Viaggio in Dalmazia: differenze tra le versioni

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s’adopera pei cavalli, di cui però si servono felicemente, senza incontrare giammai le disgrazie prodotte dalle lancette.
 
§. 16. Funerali
 
Il morto è pianto ed urlato dalla famiglia prima che sia portato fuori di casa, ed al momento in cui ‘l sacerdote va a prenderlo, le strida si rinnovano altamente, come fra noi. Ma quello che fra di noi non si usa fare, i Morlacchi fanno in que’ momenti di lutto; e parlano all’orecchio del cadavere, dandogli commissioni espresse pell’altro mondo. Finite queste cerimonie, il morto è coperto di tela bianca e portato alla chiesa, dove si rinuovano i piagnistei e si canta dalle prefiche e dalle parenti la di lui vita piagnendo. Sotterrato ch’egli è, tutta la comitiva insieme col curato se ne ritorna alla casa d’ond’è partita; e colà si mangia a crepapancia, stranamente intrecciando le orazioni e le ciotole. I maschi in segno di scorruccio si lasciano crescere la barba per qualche tempo; costume ch’ebraizza, come quello degli azimi, delle lustrazioni e vari altri di questa gente. E anche segnale di lutto il color pagonazzo del berretto, o il turchino. Le donne si mettono in capo fazzoletti neri o turchini, e nascondono tutto il rosso de’ loro abiti col sovrapporvi del nero. Durante il primo anno dall’inumazione d’un qualche loro parente, le Morlacche usano d’andare, per lo meno ogni dì festivo, a fare un nuovo piagnisteo sulla sepoltura, spargendovi fiori ed erbe odorose. Se talvolta per necessità elleno sono state costrette a mancare, si scusano nelle forme, parlando al morto come se fosse vivo, e rendongli conto minutamente del perché non poterono fargli la dovuta visita. Non di raro gli chiedono anche novelle dell’altro mondo, facendogli curiosissime interrogazioni. Tutto questo si canta in una spezie di verso e in tuono lugubre. Le giovani, desiderose d’avanzarsi nelle belle arti della nazione, accompagnano le donne che vanno a fare di tali lamenti su le sepolture, e spesso cantano anch’esse formando un duetto veramente
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Il serviano maiuscolo de’ Calogeri, e il corsivo usato nell’interiore della Bosna, ch’è quasi arabizzato, sono anch’essi curiosi; ma sarebbe di noia il riferirli.
 
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Oblaziga mater, i sestriza;
A Gliubovza od stida ne mogla.
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U pût-se-je s’duscjom raztavila
Od xalosti gledajuch sirotag.
 
CANZONE DOLENTE
DELLA NOBILE
SPOSA D’ASAN AGA’45108
 
Che mai biancheggia là nel verde
bosco?
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Gli orfani figli suoi partir veggendo.
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AL CHIARISSIMO SIGNOR
CAVALIERE
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Del corso del fiume Kerka, il Titius
degli Antichi
</poem>
La dura necessità di viaggiare alla fortuna per un vasto regno, dove tuttora è straniera ogni parte della storia naturale, m’ha fatto perdere, come ben potete immaginarvi, molto tempo e molte fatiche. La scarsezza di persone atte a somministrare qualche buona indicazione al viaggiatore è il massimo de’ mali ch’io v’abbia incontrato. Non è già che nelle città maritime della Dalmazia manchino gli uomini colti, no, ma questi pell’ordinario si occupano di tutt’altri affarì che quelli del naturalista, e quindi sono di pochissimo aiuto. Non potendo
109 Figlio del grande e più noto naturalista (1708-1777), donò le collezioni del padre alla Repubblica veneta, fu professore di storia dei corpi naturali all’Università di Padova e custode di quelle raccolte che vi erano stare incorporate e che costituirono il primo museo pubblico di storia naturale.
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avere un numero conveniente di punti fissi, a’ quali dirigere le mie gite, io mi sono trovato in necessità di segnarmi delle linee, o di profittare delle già segnate dalla natura, ora lungo il mare nella sinuosità de’ lidi, ora fra terra110 ne’ corsi de’ fiumi.
 
§. 1. Delle vere sorgenti del fiume Kerka
 
Uno di quelli ch’io ho più diligentemente seguito si è il Tizio degli Antichi, oggidì detto Kerka o Karka dai nazionali; egli fu, come sapete, a’ tempi romani il confine che divideva la Liburnia dalla Dalmazia. Le di lui sorgenti sono segnate nelle carte molto più addentro che le non si trovano veramente. Anche i più esatti corografi della Dalmazia hanno confuso coll’alveo della Kerka un torrente che vi precipita dall’alto e conduce le acque eventuali111 d’un mediocremente esteso tratto di monti aspri, conosciuto dagli abitanti sotto ‘l nome di Hersovaz. La giogana112 di Hersovaz congiunge le radici della montagna Dinara con quelle di Gnat, e divide le campagne bagnate dalla Cettina, ch’è il Tiluro de’ geografi, dalle ampie valli irrigate dal Tizio.
Questo fiume non ha d’uopo d’accessioni per iscorrere con decoro; ed è già bello e formato un trar di mano fuori della caverna d’onde scaturisce.
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barchetta cavata in un tronco d’albero, come le canoe de’ selvaggi americani), e provveduto di scheggie di pino accese tentai di navigare sotterra, in compagnia dell’egregio giovanetto signor Jacopo Hervey. Non fu del tutto vano il tentativo, quantunque grande impegno fosse il difendersi dalle protuberanze tartarose della volta e il cozzare coll’impeto dell’acqua contraria; ma le nostre fiaccole si spegnevano pella quantità di gocciole, che cadono colà dalle rupi superiori filtrandosi, e lo zopolo, affrontando il fiume laddove con molto romore scende per angusto e decive canale, se n’empiva più del bisogno. Si dovette replicatamente ritrocedere: ma con uno zopolo riparato saremmo certamente andati più oltre, e forse avremmo potuto passeggiare su le rive sotterranee del fiume. E da ricordarsi che i monti di Topolye sono della stessa catena, calcareo-marmorea, che quelli di Jerebiza, da’ quali esce con opposta direzione la Cettina. A un tiro di sasso dalla bocca della caverna, d’onde vien fuori la Kerka, v’hanno i mulini. Le ruote delle macine sono orizzontali, e i raggi loro fatti a foggia di cucchiai. Questa maniera di ruote, ch’è buona pe’ luoghi ne’ quali si può radunare poc’acqua, e l’alzarla esigerebbe molto dispendio, trovasi nel Libro delle Macchine di Fausto Veranzio114 da Sebenico, vescovo canadiense.
 
