Viaggio in Dalmazia: differenze tra le versioni

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Vitaliano Donati6, dopo parecchi anni di viaggi dalmatici, non ebbe il coraggio di pubblicare se non che un Saggio di storia naturale dell’Adriatico; il grande Hallero7, dopo lunghe peregrinazioni pell’Alpi Svizzere, diè un luminoso esempio di modestia pubblicando un Catalogo incominciato delle piante elvetiche; or che dovrassi pretendere ed aspettare da me che, dinanzi a questi sommi uomini, trovomi d’essere un insetto invisibile?
 
§. 1. Dell’isole d’Ulbo e Selve
 
Varcato quel tratto di mare che dai nostri naviganti e da’ geografi è conosciuto sotto il nome di Quarnaro, le prime isolette dove io ho approdato furono le due contigue d’Ulbo e di Selve8, fra le quali sogliono passare i legni minori diretti da Venezia a Zara. Esse probabilmente sono quelle medesime che da Costantino Porfirogenitoa trovansi annoverate fra le deserte, co’ nomi al di lui solito stroppiati d’Aloep e Selbo9. L’opportunità della situazione in cui trovansi fa che, a’ tempi nostri, sieno abitate e coltivate anche più che non merita lo scarso ed ingrato loro terreno. Gli abitatori vi hanno che fare con un fondo arido e petroso, in cui gli
6 Viaggiatore e naturalista padovano (1717- 1762), dai numerosi viaggi in Istria, Dalmazia, Bosnia, e Albania, compiuti tra il 1739 e il ‘50, trasse una Storia naturale marina dell’Adriatico (Venezia, 1750), ricca di osservazioni sulla morfologia del fondo marmo e sulla flora e fauna dell’Adriatico, che godette di notevole fortuna ed ebbe un seguito di traduzioni in varie lingue. Fu professore di botanica a Torino e vi curò il Museo di Storia Naturale allora in costituzione. Per arricchirne le collezioni intraprese un viaggio in Oriente del quale rimane una relazione. Le sue raccolte naturalistiche andarono in seguito disperse, mentre quelle archeologiche pare abbiano costituito il primo fondo del Museo Egizio di Torino.
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§. 4. Impasti marmorei che la compongono
 
Varie spezie di pietra formano l’ossatura d’Uglian e degl’isolotti vicini, ma si possono ridurre a quattro principali. Il più basso strato è marmoreo, con un’infinità di corpi estranei ceratomorfi, cristallizzati in ispato bianco, calcareo. Questi corpi non sono tutti simili di mole e di configurazione, quantunque siano tutti fistolosi e recurvi. Alcuni esemplari ch’io ne conservo corrispondono alla descrizione dell’helmintholitus nautili orthocerae del signor Linneoa23. Il
22 Tra le fonti maggiori e più frequentemente citate da Fortis è la Naturalis historia di Plinio I sec. d.C.) «opera amplissima ed erudita e varia quanto la natura» secondo la definizione di Plinio il Giovane. Questa monumentale enciclopedia scientifica compendia nei suoi trentasette libri l’intero sapere dell’antichità: sei libri sono dedicati alla cosmografia, geografia e antropologia (II-VII), quattro alla zoologia (VIII-XI), altri alla botanica (XII-XIX), alla medicina (XX-XXXII) e alla mineralogia (XXXIII-XXXVII).
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Non è antica né costante questa malattia de’ fichi pell’isole e lidi della Dalmazia. Se ‘1 verno freddo più dell’usato si faccia sentire in qualche distretto, il paese resta per quell’anno quasi totalmente libero dagl’incomodi insetti che fanno un vero danno alla provincia, dove i fichi formano un importante capo di commercio. L’albero, di cui questa genìa s’è impossessata, porta insipidi e schifosi frutti perché ricoperti anch’essi, come le foglie e i rami, della nuova generazione resavisi di già immobile e sepolta sotto la sua spoglia di lacca.
Quando però gli alberi abbiano sofferto per due o tre anni di seguito questa peste, la corteccia annerita e tutta cariosa si distacca dai rami che infracidiscono; l’aspetto loro è squallido anche nel fine di primavera, e finalmente il fracidume dall’estremità propagandosi sino alle principali diramazioni, il tronco medesimo ne resta offeso e perisceb.
 
