nell’Università di Padova61, ci ha dato un aureo opuscoloa. Le vipere amano quel sito, detto da’ soldati il Picchetto, e vi moltiplicano più che in qualunque altro luogo vicino. I frassini danno anche in que’ contorni abbondante manna, e di ottima qualità: ma i Morlacchi nemmeno colà hanno imparato la semplice operazione che si richiede per farla stillare dai rami.
 
§. 18. Del rivo Bribirschiza e di Morpolazza
 
Per esaminare davvicino lungo il loro corso le acque che impaludano sotto Ostrovizza, io andai a traverso delle sue campagne sino alle fonti della Bribirschiza, considerabile rivo che scaturisce dalle radici dell’etto colle, su di cui veggonsi ancora le rovine di Bribir, antica residenza d’una possente famiglia di Bani62 della Dalmazia che fé gran figura nel XIV secolo. Esaminando il corso della Bribirschiza, trovai molte petrificazioni di grandi ostraciti erranti e guaste dalla fluitazione, e più presso alla fonte parecchie spezie di turbiniti e bivalvi semicalcinati, conservatissimi e lucenti nell’argilla petrosa azzurra. Niuna delle
60 Engelbert Kaempfer, medico e naturalista tedesco (1651-1716), viaggiò in Europa e soprattutto in Oriente, fu in Giappone dal 1690 e a questo paese dedicò alcune sue opere: nelle Amoenitates exoticae (1712) sono descritte, tra l’altro, tutte le piante giapponesi. Postumo uscì The History of Japan and Siam, tradotto poi in francese col titolo di Histoire naturelle, civile et écclésiastique de l’Empire du Japon (1729).
 
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varietà ch’io vi osservai, frugando e rompendo pietre col mio martello orittologico, vive nei mari nostri. I gran massi di breccia, che sembrano in qualche luogo rovinati dalla sommità lungo le sponde del rivo, sono di formazione submarina, e fra ghiaia e ghiaia tengono imprigionate molte varietà di testacei calcinati, riconoscibili ancora malgrado il loro stiacciamento, alcuni de’ quali mi parvero simili ai nostrali.
Nel ritornarmene al lido del mare, attraversai l’ampia e bella pianura di Morpolazza, fiancheggiata da poco abitate colline, e divisa per lungo da un canale destinato a scaricare le acque de’ rivoli e delle paludi vicine. Il fondo di questa campagna quasi del tutto incolta è di terra marnosa, al formare la quale sembra debbano essere concorsi i gusci de’ piccioli turbiniti, che in infinito numero vi sono d’anno in anno abbandonati dalle acque che, partendo dai colli superiori a Sopot, sogliono allargarla. Il canale di Morpolazza mette capo nel lago di Scardona, dopo trenta buone miglia di corso, col nome di Goducchia. Probabilmente nel sito dov’ora è la chiesa di s. Pietro di Morpolazza, appié delle colline, sorgeva qualche stabilimento romano. Vi restano tuttora degli avanzi di pietre lavorate, e qualche frammento d’iscrizione. L’Arausa dell’Itinerario d’Antonino63 non dovrebb’essere stata molto lontana da questo luogo. E andato molto lungi dal vero chi ha creduto che Arausa, o Arauzona, sia Zuonigrad, piazza ch’è ben trenta miglia più addentro e lontana dalla strada cui fece quell’Imperatore.
 
I corpi marini fannosi vedere fra Ostrovizza e Morpolazza su’ colli di Stancovzi, e fra Morpolazza e il mare per tutte le falde di Bagnevaz e di Radassinovaz.
 
Il Contado di Zara avea molti altri stabilimenti romani, de’ quali, quantunque sieno periti anche i nomi, troverebbonsi però de’ vestigi coll’aiuto della carta peutingeriana. D’alcuni rimangono i nomi tuttora come sono Carin e Nadin, sorti
63 Costituisce l’unico esempio di itinerario pervenutoci che sia strutturato a libro. Appartiene a quel genere di carte a carattere prevalentemente pratico, approntate nell’antichità per mercanti, viaggiatori e militari, intese a indicare i sistemi viari, le stazioni di sosta e le distanze intercorrenti. Probabilmente di età imperiale, comprende il nord Africa, l’Italia e le isole, e le province dell’Impero fino alla Britannia.
 
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dalle rovine di Corinium e Nedinum; io non posso per ora renderle conto di ciò che vi si osservi, non avendoli visitati. Mi fu però detto che presso Carin si veggano tuttora de’ vestigi d’un anfiteatro.
 
Ho voluto con una stucchevole precisione parlare a Vostra Eccellenza di tutti i luoghi dove ho trovato lapidefatti d’origine marina, e di tutte le pianure, o valli coltivabili ed amene, che ho veduto cavalcando per una picciola porzione del Contado di Zara, perché la non si lasciasse ingannare da quanto fu scritto poco veracemente degli eterni dirupia della Dalmazia, della continuità di non so qual masso marmoreo che la compone, e della rarità, o difficile riconoscimento de’ corpi marini lapidefatti. Non si può negare che sian aspre ed orride alcune delle montagne di questo regno; ma fa d’uopo anche aggiungere che v’hanno ampi distretti, ne’ quali montagne non s’incontrano giammai, e che fra le montagne ancora v’hanno delle valli amenissime e feconde. Il mio concittadino Donati ha nel suo Saggio dato anche qualche poco favorevole cenno del carattere dei popoli, che abitano l’interno di questa provincia; ed egli ebbe il torto, alla pagina iii, prendendo a dirci che il timore, cagionato dalla barbarie de’ popoli e dal pericolo delle ricerche trattenne lo Spon e il Wheler64 dall’internarsi nella Dalmazia mediterranea. Chiunque sa che questi due viaggiatori erano diretti pel Levante, imbarcati su d’una nave pubblica veneziana, e per conseguenza costretti a dilungarsi poco dal lido, allorché afferravano qualche porto, non vorrà crederlo. Lo Spon trovò poi tanta e sì generosa ospitalità ne’ luoghi maritimi, e segnatamente a Spalatro, e fu sì contento dell’onestà e ragionevolezza delle guide morlacche, dalle quali fu accompagnato in qualche sua picciola escursione a cavallo, che non avrebbe mai sognato di temere la barbarie de’ popoli fra terra. E facile il consultare lo Spon medesimo nel primo tomo del viaggio, dove rende conto della sua gita a Clissa. Se Vostra Eccellenza avrà la pazienza di leggere un
 
a Donati, Saggio di storia nat., p. VII, IX.
 
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giorno o l’altro i dettagli di quanto io ho personalmente su di questo proposito veduto cavalcando fra’ Morlacchi, non vorrà più credere che questa nazione sia barbara a segno di render pericoloso il viaggiare pelle contrade ch’ell’abita.