§. 2. De’ colli vulcanici che si trovano fra la cascata di Topolye e Knin
 
Da Topolye a Knin v’hanno cinque miglia di cammino, sì per acqua che per terra. Cavalcando pelle altezze de’ colli, vidimo di molti massi disequilibrati, e tratti assai considerabili di breccia ghiaiosa. Scendendo poi a seconda del fiume, nel ritornare da una replicata visita fatta alla cascata, ci fermammo a due colline opposte, l’una di marmo volgare calcareo e di ghiaia rassodata in breccia, l’altra
114 Fausto Veranzio 1551-1617 Fu quasi un precursore dell’enciclopedismo settecentesco, per quell’interesse per la meccanica e la tecnica che coltivo accanto a studi più latamente scientifici e umanistici. E qui citato per il trattato Machinae novae nel quale illustra le sue invenzioni e i progetti, in particolare di ponti e mulini. Sulla vita e le opere di Veranzio tornerà più diffusamente Fortis nelle pagine successive.
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d Ne’ documenti è detta Tnin, Tnina, Tininium e Tnena, Forse il nome di Knin, e Klin gli viene da klin, cuneo, da che trovasi infatti posta su la punta d’un cuneo.
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§. 3. Di Knin, e de’ Monti Cavallo, e Verbnik
 
Non si trova lungo il corso de’ due fiumi Kerka e Cettina verun luogo, a cui
meglio convengano i caratteri attribuiti da Dione Cassio115 alla fortezza d’Ardubae. Il fiume Kerka dall’una parte, la Butimschiza dall’altra bagnano il cuneo, sull’estremità del quale attualmente sorge la fortezza di Knin. Lo storico parla però d’un solo fiume, non d’una confluenza, e lo qualifica rapido; questo non conviene adesso alla Kerka sotto le mura di Knin dove, per dire il vero, ha pigrissimo corso. L’abbandono di questo fiume, che non avendo argini straripa sovente e forma paludi insalubri immediatamente sotto Knin, è dannoso all’aria di que’ contorni. Monumenti antichi di sorte alcuna io non vi ho veduto, trattone un’osservabile quantità di monete romane e particolarmente de’ tempi del buon imperatore Antonino. Trovansi anche non di rado per quelle contrade monete antiche veneziane e d’altre città e principi dell’età di mezzo.
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Topolye, così alta, ripida e scogliosa, dal labbro della quale se fosse condotta una linea, ell’anderebbe sopra tutte le nuove colline a congiungersi colle falde del Verbnik. Poco distante dal Monte Cavallo sorgeva l’antica città liburnica di Promona, che dié tanto da fare ai Romani. Sarebbe d’uopo viaggiare pell’aspra regione, che tuttora porta il nome di Promina, a picciole giornate, per raccogliervi i residui d’antichità che vi sono sparsi. Veggonsi su le vette d’alcuni di quegli aspri monti de’ resti della muraglia, cui Augusto fece da’ suoi soldati fabbricare per cinquanta stadi di circuito, onde chiudere la communicazione degl’Illiri fortificatisi in Promona co’ loro nazionali e alleati delle vicine contrade. Fra il Verbnik e il colle di Knin, per un angusto e non diritto canale che ne sostiene l’acqua di molto, passa la Kerka. Il fiumicello Butimschiza vi si unisce poco più sotto e ne ritarda il corso, portandovi de’ banchi d’arena e ghiaia incomodissimi e pericolosi alla breve navigazione, cui pur permettono le distanze delle cateratte che frequentemente interrompono il corso di questo fiume.
 
§. 4. Delle acque che confluiscono nella Kerka e del corso di questo fiume, sino al Monastero di s. Arcangelo
 
La Butimschiza si forma sotto il monte di Stermizza dal concorso di tre torrentelli, il principale de’ quali, ch’è detto Czerni-Potok (nero torrente), dopo nove miglia di corso dal monte Gelmach, serpeggiando, si conduce a incontrare l’acqua di Mraai, nata dal monte Plissiviza, che perde il nome conservato per sei miglia di viaggio, confondendosi col ruscello di Tiscovci nell’alveo del maggior torrente. Il Tiscovci o Tiscovaz entra a ingrossare l’acque del Torrente-nero, poco prima che ‘l Mraçai vi metta capo; egli viene dal monte Vulizza attraversando l’ampia campagna di Sarb e Dugopoglye, cui ‘i Vulizza e ‘l monte Trubar separano dalla pianura di Grahovo, che giace oltre il veneziano confine. Entra finalmente, poco lontano dalle spalle di Knin, a ingrossare il fiumicello Butimschiza la
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Guardivi il Cielo, o Signore, dall’incontrare così duri e scortesi uomini pelle montagne che andate visitando, e dalle quali recherete un gran numero d’importanti notizie ed osservazioni francesi e germaniche in qualunque altro viaggio, da cui avrà sempre ragione d’attendere la repubblica de’ naturalisti! Io aspetto avidamente il ritorno vostro a queste contrade, come d’un soggetto a cui mi legano indissolubilmente la venerazione, ch’io ho pella solida virtù, e il vincolo degli studi comuni, per cui v’ amo ed ho in pregio fra tutti gli orittologi a me noti, niuno de’ quali vi può stare a fronte pell’acutezza della vista, pell’esattezza degli esami, pella determinazione coraggiosa e pell’infaticabilità cui portate ne’ viaggi montani.
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AL CHIARISSIMO SIGNOR
GIOVANNI MARSILI218
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MEMBRO DELLA SOCIETÀ REALE
DI LONDRA, ec.
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Del corso della Cettina, il Tilurus degli Antichi
 
Distraetevi un poco dalle indefesse occupazioni vostre botaniche, dottissimo ed amatissimo amico, e viaggiate meco lungo le sponde mal conosciute d’un fiume in altri tempi frequentato da valorosi soldati romani trasportati- visi in colonia. Io v’ invito a valicare le aspre montagne, che separano dal mare le belle contrade interiori della Dalmazia, nell’età nostra dai Morlacchi abitate: ma con assai meno disagio di quello ch’io ho pur alcuna volta sofferto in varcandole. Amatore come Voi siete d’ogni genere di studi, non leggerete forse senza qualche diletto i vari dettagli, che dalle fonti alle foci del Tiluro anderete a destra e a sinistra del cammino vostro incontrando; né vorrete farmi una colpa di qualche discreta digressione, alla quale dall’analogia delle materie mi sono lasciato talvolta condurre. Ho studiato di non riuscire stucchevole: ma se lo fossi divenuto a mio dispetto, e senz’ avvedermene, non avrò per male che gettiate questa mia lettera lungi da Voi. Io intendo pienamente quanto ingiusta cosa sarebbe che fosse procurata noia, e perdita di tempo prezioso, ad un uomo di merito qual Voi siete veramente, per comune consenso riconosciuto in Italia, e ne’ più colti e da noi rimoti oltramontani paesi. Le vostre ore sono preziose alla repubblica dei dotti; quindi è ch’io non aspiro ad occuparle, e ve ne chiedo soltanto i ritagli.
 
§. 1. Delle fonti della Cettina
 
218(1724-1794). Letterato e naturalista veneto, viaggiò in Francia e Inghilterra dove iniziò ad occuparsi di botanica. Tornato in Italia divenne professore di botanica all’Università di Padova e custode del Giardino dei semplici che arricchì di quelle piante esotiche che furono oggetto anche di alcune sue osservazioni. Scrisse numerose memorie scientifiche e operette letterarie.
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spezie di pesci volgari fluviatili vi si veggono; ma l’apertura che serve alloro passaggio non è accessibile, né si vede al di fuori da chi vi guarda orizzontalmente. Fa d’uopo per iscoprirla mettersi su d’una dell’estremità dirupate del semicircolo, e guardarvi dall’alto. Intorno a sei piedi sotto la superficie del lago, scopresi attraverso dell’acqua un ciglione di marmo in forma di grand’arco irregolare, che sporge molto all’infuori. Per di sotto a questo esce l’acqua; e ‘l di lei moto vorticoso, che sulla superficie poco o nulla apparisce, scopresi pella inclinazione che prendono nell’atto di scendere le pietre gettatevi. L’altra fonte, che non è molto distante dal casale all’opposta parte, s’estende un p0’ più considerabilmente pur in forma di lago abbracciato a ferro di cavallo dalle radici marmoree del monte. Le di lei sponde non sono così fresche ed ombrose come quelle della prima: dicono abbia uguale profondità nel mezzo; e anche da questa un fiumicello si forma dopo brevissimo corso, che sarebbe considerabile da per se solo, e lo diviene molto più allora che si congiunge coll’altro, e co’ due rivi e parecchi ruscelli minori, che dalle radici del monte medesimo scorrono verso la pianura.
 