§. 5. Della città di Zara
 
Zara, detta Jadera da’ Latini e Diadora ne’ bassi tempi, ch’era una volta la capitale della Liburnia, vale a dire della gran penisola che sporge in mare fra i due fiumi Tedanio e Tizio, ora conosciuti sotto i nomi di Zermagna e di Kerka28, dopo la decadenza dell’Impero romano è divenuta la capitale di una più estesa provincia. Il tempo, che ha fatto perdere sino alle vestigia della maggior parte delle città liburniche, ha sempre rispettato questa. Ella gode attualmente di tutto lo splendore che può convenire a una città suddita, e probabilmente ha guadagnato coi girare de’ secoli in vece di perdere. La società di Zara è tanto colta quanto si può desiderarla in qualunque ragguardevole città d’Italia; né vi
b Nel mese di settembre 1773, vale a dire un anno dopo ch’io avea scritto queste osservazioni, ritornato a Zara non trovai su’ fichi de’ contorni vestigio alcuno dell’insetto. Così Io cercai indarno sull’isole di Cherso, d’Ossero, di Veglia, d’Arbe e di Pago. Communicai quel poco ch’io ne ho osservato al celeberrimo naturalista sig. Carlo Bonnet, e questo illustre amico mi anima a proseguirne l’esame, come di cosa interessantissima pell’insettologia non meno che per le arti.
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pregevole lapida, il secondo fece fabbricare, o ristorare, un acquedotto che vi portava l’acqua di lontano, il che rilevasi da un frammento d’iscrizione tuttora esistente nella città. Io sono stato accolto a Zara con generosa ospitalità nella bella abitazione del signor dottor Antonio Danieli, dotto professore di medicina. Ella è adornata da vari pezzi di scolture antiche, fra’ quali distinguonsi quattro statue colossali di marmo salino, che a proprie esorbitanti spese questo zelante amatore dell’antichità fece trarre dalle rovine della vicina città di Nona34. Parecchie lapide colà portate da vari luoghi della Dalmazia vi si veggono, fra le quali la riguardevole iscrizione riferita anche dallo Spon35 com’esistente nella casa de’ signori Tommasoni, che dal 1675 in poi era stata nascosa da un intonaco di calce, e dal dottor Danieli fu scoperta e ridonata alla luce dietro alle traccie lasciatene dal viaggiatore francesea.
 
V’hanno, fra le altre molte, tre tavole greche trasportate dall’isola di Lissa36, che sembrano appartenere a qualche psefisma37, ed essere frammenti delle sottoscrizioni de’ senatori.
 
Presso questo mio ottimo amico ed ospite trovasi anche un’abbondante collezione di monete antiche romane, e un buon numero di greche egregiamente conservate.
 
§. 6. Polledra ermafrodito
 
Io ho veduto a Zara una polledra ermafrodito, cioè a dire singolarizzata da quella viziatura mostruosa delle parti sessuali, assai nota agli anatomici, che
34 Denominazione italiana della città di Nin.
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volgarmente viene chiamata ermafroditismo. S’ella fosse nata a Parigi, i dotti l’avrebbero fatta mettere fra gli stalloni come maschio, facendo una bella sentenza simile a quella che obbligò la Drouart a vestire da uomo, perché predominava in essa il sesso virileb. Un Morlacco, in casa di cui era nata quella bestia somigliante alla Drouart negli organi della generazione, la vendette a bassissimo prezzo, quantunque fosse di bella statura e ben messa, per allontanarsi il mal augurio che la nazione superstiziosa trae dalla nascita e sopravvivenza de’ mostri.
 