§. 2. Viaggio sotterraneo
 
L’abbondanza dell’acqua, che da questi laghi e dalle altre men ragguardevoli fonti concorre a formare il fiume Cettina, il vedere ch’egli esce tutto da un monte assai più picciolo di quelli che sono soliti a dar origine ai fiumi nobili; il ricordare i marmi brecciati, da’ quali le sommità delle montagne illiriche sono occupate, ci fece sospettare gagliardamente che non fossero le sorgenti vere della Cettina quelle presso alle quali ci trovavamo, ma sibbene diramazioni d’un fiume sotterraneo, di cui antico letto furono peravventura in rimotissimi secoli le alte pianure continue, che poi divennero dopo una lunga serie di squarciamenti sommità di montagne. Venuto di fresco dall’avere visitato il Bellunese, e que’ luoghi particolarmente ne’ quali gli sfaldamenti delle montagne interrompono di sovente il corso de’ fiumi, mylord Hervey riconobbe i vestigi pendenti delle rovine
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friggere il pesce nelle padelle; il grasso che vi si disfà colano e ripongono in giarre pegli usi domestici di tutto l’anno. Non ho potuto rilevare se abbiano un costante periodo le acque del Busco-Blato, come quelle del celebre lago di Czirkniz: ma un qualche periodo hanno certamente, su di cui contano gli abitanti de’ vicini luoghi.
 
§. 3. Pranzo morlacco in un sepolcreto
 
Era allestito il nostro pranzo in poca distanza. Il luogo scelto a questo effetto fu l’antico cimiterio, che sta vicino alle rovine d’una chiesa dedicata all’Ascensione. Fra le sepolture sono piantati moltissimi alberi, che fannovi un’ombra aggradevole. I gran sassi, sotto a’ quali dormono le ossa degli antichi valorosi, sono degni d’attenzione sì pel numero, che per la mole loro; dico degli antichi valorosi perché le armi, che si trovano sovente in quel luogo, mostrano che furono guerrieri. Vi saranno sotto quegli alberi oltre dugento masse pesantissime, ciascuna d’un solo pezzo di marmo, che potrebbono a ragione esser dette sepolcri di giganti. Alcuna di esse ha otto piedi e mezzo di lunghezza, quattro e mezzo di largo, e quasi lo stesso d’altezza. Giacciono lontane dal monte di modo che non è possibile l’immaginarsi che, senza molto ben intese macchine, gli antichi abitatori di quelle contrade abbiano potuto condurle sino a quel luogo. Per la maggior parte sono que’ massi enormi di figura parallelepipeda, e assai bene spianati, ve n’hanno parecchi di forma più barbara e manierata; nessuno ha iscrizione, ma quasi tutti degli stemmi a bassorilievo.
Il pranzo era imbandito alle spese del morlacco Vukovich, con tutta la profusione di vivande che si poteva desiderare. Quel cortese galantuomo non intende parola d’italiano, ma intende perfettamente l’ospitalità. Uno di que’ sepolcri ci servì di mensa; ma mense ancor più curiose erano poste dinanzi a noi, e sostenevano due agnelli arrosto che ci furono arrecati. Erano queste focaccie d’azzimo stiacciate, destinate ad un tempo a servire di piatti e di pane. Noi
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inacidito, l’aglio, e le scalogne col pane d’orzo, che sono le loro vivande ordinarie. Vagando pella campagna vicina al sepolcreto, trovansi delle rovine d’antiche abitazioni affatto distrutte, che mostrano d’essere state di qualche stabilimento romano.
 
§. 4. Pianura di Pascopoglie, Fonte salsa, isola d’Otok. Rovine della Colonia Equense
 
La Cettina ingrossata dal concorso de’ vari rami provenienti dalle sorgenti di Jarebiza, attraversa con dignità la piana campagna di Pascopoglie, che negli autunni piovosi è soggetta alle inondazioni, perché il fiume non ha argini di sorta alcuna, e il di lui corso in più d’un luogo è impedito da’ mulini e mal intese roste artificiali, o da isole e banchi di fanghiglia che ingombrano l’alveo abbandonato intieramente all’eventualità. Per questa, e per molte altre ragioni che fatalmente vi si combinano, la pianura di Pascopoglie, e generalmente tutte le belle e pingui valli della Morlacchia sono quasi affatto incolte. Noi non seguimmo il corso della Cettina; ma abbandonatolo per qualche tempo lo rividimo al passo di Han, dove non lungi dal fiume havvi una fonte d’acqua salata, cui gli abitanti chiamano Ziane-stine (pietre salse). Noi non visitammo questa fontana, quantunque vi siamo passati assai da presso, perché non ce n’era per anche stato parlato, e proseguimmo il viaggio sino a Otoka, picciola isoletta in mezzo al fiume, celebre fra gli abitanti de’ vicini luoghi pella strage di parecchie famiglie morlacche, che vi s’erano ritirate e valorosamente difese per qualche tempo nell’ultima guerra. I vari rami della Cettina sono considerabilmente profondi in quel sito, ed occupano troppo spazio di terreno impaludandolo, il che non avverrebbe se fossero uniti e ben arginati, incominciando dalle sorgenti loro, di modo che le acque incassate s’internassero fra le montagne a Trigl con impeto e volume maggiore, e di là precipitassero poi a br piacimento di balza in balza come fanno sino al pié della picciola rocca di
aOtok, isola. Non essendovi occasione d’equivoco, questa della Cettina porta il nome generico invece d’averne uno di proprio.
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pietra scissile di Bolca della spezie meno compatta, non vi si vedono frantumi, o reliquie d’animali marini, contiene però alcuna fogliuzza d’alga, o almeno qualche cosa che all’alga somiglia di molto. Questa spezie di pietra non soffre il freddo, e credo che si sfogli al calore del sole dopo la pioggia; quindi si è perduta l’iscrizione, cui trovammo esposta all’intemperie. Il padre Coronelli229 nomina questo luogo Nojac, segnando che fu preso a’ Turchi dal generale Valiero del 1685. Il Lucio nelle Memorie di Traù lo chiama Chgliucich. Il Luccari230, annalista raguseo, non ricordandosi che ‘l dittongo mette alcuna volta delle gran differenze ne’ significati delle parole, né avendo consultati gli antichi geografi, pretese che la Colonia Equense fosse intorno a sei miglia lontana dall’antica Epidauro, in un luogo che adesso chiamasi Cogniz: ma egli non avea badato agl’itinerari antichi, da’ quali poteva essere chiarito dell’error suo. Cogniz poteva essere il sostituito a un Equilium, se in que’ contorni vi fosse anticamente stato un luogo di questo nome tratto da’ cavalli. Kogn in islavo significa equus, cavallo, non cosa che abbia relazione alla giustizia, come significa aequum. Andando da Aequum verso Scign trovasi un considerabile numero di colline sparse con amenissima maestria, e coperte di grandi alberi, appresso i quali le capanne loro sogliono fabbricare i Morlacchi. La base di queste protuberanze del terreno talora è d’argilla conchifera cenerognola.
 