§. 7. Del livello del mare
 
Il mare guadagna continuamente sopra Zara e, se non lo provassero abbastanza le alte maree che allagano que’ luoghi, a’ quali l’acqua non dovea giungere quando furono fabbricati, lo provano gli antichi pavimenti della piazza che sono molto al disotto dell’attuale livello medio dell’acque, e i residui di fabbriche nobili scopertivi, non ha molti anni, nel purgare dalle immondizie quella parte del porto che si chiama il mandracchio38. La quantità de’ fatti, che incontransi lungo le coste dell’Adriatico, atti a provare l’alzamento progressivo dell’acque, non permette che si metta più in dubbio fra noi. Il mare guadagna su i litorali costantemente, anche ad onta de’ fiumi, che prolungano le terre deponendo belletta ed arena presso alle loro foci. Sia paludoso, arenoso, o montuoso e marmoreo il litorale del nostro golfo, vi si ritrovano sommerse le rovine delle antiche fabbriche; e di giorno in giorno vi si moltiplicano le prove dell’inalzamento di livello, o pella ritrocessione delle acque fluviatili impedite dall’aver l’antico libero corso, o pella corrosione e smantellamento de’ massi e de’ monti. Non
b Michel-Anna Drouart, che si fé vedere per prezzo ai curiosi e a’ professori nel 1769 in Venezia, e che fu particolarmente esaminata dal celebre sig. prof. Caldani in Padova e riconosciuta per femmina mostruosa e schifosa, fu dal rinomato sig. Morand, chirurgo del Re di Francia e membro dell’Accademia delle Scienze dichiarata ermafrodito, in cui predominava la virilità. La Cancellaria Arcivescovile la obbligò con particolare decreto a vestire da uomo. Può ciascuno leggere la Memoria del sig. Morand fra quelle dell’Accademia, e restarne scandalezzato.
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sembra ammissibile da chi abbia moltiplicato le osservazioni su questo proposito né l’opinione già celebre del Browallio39, né quella d’un rinomatissimo vivente matematico, il quale ha creduto che dalla subsidenza delle terre sia da ripetersi l’apparente alzamento dell’acque. I Veneziani sono in istato di giudicare della ragionevolezza di questo sistema, esaminando i cangiamenti della loro città.
 
§. 8. Della città e campagna di Nona
 
Le rovine di Nona, che dovrebbono somministrare abbondante pascolo alla curiosità degli antiquari, sono così sotterrate dalle replicate devastazioni alle quali quell’infelice città fu soggetta, che di raro ne scappano fuori vestigi. Io mi vi portai, colla speranza di veder qualche cosa degna d’esser notata: ma mi vi sono trovato deluso. Non solo niente vi resta che indichi grandezza di tempi romani, ma nemmeno alcun residuo di barbara magnificenza che ricordi que’ secoli ne’ quali vi risiederono i Re degli Slavi Croati. Ella giace su d’un’isoletta nel mezzo d’un porto, che fu ne’ tempi andati capace di ricevere grossi legni e che adesso si è cangiato in fetida palude, perché vi mette foce una fiumaretta fangosa, dopo di aver corso pel tratto di sei buone miglia attraverso le pingui campagne abbandonate di quel distretto. Gli antichi abitatori aveano deviata quest’acqua, e dell’argine da essi fabbricato per farla scaricar nella valle di Drasnich al mare veggonsi tuttora gli avanzi. Ad onta però della spopolazione de’ campi e dello squallore del sito, non si perdettero di coraggio i nuovi abitanti di Nona; ed animati da privilegi accordati loro dalla clemenza del Serenissimo Governo si studiano di farvi ne’ migliori modi rifiorire la popolazione e l’agricoltura. Lo scolo dell’acque renderebbe abitabile e fruttuoso quel pingue territorio. La palude salmastra che cinge le mura di Nona è attissima a somministrare quantità
39 Il teologo e naturalista svedese Jean Browall 1707-1755) è qui citato per il Traité de la diminution des eaux (1755) in cui si oppone alla teoria di Celsius sul progressivo abbassamento del livello marino.
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ond’è coperto quel tratto di paese per tredici miglia di lunghezza. Sino alla villa di Cosmo trovansi campi pietrosi, ma sufficienti per le viti e pel grano: attualmente sono messi a prato, e pessimamente tenuti. Un miglio di là da Cosmo trovasi un bosco di sabina fruticosa, detta in illirico gluhi smrich, ginepro sordo, né vi si trova verun’altra spezie d’arbusto. Vengono, dopo un miglio di sabine, i lentischi che occupano breve tratto; indi fillirèe, eriche, arbuti ed elci minori, che vivono in buona società tutti insieme; succedono a questi i ginepri; e finalmente presso Nona regna libero e solo il paliuro, cui chiamano draçaa. Non mi sono avveduto d’alcuna differenza sensibile nelle terre occupate da queste varie famiglie di arbusti. L’ilex cocci glandifera de’ botanici è frequentissima lungo il litorale e pell’isole della Dalmazia; ma, per quanta diligenza io abbia usato, non mi venne fatto di trovarvi la grana del kermes. Sarebbe lodevole tentativo il procurare di spargervi la razza di questo insetto prezioso, facendola venire dalle isole del Levante, dove alligna naturalmente. V’è ogni ragione di sperare che in breve tempo si avrebbe un nuovo prodotto in Dalmazia.
 
§. 9. Della campagna di Zara
 
All’ampia provincia che nelle nostre carte porta il nome di Contado di Zara, è restato il nome antico di Kotarb non la chiamano mai altrimenti gli abitatori della
a Dal greco δράπτω [sic], pungo. Molte altre voci botaniche della lingua illirica hanno stretta parentela col greco, come a cagion d’esempio, trava, erba, δράβη; dervo, legno, δρΰς.
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campagna. Questo tratto di paese ha fama di poco salubre in tempo di state: io però ne ho scorto una parte impunemente, e più estese osservazioni vi avrei fatto, se le fatiche e il caldo non avessero prodotto una lunga serie d’ostinate febbri al mio disegnatore. Senza di questo contrattempo io avrei portato in Italia un molto maggior numero di notizie, di disegni e di curiosità d’ogni genere. La linea ch’io ho seguita viaggiando pel Contado di Zara, tocca le ville di Santi Filippo e Giacomo43, Biograd (detto anche Zaravecchia) e Pacostiane al mare; la Vrana sul lago di questo nome, Ceragne, Pristegh, Bencovaz, Perussich, Podgraje, Coslovaz, Stancovzi, Ostrovizza, Bribir, Morpolazza, Bagnvaz e Radassinovich fra terra.
 
§. 10. Acquedotto di Traiano
 
A’ Santi Filippo e Giacomo ho veduto i vestigi dell’acquedotto fabbricato, o ristorato da Traiano, e gli ho anche seguiti verso la loro meta non meno che verso il principio per lungo tratto. Sono quindi in caso di positivamente asserire che gli storici dalmatini, e segnatamente Simone Gliubavaz, di cui ho sotto gli occhi le schede manoscritte, e Giovanni Lucio nella sua celebre opera del Regno della Dalmazia e Croazia44 hanno preso un grosso granchio su questo proposito, lasciandoci scritto che Traiano condusse l’acqua dal fiume Tizio, o Kerka, persino a Zara, togliendola dalla cascata di Scardona, detta volgarmente Skradincki-slapc,
Al nascer dell’Aurora. A te ribelle Si fe la Lika, la Corbavia, e tutto Il pian Kotar fin di Cettina all’acque...
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presso di cui alcune rovine tuttora d’ignobili acquedotti si vedono. Eglino meritano qualche compatimento, se trasportati dalla voglia di far onore al proprio paese hanno dato a Traiano un merito trenta volte maggiore di quello ch’egli ebbe veramente nella costruzione, o riattazione dell’acquedotto; perché non ben conoscevano la contrada che giace fra Skradincki-slap e le marine di Zara, della quale erano, mentr’essi scrivevano, posseditori i Turchi. I residui dell’acquedotto veggonsi comparire poco lontano dalle mura di Zara lungo il mare verso la villa di S. Cassano; indi pel bosco di Tustiza sino alle Torrette, dove servono di sentiero ai pedoni e a’ cavalli; poi presso a’ Santi Filippo e Giacomo, e più oltre a Zaravecchia, nel qual luogo se ne perdono le traccie, che però accennano d’essere state dirette al vicino rivo di Kakma, distante da Skradincki-slap a dritta linea trenta buone miglia. I monti che sorgono fra quel sito e Zaravecchia, sono assai più alti che la cascata del fiume; e quindi sarebbe stato impossibile il condurvi acqua. Eglino sono poi anche così tramezzati da valloni che dovrebbono apparirvi frequenti residui d’arcate, se realmente l’acque del Tizio avessero potuto far quella strada. Ora niun vestigio d’acquedotti trovasi per trenta miglia di paese, che giustifichi l’inconsiderata asserzione del Lucio, del Gliubavaz e la volgare opinione. L’iscrizione ch’io ho accennata più addietro non dice, né lascia sospettare, d’onde avessero origine le acque condotte da Traiano.
 
§. 11. Biograd o Alba maritima
 
Biograd, adesso povera villa sul mare, conosciuta da noi e segnata nelle carte col nome di Zaravecchia, datole ne’ tempi d’ignoranza, fu altre volte città ragguardevole. Le distanze, la situazione e qualche lapida che vi è stata trovata, sembrano indicare che in quel sito medesimo fosse Blandona, ma non già l’antica
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s’aggruppano per andar in frega47, è singolare. S’avanzano due uomini, diguazzando pel lago ne’ luoghi di poco fondo, e con una grossa corda, cui tengono ciascuno dall’una delle due estremità, battono su le masse delle anguille: una parte ne uccidono, l’altra mettono in fuga; raccolgono le morte e le si mangiano.
 