§. 5. Delle colline vulcaniche, e de’ laghi di Krin. Gesso di Scign
 
Noi ci fermammo a Krin, dove ci arrecò cortesemente dei favi di miele il povero abitatore d’un tugurio più deliziosamente situato, che molti palazzi di ricchi signori nol sono. Egli non s’era in alcun modo riparato dalla vendetta delle api per
229 Insigne geografo veneziano (1650-1718), cartografo e «cosmografo pubblico della Repubblica Veneta», autore, tra l’altro, di numerosi globi e del famoso Atlante veneto, Fu particolarmente celebrato per la descrizione minuziosa dei luoghi e degli avvenimenti delle campagne militari di Morosini in Dalmazia, Epiro e Morea del 1684-85.
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sembra però che anche il poco denaro, che si spende in gesso nello Stato del Papa, sarebbe meglio e più utilmente impiegato in Dalmazia, dove dovrebb’essere forse a preferenza comprato questo prodotto, anche a prezzo un poco più alto.
 
§. 6. Della fortezza di Scign, e della campagna vicina
 
La fortezza di Scign, dove i petti di poche centinaia di Morlacchi servirono di bastioni contro trenta mille Turchi nell’ultima guerra, non è mai stato un gran pezzo d’architettura militare. V’ha chi vuole fosse in quel medesimo sito Aleta. Una sola iscrizione ben conservata in marmo greco vi si trova, non di fresco incassata nella muraglia d’una casa; ma potrebb’essere stata portata, come qualche altra delle rovine d’Aequum, non più che cinque brevi miglia lontane, o forse da qualche altra città più antica, di cui anche il nome e le rovine sonosi perdute. Lo stesso però non convien dire d’un’altra iscrizione, e di qualche bassorilievo mal conservato, che vedesi nel luogo detto Le fontane, poco distante da Scign, d’onde furono disotterrate parecchie fiate delle cose antiche. Il sito è per se bellissimo, né sarà stato trascurato dai Romani, che si piantarono sempre ne’ migliori luoghi de’ paesi conquistati. I Turchi vi fortificarono un ripido masso alla barbara usanza loro, vale a dire senza veruna intelligenza, ed astraendo dall’uso del cannone, Le loro fortificazioni si sono quasi affatto sfasciate, quantunque il Busching descriva questo luogo come assai ben tenuto. A Scign risiede un nobile veneziano con titolo di Provveditore, e v’hanno de’ quartieri pella cavalleria, le di cui occupazioni principali sono il somministrare scorte alle caravane provenienti dal paese turco, dirette alla scala di Spalatro.
Il colle di Scign è di breccia disposta irregolarmente, di maniera che sembra piuttosto di vedervi rovine di strati, che strati. Egli è situato nel fondo della pianura che va sino alla Cettina, ed è spesso allagata dagli straripamenti di esso fiume. Sotto la borgata il piano è angustissimo, e circoscritto da monti che attaccano col Cucuzu Clanaz. V’hanno degli strati di argilla azzurrognola, che scopronsi alle radici di essi monti, ne’ quali sono prese varie spezie di corpi
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trovar possibile che da nuove rovine dovessero nascere nuovi intoppi e deviamenti alla Cettina.
 
§. 8. Corso della Cettina da Duare sino alle foci
 
Scendendo lungo il fiume da Duare verso le foci, che ne sono dodici lunghe miglia lontane a ponente, io mi sono confermato nella già concepita opinione, che le maggiori montagne della Dalmazia litorale abbiano bensì le sommità marmoree, ma non il corpo e le radici. Com’è marmorea la cima di Duare, così lo sono le vette del monte Dinarab, che s’erge fra la Cettina e ‘l mare; e come le parti inferiori di quello sono di terra più o meno rassodata, così le falde di questo sono composte di varie modificazioni non marmoree di materie marine. Quattro brevi miglia sotto Duare lungo la strada comune, veggonsi de’ filoni degnissimi d’attenzione, che rassomigliano, anche ben esaminati davvicino, a una muraglia di pietre diligentemente riquadratec. Questi filoni sono in apparenza quasi verticali, e la loro formazione è analoga alla genesi di quelli che si veggono presso Spalatro, vale a dire che deggiono il loro induramento alle acque filtratesi pelle fenditure. Nel rendervi conto di qualche osservazione fatta lungo i lidi del vicino mare, che formano la parte esteriore del monte Dinara, io vi descriverò un pezzo di stratificazione simile a questa, che vi si vede scoperto, e cui ho fatto disegnare come istruttiva e singolar cosa. Nel tenere di Slime, proseguendo il cammino, trovansi in gran quantità e varietà d’impasti le focaie di vari colori, e curiosi impasti marmorei di corpi marini, suscettibili di bel pulimento. Io ne conservo qualche esemplare, che occuperebbe degnamente un luogo in qualunque museo. Fra questi merita d’essere distinto un marmo aggregato, composto di lenticolari, con frammenti d’altri corpi marini lapidefatti e di sassolini bianchi, angolosi. Fra le picciole lenticolari presevi dentro e petrificatevisi, ve n’hanno anche di quelle
bQuesto monte Dinara non deve confondersi coll’altro del medesimo nome, che sorge ai confini de’ Distretti di Knin e di Scign. E' comunissima cosa in Dalmazia il trovare uniformità di nome in luoghi diversi.
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alternando in tal guisa le vedute e le angustie, giungono alle foci senz’avvedersene, e con dispiacere d’aver goduto poco d’uno spettacolo così magnifico e dilettevole.
 
§. 9. Della provincia di Pogliza, e suo Governo
 
Le appendici del monte Mossor si prolungano a destra dei fiume, seguendone il corso tortuoso dalla villa di Gardun, che giace rimpetto a Trigi, sino al mare. Questo tratto di montagne, che sorge fra Clissa e Duare stendendosi fra le foci della Xarnovniza e della Cettina, è conosciuto sotto il nome di Pogliza. Il corso del fiume serve di confine a’ Poglizani per trenta buone miglia, interrotto soltanto da una picciola porzione del territorio di Duare. La provincia di Pogliza non racchiude alcuna città, né si sa che ve ne siano state ne’ tempi antichi. Ella si è data spontaneamente alla protezione del Serenissimo Governo nello scuotere la dipendenza dalla Porta, sotto di cui viveva governandosi co’ propri statuti. Questa picciola Repubblica merita d’essere conosciuta. Tre ordini di persone vi compongono un popolo di circa quindicimila abitanti. V’hanno venti famiglie, che pretendono discendere da nobili ungheri ritiratisi colassù ne’ tempi di turbolenze; ve n’ha un altro maggior numero, che vantano d’essere nobili di Bosna; e finalmente v’ha la plebaglia de’ contadini. Ogni anno nel giorno di s. Giorgio si radunano i Poglizani alla Dieta, cui chiamano in loro lingua Zbor; ciascuno de’ tre ordini forma un accampamento separato nella pianura di Gatta. Colà si eleggono di nuovo i magistrati, o si confermano. Il Veliki Knès, o sia Gran Conte, è la prima figura dello Stato, ed è sempre tratto dalle famiglie nobili d’Ungheria. I di lui elettori sono i Conti Piccioli, cioè i governatori de’ villaggi, che sono tratti dalla nobiltà bosnica, e vanno alla Dieta col voto della loro comunità. Intanto che i Conti Piccioli eleggono il Gran Conte, il popolo, diviso in varie assemblee rappresentanti gli abitanti de’ villaggi, elegge i Conti Piccioli pell’anno nuovo, o conferma quelli che io meritano. Il prim’ordine dello Stato procede contemporaneamente all’elezione d’un Capitano e di due Procuratori. Rare volte
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certamente d’altro legno per non fare innovazione, perché il loro statuto prescrive nominatamente l’uso di questa spezie.
Ad onta di questi tratti di barbarie legale, i Poglizani sono umani, ospitali e buoni amici, se non abbiano motivo di sospettare della persona cui frequentano. L’ignoranza li rende ombrosi, e riesce quindi impossibile il ricavar da essi lume veruno, e l’esaminare carte antiche od altra cosa degna della curiosità de’ viaggiatori; eglino temono sempre che il forastiere che sa leggere sia uno scava-tesori. I pastori di Pogliza hanno una particolar divozione a s. Vito, e ne solennizzano la festa accendendo dinanzi alle loro capanne fasci di legni odorosi. Ne’ tempi andati le nazioni slavoniche aveano divozione al dio Vid. Credono che l’estrarre il diaccio dalle profondità delle loro montagne, dove si conserva tutto l’anno, sia un far sorgere il vento Borea distruggitore delle loro piantagioni; e quindi non permettono a chi che sia l’asportarne. Eglino trattano le donne poco civilmente; né mai le nominano senza premettere una frase di scusa, appunto come i Morlacchi. Questo dee bastare per saggio della loro rozzezza rugginosa. La robustezza, la bellezza della statura, la sobrietà, l’abitudine al lavoro formano de’ Poglizani un popolo di soldati al bisogno. Eglino abitano un paese inaccessibile a grossi corpi di truppe, e ponno discenderne in formidabile numero. Lo spirito di vendetta li condusse, non ha molti anni, a minacciare la città d’Almissa, scendendo in grosso corpo da’ loro monti sino alla riva del fiume, e fu d’uopo del cannone per farli rientrare in se stessi. Nel tenere de’ Poglizani è un casale detto Pirun Dubrava, il di cui nome significa la Selva di Pirun. Forse vi si adorava anticamente l’idolo Perun, che occupava gli altari slavonici anche a Novogorod, prima che Giovanni Basilio, gran-duca di Moscovia, avesse conquistato quella famosa città, e le provincie che ne dipendono.
 
§. 10. Della città d’Almissa. Ingiustizia fatta dal padre Farlati a quegli abitanti. Errori geografici dello stesso
 
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Almissa, detta Omish dagli Slavi, è peravventura l’Onaeum degli Antichi geografi, non il Peguntium come volgarmente si crede. Ella giace appié di rupi altissime, su d’una punta di terreno piano bagnata dalla Cettina e dal mare. Il Busching, perché goda di miglior aria, l’ha collocata su d’un alto scoglio, e il padre Farlati più volte citato francamente asserisce ch’ella è fabbricata sul monte, come anche aggiunge con egual esattezza, ch’è cinque miglia lontana dalle rovine di Epezio, mentre la distanza fra questi due luoghi è di tredici buone miglia. Vestigi di nobile antichità non vi si veggono, quantunque d’un’antica popolazione romana facciano fede i rottami de’ vasi e di tegole, e qualche frammento d’iscrizione, che veggonsi sotto ‘1 luogo detto Starigrad, cioè Città-Vecchia. Il solo monumento d’antichità che si conservi in Almissa è una picciola lapida dedicatoria, incastrata nelle mura. Questa città ha titolo di Vescovado, ma non residenza; nel che è simile a Knin, dove però il Busching ha messo un Vescovo residente. Almissa col suo territorio forma parte della diocesi di Spalatro; v’è un Seminario di preti glagolitici, destinati a coprire le parrocchie di Pogliza e dell’isole, dove sussiste la liturgia slavonica.
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Almissani v’hanno dei poderi, il fondo de’ quali è bituminoso; il vino, che si ritrae da questi, porta l’odore del terreno.
 
§. 11. Della muraglia naturale di Rogosniza, e della Vrullia, il Peguntium degli Antichi
 
Il litorale dipendente d’Almissa è costantemente composto di strati marmorei nella parte più alta, e dalle spalle in giù di varie terre argillose, o di cote. In un picciolo seno, sotto la villa di Rogosniza, vedesi allo scoperto una muraglia naturale (Tav. XII), simile a quella ch’io ho incontrata dalla parte opposta del monte Dinara, lungo il corso del fiume, nel tenere di Slime. La punta A del promontorio è di cote rovesciata. La muraglia B è pur di pietra arenaria. Le rovine segnate c sono prodotte dallo scioglimento della terra semipetrosa D, a cui sta appoggiata la muraglia tutta. Un’altra costa di muro naturale vedesi alla lettera E, come alla F nuovi filoni di terra azzurrognola. GGG sono pur muraglie biancastre, ed HHHH altri ammassi di argilla marina indurata, senza vestigio di testacei. Le acque che scendono giù pel dorso del monte formano la crosta tartarosa IIII, alcuni gran pezzi della quale veggonsi giacere al lido del mare caduti dall’alto. Il sasso K è uno di quelli che compongono la muraglia B, lungo due piedi. Queste muraglie naturali sono così ben connesse, che a prima vista potrebbono esser prese in iscambio, e sembrare residui di fabbriche antiche. Quattro miglia a levante del picciolo seno, dove mi sono fermato per far disegnare le muraglie naturali, trovasi la Vrullia. Questo nome è ad un tratto comune ad una montagna, ad un vallone, e alle fonti submarine che vi si veggono. Il vallone è quel medesimo di cui ho parlato al §. 7. Egli sembra essere stato scavato da un fiume antico; le fonti che gorgogliano per di sotto il mare sono tanto considerabili, che ad un risorgimento di fiume sobbissato potrebbono convenire. Vrullia ha radice comune colla voce vril, che significa in islavo fontana; e questa etimologia
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forma di cui poterono essere suscettibili, non quella che avrei voluto dar loro se le avessi a dovere compiute.
Io conto sì fattamente, Mylord, su la bontà dell’animo vostro, che mi lusingo non isdegnerete di vedervene dirette alcune, e vorrete pazientemente occuparvene, come d’una prova della costante memoria, gratitudine e tenerezza che a Voi mi congiunge, e mi terrà unito a dispetto della lontananza mai sempre.
 