§. 12. Castello della Vrana
 
La Vrana, che dà nome allago, ed è fabbricata ad una delle di lui estremità che guarda tramontana, fu importante luogo ne’ tempi andati ed appartenne a’ Templari. Vi risiedeva un Gran Priore, che crebbe talvolta in potenza a segno d’essere personaggio preponderante negli affari del Regno. Uno di questi gran priori, Gianco di Palisna, del 1385, spinse la sacrilega temerità sino al far prigioniera la propria sovrana Elisabetta, vedova di Lodovico re d’Ungheria, e Maria di lei figliuola; né gli bastò questo, che la prima fece affogare in un fiume. Filippo il Bello, sul principio dello stesso secolo, non poté far confessare a’ Templari alcun delitto, e pur li distrusse coi ferro e col fuoco. I successori de’ Tempiari d’Ungheria e di Dalmazia, convinti d’un sì esecrabile misfatto, non patirono alcun male: tutta la vendetta che Sigismondo, marito della regina Maria, ne volle trarre, fu mitissima e circoscritta alla persona del Gran Priore.
Il castello, detto per eccellenza Brana o Vranaa nel tempo della sua fondazione, è adesso un orrido ammasso di rovine, ridotto a questo stato dall’artiglieria veneziana. Alcuni scrittori credettero che Blandona fosse colà anticamente; ma niun vestigio di romana antichità si vede in quelle mura e torri cadenti e disabitate. Io mi v’aggirai cercando qualche pietra scritta o lavorata, e n’uscii
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finalmente dopo d’aver sudato invano, per non trovarne qualcuna che mi cadesse sul capo.
E ben degno d’osservazione l’han, che sta vicino a queste macerie, quantunque anch’egli sia adesso rovinoso ed abbandonato alla barbarie de’ Morlacchi abitatori delle campagne vicine, che vanno a prendervi materiali da impiegare nelle goffe loro fabbriche. Le fondazioni degli han, o caravanserai48, fanno molto onore alla nazione turca, presso di cui sono frequentissimi. Questo, che vedesi vicino alla Vrana, è stato fabbricato senza risparmio. La sua facciata è di 150 piedi; la lunghezza di 175. E tutto fabbricato di marmo ben appianato e connesso, i di cui pezzi sono stati colà trasportati dalle rovine di qualche antica fabbrica romana, per quanto ben esaminandoli si può rilevare. Il corpo dell’han è diviso in due gran cortili circondati da ben adorne camere e ben intese gallerie. L’architettura delle porte vi è di cattivo gusto turchesco traente al gotico. Una parte delle mura e dei pavimenti di questo luogo fu messa sozzopra dalla sciocca avidità de’ cercatori di tesori.
 
Il nome di Vrana è passato adesso a una meschina villa, forse un miglio lontana dalle rovine del castello, sul luogo medesimo dove nel secolo passato avea i suoi giardini un riguardevole turco detto Halì-begh; la squallida abitazione del curato di quel paese porta ancora il nome degli Orti d’Halì-begh. In un manoscritto del Gliubavaz ch’io ho presso di me, e che appartiene al dotto e cortese signor conte Gregorio Stratico di Zara, trovasi una descrizione de’ giuochi d’acque di que’ giardini, dell’allora ben coltivata campagna vicina. Che cangiamento! I giardini d’Halì-begh sono ridotti a un monte di macerie; le acque, che gl’innaffiavano condotte dall’arte, scorrono adesso per alvei ineguali e scorretti, e unisconsi a quelle di molti rivoli, che cent’anni sono erano maestrevolmente incassati, per impaludare nel lago.
 