§. 1. Della città di Macarska
 
Quel tratto di litorale che stendesi fra i due fiumi Cettina e Narenta, il primo de’ quali Nestus e Tilurus, il secondo Naro dagli Antichi fu detto, dove racchiudevasi due secoli prima dell’era nostra la propriamente detta Dalmazia, è stato da’ Greci de’ bassi tempi conosciuto sotto il nome di Paratalassia, e quindi dagli Slavi con denominazione equivalente fu chiamato Primorie, Dai racconti d’Appiano240 rilevasi che gran numero di città v’ebbero gli Ardiei, o Vardei, parte proprie, parte tolte per forza alle nazioni vicine da loro domate, prima dell’invasione de’ Romani; e dalla Tavola peutingeriana apparisce che parecchie ve ne rimasero dopo la conquista, nelle quali stabilironsi i vincitori che vi fondarono anche de’ nuovi municipi. Di questa verità, se ci mancassero le prove, manifesto indizio darebbono le frequenti iscrizioni, che svolgendo la terra s’incontrano per que’ luoghi vicini al mare, ed anche ne’ più internati fra’ monti. L’amenità della piaggia, la fecondità de’ terreni, l’opportunità della situazione rispettivamente al commercio delle provincie interiori col mare, la ricca pescagione di quelle acque deggiono aver invitato le antiche nazioni quantunque barbare a stabilirvisi; e dalla coltura sconsigliata de’ vicini monti, e dal taglio de’ boschi che que’ popoli si saranno trovati in necessità di fare, per provvedere a’
240Una sezione dell’opera di Appiano (II sec. d.C.), narrazione organizzata con criteri etnografici della storia di Roma fino agli anni di Sesto Pompeo, è dedicata ai popoli illirici e traci dalle origini alla definitiva conquista romana.
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anticamente sonosi scavati gli alvei. Un ruscelletto d’acqua detto Vrutak attraversa la piazza della città; non è però così dolce che possa servire a bevanda salubre, quantunque sorga da luogo elevato di molto sopra il livello del mare. Il popolo attinge acqua leggiera e purissima dal ruscello Budieviza, che scende dalla villetta di Cotisina e mette in mare vicino a Macarska. Sembra che ad onta delle ghiaie portate al lido dalle acque montane, il mare abbia guadagnato, e guadagni continuamente, in quelle vicinanze. Nel tempo di calma vedesi sott’acqua nell’imboccatura del porto un pezzo di muraglia, che non dovett’essere fabbricato certamente sotto l’onde ne’ tempi antichi; e lo scoglio detto di S. Pietro, che copre il porto medesimo, soffre uno smantellamento assiduo, quantunque non rapido, dalla violenza de’ flutti, come gli altri promontori di quel litorale. La palude contigua, dove l’acque stagnavano negli ultimi tempi per non poter avere libero corso in mare, somministrò anch’essa una prova di questo alzamento del livello. Nello scavarvi la comunicazione, di cui vi ho già fatto cenno, si trovarono i residui d’un magnifico sepolcro, e pezzi di nobili colonne. Io ho veduto a Macarska una bellissima medaglia di Marco Giulio Filippo in oro, tratta da queste fondamenta che non saranno state originariamente piantate in un sito allagato.
 
§. 2. Del monte Biocova, o Biocovo, che domina Macarska
 
Il più alto monte che sorga lungo le rive del Primorie si è il Biocova, alle radici del quale giace la città di Macarska. Egli apparisce di lontano bianco e spoglio d’alberi, e ben gli convengono ad un tratto ambedue i nomi d’Albio e d’Adrio che portò anticamente. L’aspetto nudo, sassoso e scosceso di questa montagna disabitata, presenta tutte le male qualità bastevoli a dissuaderne il viaggio. Non è possibile l’andarvi con cavalcature di sorte alcuna: e riesce per conseguenza malagevole anche l’arrampicarvisi co’ piedi e colle mani. La curiosità d’andar a
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peggio affedidieci246! Io troverei questa gente orribile se fosse capace di tanto, anche mossa dallo spirito di buona religione.
 
§. 3. Delle meteore del Primorie
 
Il monte Biocova manda, al dire de’ Primoriani, i venti, le grandini, le pioggie, e ogni cangiamento dell’aria. Il vero è che questa montagna è il loro teatro meteorologico. I venti boreali sono quelli intorno ai quali hanno fatto le più diligenti osservazioni; ed io credo che meritino d’esservi riferite, da che il mio defunto amico conte abate Grubbisich mi assicurò che, dando loro la prova colla speranza, le avea trovate ben fatte.
Prima che il vento di borea prorompa, se v’ha nebbia sul Biocovo questa sollevasi in alto, stracciata in mille guise; l’interno della montagna mugge, poi mena romore grandissimo, l’aria s’irrigidisce. Se il Biocovo non ha nebbie, annunziano borea le nubi egualmente distese per quel tratto di cielo, e il rigore insolito dell’aria. Dicono i pastori, e sembra il fatto lo mostri, che il vento borea esce dalle voragini della montagna. Certa cosa è che dalla sommità egli scende verso il mare, come un torrente impetuosissimo ed improvviso. Gli antri d’Eolo situati nelle alte montagne, e le procelle che rovinando calano dalle altezze presso i poeti antichi, mostrano che queste osservazioni sono state fatte anticamente da nazioni più colte. Anche Seneca pensò che i venti si scatenassero dagli abissi sotteranei, e si facessero strada pelle aperture della terra. Allorché per qualunque cagione si accendono i boschi dell’interno della montagna, regnano i venti boreali di mediocre forza (come sono mediocremente sprofondate le convalli selvose accese) finché dura l’incendio: ma cagionano lunghe siccità. A questo proposito è da ricordare ciò che si legge de’ Segnani, nella storia della guerra de’ Veneziani contro gli Uscocchi. Asserisco n gli scrittori che que’ ladroni, accendendo gran
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Verso Natale e in primavera si fanno sentire le provenze 249lungo que’ litorali; e queste per lo più la finiscono con qualche burrasca. I venti australi e il garbino vi sono poco frequenti a paragone de’ boreali, de’ maestrali e dello scirocco; quindi non se ne hanno regole dettagliate.
La neve e il diaccio non durano molto in Primorie, e nemmeno su la cima del Biocovo; quantunque al di là di essa, e fra’ dirupi del monte Mossor si conservino talvolta da un anno all’altro. L’abbondanza della neve porta abbondanza d’ogni prodotto, ma spezialmente d’oglio, e tanto più quando anticipi a cadere. Il freddo che si faccia sentire troppo tardi è dannosissimo, perché sorprende il succhio delle piante in moto. Anche gli animali minuti ne patiscono gravissimi danni. Non è però mai molto acuto il freddo in quelle contrade marittime, quando il vento di borea non lo conduca; e senza di questo il mese di gennaio vi è come l’aprile fra noi. La state vi si sente quasi da per tutto calda all’eccesso; e nel mese di settembre io vi ho sofferto tanto dall’ardore dell’aria, che in Puglia non ho certamente provato di peggio. Le grandini vi sono meno frequenti, e più minute che nella nostra parte d’Italia.
 
§. 4. Del mare che bagna il Primorie; del suo livello; della pesca
 
249Espressione locale, in Veneto indica prevalentemente le nebbie, ma può intendersi anche nell’accezione di venti freddi.
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256 Detentore dell’appalto delle imposte.
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§. 5. De’ luoghi abitati lungo il litorale del Primorie a ponente e a levante di Macarska
 
Dalla picciola villa di Brella, che sorge su d’un’altura in riva del mare presso la Vrullia, dove second’ogni probabilità il Pegunzio degli Antichi e la Brullia del Porfirogenito si dee cercare, incomincia il territorio di Macarska. I pochi terreni che dalle radici della montagna stendonsi lungo il mare, formando qualche striscia di litorale piano, e le colline contigue sono assai mal coltivate; buona parte di esse giace abbandonata al pascolo degli animali, quantunque fosse ragionevole cosa il ridurre a vigne tutto quel tratto. La nudezza però della montagna superiore giustifica l’uso delle terre litorali. A onta delle troppo frequenti visite di borea, tutto il Primorie macherano è attissimo a portare ulivi e viti e frutta gentili; queste ultime vi si vanno introducendo sull’esempio de’ Poglizani, che ne coltivano lungo il loro litorale con felicità e ne fanno un commercio lucroso, quantunque non sieno peranche arrivati a migliorare le spezie col mezzo degl’innesti. Vi fanno eccellente riuscita le marasche, spezie di ciriegie, dal nocciuolo delle quali particolarmente si dà il sapore al rosolio conosciuto sotto il nome di maraschino, di cui molte fabbriche esistono in Dalmazia, e a Zara principalmente una d’assai rinomata presso i signori Carseniga.
Oltre gli ulivi e le viti, i più considerabili prodotti degli alberi fruttiferi sono in quel distretto i fichi e le mandorle. La coltura delle due prime spezie non vi è generalmente ben intesa: si trovano nel medesimo picciolo podere alla rinfusa ulivi, fichi e mandorli in mezzo alle viti, queste sono piantate in distanza di due piedi l’una dall’altra, e si lasciano vagare per terra co’ sarmenti. Il prodotto annuo delle vigne non ascende a rendita media sino al quattro per cento, computando le spese che vi si richiedono. L’età della vite è di trent’anni al più: ma l’associazione
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all’aria è cenerognola, e conviene colla descrizione del Davosta260: ma l’interno è nero. Lungo il lido medesimo ho raccolto delle nummali lapidefatte.
Da Zaostrog alle foci del fiume Narenta trovansi alle radici della montagna i casali di Brist e Lapagn; e dietro al promontorio fra terra deesi aggiungere alle migliori carte il lago di Bachina. i monti che lo circondano sono più aspri e sassosi che ‘1 resto del Primorie: ma nulladimeno furono abitati anticamente più di quello lo sieno adesso. Il rovinoso castello di Gradaz e il sepoicreto di Slavinaz, dove probabilmente fu la Labienitza del Porfirogenito, ne fanno buona testimonianza. Dicesi che il Bachinsko-Blato, o sia lago paludoso di Bachina, oltre alle anguille che gli sono comuni cogli altri laghi di quelle contrade, abbia de’ pesci propri: ma sarebbe d’uopo pescarvi replicatamente per assicurarsene.
 
§. 6. Delle voragini di Coccorich; de’ laghi di Rastok, di Jezero, di Desna; e del fiume Trebisat
 
Dal convento di Zaostrog volli portarmi a vedere il lago temporario261 di Rastok, dal quale avea letto in vari geografi che nasce il fiume Norin, asserzione a cui gli abitanti del Primorie non s’accordavano. Presi la strada di Dervenich per costeggiare il Biocova a cavallo: ma non fu possibile di proseguire il viaggio così comodamente. I sentieri della più alta parte del monte passano sovente fra massi dirupati, e talora sono al margine di qualche precipizio. Varcata la cima del Biocova, proseguii il mio cammino parte a piedi, parte in sella, preceduto dalle scorte che ‘l cortese vojvoda Pervan di Coccorich m’aveva mandate. Il cammino de’ pedoni morlacchi da Zaostrog a questa villa interna è di cinque brevi miglia: ma eglino vanno con meravigliosa destrezza aggrappandosi su le balze più ripide, e si
260Manuel Mendes de Costa, naturalista di origine portoghese, nato a Londra nel 1717, membro della Royal Society, Scrisse una Natural History of fossiles (1757), e successivamente una Historia naturalis testaceorum Britanniae (1778).
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terreno è composto di picciole pagliuzze, frammenti d’erbe e neriti intonacate di tofo cretaceo. Io ne ho raccolto per curiosità, nel mentre che le mie guide si ristoravano mangiando. Lungo questo fiume hannovi de’ gran tratti di macchia, per mezzo alla quale passa l’antica via militare, che manteneva la communicazione fra Salona e Narona. Io vi discesi per esaminare alcuni monumenti antichi slavonici d’un sepolcreto che vi si trova: ma non potei cercarvi iscrizioni, sì perché la macchia era oltremodo fitta, sì perché le mie guide non mi assicuravano che i Turchi, de’ quali poteva sopravvenire qualche brigata, guardassero senza sospetto la mia curiosità. La maggior parte delle sepolture sono enormi pezzi di marmo, somiglianti a quelli su’ quali ebbi l’onore di pranzare in compagnia vostra, poco lontano dalle fonti di Cettina, colla numerosa compagnia de’ nostri buoni Morlacchi. I bassorilievi del sepolcreto, che giace lungo le rive del Trebisat nel bosco, sono però assai più curiosi che quelli di Vrilo-Cettine.
 
§. 7. De’ fiumi Norin e Narenta, e della pianura allagata da essi
 
Verso la fine della faticosa giornata mi trovai rientrato nell’angolo del confine veneziano, che passa fra gli aspri colli marmorei, da pié de’ quali scaturisce il fiume Norin abbandonato a se stesso sin dalle sorgenti, e che impaluda quindi un vasto tratto di campagna ingombrato di canne, di salci e d’ami spontanei. Picciolo spazio di terreno rimane asciutto fra le radici de’ colli e la palude, nel luogo chiamato Prud: ed egli è tutto seminato di pietrame antico riquadrato, di frammenti d’iscrizioni, di colonne rotte, di capitelli, di bassorilievi d’ottima età, stritolati, per così dire, e deformati dal tempo e dalla barbarie de’ popoli settentrionali, che di là incominciarono a distruggere Narona. Gli abitanti, che vanno a tagliar canne sovente nella palude, assicurano che sott’acqua vi si veggono ancora vestigi della vasta città. Ella dovette stendersi chi sa quanto nella
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Quantunque io sappia, al pari d’ogni altro, che le cose incominciate e abbandonate a mezzo viaggio non meritano pell’ordinario d’essere offerte pubblico, né a qualche dotto uomo in particolare; e sia intimamente convinto che difettose e mutile sono le osservazioni ch ‘io vado scrivendo della Dalmazia, e delle numerose isole sparse nel vicino mare, perché incomode combinazioni m’impedirono il perfezionarle, ardisco ciò non ostante d’indirizzarne una parte anche a Voi, dottissimo e pregiatissimo amico, senza timor d’incontrare la taccia di temerità, o disprezzo del mio dono qualunque siasi. La sperienza dee avervi insegnato quante difficoltà, e remore non prevedibili, sovente incontrino i viaggiatori naturalisti, anche allora che sono scortati dall’autorità del Governo, pelle montagne; e quindi, più che i sedentari letterati, sarete in istato di calcolare quanto tempo m’abbiano rubato, in contrade poco abitate e lontane dalla coltura italiana, i cangiamenti dell’aria, le incostanze del mare, l’ignoranza o la diffidenza degli uomini rozzi. I giorni perduti indispensabilmente occuparono forse più che la metà de’ dieci mesi da me consumati nelle replicate gite fatte in quel regno; ed io mi sarei forse risarcito del danno, se dopo d’aver superato una buona parte delle difficoltà non mi fosse cessata l’occasione di ritornarvi. Ad ogni modo, non essendovi stato sinora chi abbia dato di quel vasto paese notizie dettagliate, credo anche il poco ch’io ne ho osservato possa piacere ai naturalisti.
 