48 Caravanserragli, tipici ricoveri orientali per le carovane.
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§. 13. Del lago della Vrana, suo emissario, e pescagione
 
È celebre il lago di Vrana in Dalmazia, e noto anche a Venezia piucché gli altri di quelle contrade, non meno pella sua considerabile estensione di dodici miglia che pel progetto immaginato da privata persona, e messo anche in parte ad esecuzione, di scavarvi un emissario, per cui se ne scaricassero le acque al mare. Il Zendrini49, di chiara memoria, fu consultato sulla possibilità di sì fatto scolo: ma non fu chiamato sopra luogo. Egli si fidò delle livellazioni fattevi all’ingrosso da non so quale ingegnere, e non vide altra difficoltà che quella della spesa, trattandosi di tagliare a considerabile profondità un ismo di vivo marmo pella estensione di mezzo miglio. La spesa non ispaventò il progettante che, favorito dalla clemenza del Senato Eccellentissimo, intraprese e sbozzò per così dire il suo lavoro, scavando coll’aiuto della polvere da cannone un canale, che giace abbandonato e imperfetto da molti anni, e restando così dovrà in breve tempo pella rovina delle sue sponde otturarsi. Il fine dell’emissario era di metter a secco e in istato coltivabile 1400 campi50occupati dall’acque, supposte stagnanti e capaci di sfogo.
Io fui a vedere questo sconsigliato lavoro, per la prima volta in compagnia di mylord Hervey51, vescovo di Derry, e sul fatto conobbimo che ogni spesa e fatica vi era stata gettata, e il progetto fisicamente impossibile ed illusorio. Basta esaminare il lido del mare per chiarirsi di questa verità. Le acque del lago, facendosi luogo pelle vie sotterranee delle divisioni degli strati marmorei, portansi da per se sole al mare nel tempo della bassa marea; elleno sono impedite dal far questo viaggio quando l’acqua crescé o è a un livello medio. Da questa sola
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Gli abitanti di questo paese, e in generale tutti i Morlacchi, hanno un’avversione mortale per le rane. Ne’ tempi di carestia (che sono pur troppo frequenti in Dalmazia, sì per la male intesa agricoltura, che per grandissimi difetti di costituzione) niun vero Morlacco mangerebbe rane a costo di lasciarsi morire di fame. Il curato di Vrana, interrogato del perché in vece di cattivo cacio non mangiava delle rane, s’accese quasi di sdegno. Ei ci disse che un briccone Morlacco ne pigliava per portarle al mercato di Zara, ma che non era ancora giunto a mangiarne; ed aggiunse che costui era l’obbrobrio della villa.
 
§. 14. Petrificazioni di Ceragne, Bencovaz e Podluk
 
Ne’ boschi poco lontani da Ceragne ho trovato in gran quantità nuclei di turbiniti presi nel marmo comune dalmatino e, poco lunge da questi, la medesima spezie d’ortocerati che a Uglian. Così trovansi pietre lenticolari sotto la rocca di Bencovaz e a un casale poco lontano detto Podluk, dove sono tanto perfettamente ben conservate, come quelle di Monteviale nel Vicentino e di S. Giovanni Ilarione, che sono le più belle ch’io conosca. Fra la rocca di Bencovaz e ‘l bosco di Cucagl stendesi un ramo di colline composte di argilla marina piombata, e in alcun luogo di terra marnosa bianchissima. Nelle aperture scavatevi dalle acque de’ torrenti, io ho raccolto de’ corpi marini erranti, alcuni de’ quali sono nuclei spatosi di turbiniti petrefatti lucidissimi di color giallo dorato. In generale la pietra, di cui sono formate le colline di questi contorni, rassomiglia di molto alle pietre dolci de’ nostri colli italiani. Le vaste campagne e le valli amenissime che formano i distretti di queste ville, sono poco popolate e peggio coltivate, in qualche luogo la scarsezza della popolazione fa torto alla purità dell’aria, portando per necessaria conseguenza l’abbandono totale de’ rivoli montani a se stessi, e l’impaludamento delle acque.
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Non è già insalubre l’aria di Perussich, castello eretto dalla nobilissima famiglia de’ conti di Possedaria, per servire di ricovero ne’ tempi di diffidenza ai Morlacchi delle vicine campagne. Egli è situato su d’una collina petrosa, e domina un gran tratto di bel paese dall’alto. Le poche petrificazioni che vi si discernono somigliano alle sopraccennate.
 