§. 1. Dell’isole Lissa e Pelagosa
 
L’isola che a’ giorni nostri è chiamata Lissa273, fu dagli Antichi conosciuta sotto il poco dissimile nome d’Ίσσα, Issa. I geografi greci e latini ne fanno menzione onoratissima come d’una colonia di Siracusani; e le danno quasi unanimemente il primato fra l’isole del Mare Illirico, quantunque il di lei breve circuito non la faccia essere una delle maggiori. Scimno Chio dovendo parlare dell’isole illiriche incomincia da Lissa, quantunque sia la più lontana dal continente; Strabone fra le notissime l’annovera in principal luogo; ed
273Viš.
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accadono sovente delle rivoluzioni; ella è scabrosa, rovinosa e sconquassata. Avrei avuto voglia di visitare anche l’isole Diomedee, dette di Tremiti da’ nostri geografi, alle quali forse dalla frequenza de’ tremuoti è venuto il nome, perché secondo le mie congetture dovrebbono avere de’ segni vulcanici: ma vado disanimandomi di giorno in giorno. Io vi confesserò, pregiatissimo amico, che dopo le scoperte degli antichi vulcani fatte dalla dotta compagnia del cavaliere Banks280 nell’isole di Scozia, nell’Islanda, nelle terre nuovamente trovate; dopo le osservazioni dell’oculatissimo Vescovo di Londonderry in Irlanda, pel Valese, pell’Alvernia; e dopo i viaggi orittologici pe’ monti degli Svizzeri, della Francia, della Germania, fatti di fresco dal celeberrimo naturalista signor Giovanni Strange, tutte le cose nostre mi sembrano oggetti microscopici. Il solo vantaggio che ci dà la loro picciolezza, e che m’impedisce dal disgustarmene del tutto, si è che possono essere più diligentemente esaminati che gli spettacoli maggiori. La natura è sempre ingegnosa e grande egualmente; né agli occhi dell’osservatore le picciole cristallizzazioni basaltine delle lave volgari, e i piccioli cristalli de’ Colli Euganei deggiono provar meno, che le meravigliose colonne prismatiche di Staffa, o le grotte cristalline degli Svizzeri. Egli è però d’uopo di fare sforzi per tenersi presente questa verità; ed allora particolarmente che cadono sotto gli occhi le descrizioni o i disegni di quelle magnificenze naturali.
 
§. 2. Dell’isola di Lesina
 
Del nome che portava quest’isola nel tempo della sua dipendenza dai Liburni, non resta, per quanto io so, più memoria né presso ai geografi, né presso agli storici antichi. Scilace la nomina Φάρος;, né si ferma a parlare di essa. Scimno (s’egli è così antico come alcuno de’ suoi illustratori lo vorrebbe) è il primo a dirci ch’ella era una colonia di Paria, nel che s’accorda con Strabone, il quale aggiunge
280Naturalista e collezionista inglese (1743-1820), membro della Royal Society, partecipò alla famosa spedizione dell’«Endeavour», con la quale si inaugurarono gli studi moderni di oceanografia. Pur non avendo mai prodotto lavori di grande peso, ebbe grande fama ed esercitò una notevole influenza sugli studiosi dell’epoca.
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de’ Lesignani: ma va d’anno in anno scemando, per la poca economia usata ne’ tagli de’ boschi, e pe’ novali che vi si sono moltiplicati. Le lane, gli animali peconini e il cacio portano qualche picciola somma di denaro annualmente nell’isola: ma il prodotto più considerabile che n’esce, si è quello del salume, che meriterebbe d’essere protetto e sollevato dagli aggravi pubblici, e dalle avanie286 de’ particolari, onde si moltiplicassero i pescatori dell’isola, e trovassero il loro vantaggio nel portare il pesce a Venezia, che dal principio di questo secolo in poi si è fatta ogni anno più gravemente tributaria de’ pescatori del Nord. Se la metà sola del denaro che la nazione spende annualmente negl’insalubri cospettoni287, si difondesse in Dalmazia, tutta quella provincia ne risentirebbe un vantaggio considerabilissimo, del quale tanto maggior conto si dovrebbe fare, quanto maggior utilità recherebbe al pubblico erario, che oggimai non ritrae più dal pesce della Dalmazia diritti degni di riflesso. La pescagione di Lesina era più florida ne’ tempi andati perché da maggior numero di barche veniva esercitata; e fu forse vero che provvedevasi l’Italia tutta, e buona parte del Levante colle sardelle di questa, e della dipendente isola di Lissa, come dice il signor Busching: ma adesso, quantunque il mare sia egualmente popolato di pesci, il commercio di salumi de’ Lesignani è scemato di molto. La rakia è un prodotto non dispregevole di Lesina, come di tutto il litorale e dell’isole illiriche: ma la Dominante anche da questo ritrae poco vantaggio, per esserne l’economia per lo meno egualmente mal sistemata, che quella degli altri generi somministrati da una sì vasta, e fruttifera provincia.
 
§. 3. Dell’isola di Brazza
 
Quest’isola non è mai stata, per quanto si può congetturare, abitata da un popolo riguardevole: Scilace la nomina appena col nome di Κράτια, Crazia; Polibio
286Imposta ingiustificata, nel caso quella che gravava sui generi sotto sale («salumi»), principale risorsa dell’isola.
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La pesca è anch’essa un articolo non indifferente pell’isola, ma non è così considerabile come quella di Lesina e di Lissa; né le acque della Brazza hanno pesci particolarmente abitanti de’ loro fondi.
Si può quasi considerare come una continuazione della Brazza l’isola vicina di Solta, Όλύνθα di Scilace, detta Solentum nella Tavola peutingeriana, quantunque non dipenda dal medesimo Governatore, e sia soggetta a Spalatro così nel civile, come nell’ecclesiastico. Un solo picciolo scoglietto abitato da conigli s’alza nel canal di mare che la separa da essa. Solta gira intorno a ventiquattro miglia; è pochissimo abitata perché quasi tutta coperta di boschi, ne’ quali propagansi molte vipere, come anche in quelli della Brazza. Il suo miele è celebratissimo, e non cede a quello di Spagna o di Sicilia per verun titolo.
 
§. 4. Dell’isola d’Arbe, nel Golfo del Quarnaro
 
Egli è un terribile salto geografico questo passare tutto ad un tratto dall’isola della Brazza a quella d’Arbe290, che n’è ben centoventi miglia lontana. Ma che volete ch’io dica? I viaggiatori di mare ne fanno di più belle. Delle isole minori del mar di Sibenico e di Zara, io ho scritto quel poco che mi venne fatto d’osservarvi; di quelle di Cherso e d’Osero ho parlato forse anche più di quello portasse la discrezione; nell’altre isole del Quarnaro non mi sono fermato che momenti, e quella d’Arbe è la sola di cui possa dir qualche cosa di non inutile.
Quest’isola agli antichi geografi fu poco nota; si trova però nominata da Plinio, dalla Peutingeriana, e dal Porfirogenito; presso Tolommeo, per qualche difetto de’ copisti che avrà messo del disordine nel testo, l’isola è detta ΢καρδώνα, Scarduna, e le sono attribuite due città Arba e Colento. Gli Arbegiani, avendo delle ragioni per credere che due città esistessero nell’isola loro, tengono quasi per infallibile lo storpiato testo di questo geografo, nel quale l’isola loro bella e nobilissima viene