§. 15. Rovine dAsseria, ora detta Podgraje
 
Un breve miglio lontano da questo castello trovasi il povero casale di Podgrajea. Egli trae il nome dalla città che dominava negli andati secoli il luogo dalle miserabili case presentemente occupato. La Tavola itineraria di Peutingero52 mette in questo sito Aseria, ch’è l’Assisia di Tolommeo53, e l’Assesia, o Asseria di Plinio. Quest’ultimo, dopo d’aver fatto il novero delle città liburniche obbligate a portarsi al Convento, o Dieta Scardonitana, aggiunge al catalogo i privilegiati Asseriati, immunesque Asseriatesb. Questo popolo che faceasi da sé i propri magistrati, e colle proprie leggi municipali si governava, dovett’essere ricco e potente sopra gli altri vicini. S’ingannarono di molto quegli scrittori delle cose illiriche, i quali credettero sorto dalle rovine d’Asseria Zemonico, ch’è una rocca del Contado di Zara sedici miglia lontana da Podgraje. Il più volte lodato
a Pod-grada, sotto la città.
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Coslovaz è un povero luogo, come gli altri casali di queste contrade; ma i boschi del suo distretto abbondano di frassini che danno manna in abbondanza, quando siano opportunamente incisi. I Morlacchi non sanno farvi incisioni e non conoscevano questo prodotto. Due anni sono, andò a far colà delle sperienze persona che ne avea ottenuta la permissione dal Governo. Queste non corrisposero tosto alle speranze concepite, perché l’aria erasi rinfrescata alcun poco. Lo sperimentatore perdette la pazienza e abbandonò i frassini tagliati. Al ritornare del caldo, eglino diedero esorbitante quantità di manna, cui avidamente presero a mangiare i Morlacchi, trovandola dolce. Parecchi di essi furono quasi ridotti a morte dall’uscite violente: la manna restò dopo pochi giorni abbandonata ai porci e ai polli d’India55.
 
§. 17. D’Ostrovizza
 
Ostrovizza, che alcuni vogliono corrisponda ad Arauzona, altri allo Stlupi degli Antichi, e che probabilmente non ha punto che fare coll’una né coll’altro, è stato altre volte luogo di qualche riguardo, e dalla Serenissima Repubblica comperato del 1410 con qualche altro pezzo di terreno, per cinque mila ducati. La sua rocca, che sorgeva su d’un sasso tagliato a piombo d’intorno, dovea essere creduta a ragione inespugnabile, prima che l’uso dell’artiglieria si fosse propagato. Fu presa da Solimano del 124 ma poi ripassò sotto il felice dominio veneto. Adesso non ha più verun vestigio di fortificazione, ed è un masso ignudo e isolato.
Io ho fatto disegnare una picciola prospettiva de’ colli d’Ostrovizza (Tav. III), perché le loro sommità mostrano assai manifestamente la duplicità delle divisioni degli strati, e ponno disingannare coloro che fossero troppo corrivi a credere nate con essi, per legge di stratificazione, le apparenze di separazioni perpendicolari. Le linee divisorie che tagliano quasi sempre ad angoli retti le orizzontali, sono
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vulcanetto avea molti caratteri della solfatara di Pozzuoli. Kempfero60 ha notato ne’ suoi viaggi del Giappone un vulcano nato dall’accensione casuale d’una minera di carbon fossile.
Un boschetto, non molto lontano da questo sito, produce nelle stagioni d’autunno e di primavera una enorme spezie di fungo, che rassomiglia perfettamente ai carrarese sopra di cui l’ottimo amico nostro signor Marsili, professore di botanica nell’Università di Padova61, ci ha dato un aureo opuscoloa. Le vipere amano quel sito, detto da’ soldati il Picchetto, e vi moltiplicano più che in qualunque altro luogo vicino. I frassini danno anche in que’ contorni abbondante manna, e di ottima qualità: ma i Morlacchi nemmeno colà hanno imparato la semplice operazione che si richiede per farla stillare dai rami.
 
§. 18. Del rivo Bribirschiza e di Morpolazza
 
Per esaminare davvicino lungo il loro corso le acque che impaludano sotto Ostrovizza, io andai a traverso delle sue campagne sino alle fonti della Bribirschiza, considerabile rivo che scaturisce dalle radici dell’etto colle, su di cui veggonsi ancora le rovine di Bribir, antica residenza d’una possente famiglia di Bani62 della Dalmazia che fé gran figura nel XIV secolo. Esaminando il corso della Bribirschiza, trovai molte petrificazioni di grandi ostraciti erranti e guaste dalla fluitazione, e più presso alla fonte parecchie spezie di turbiniti e bivalvi semicalcinati, conservatissimi e lucenti nell’argilla petrosa azzurra. Niuna delle
60 Engelbert Kaempfer, medico e naturalista tedesco (1651-1716), viaggiò in Europa e soprattutto in Oriente, fu in Giappone dal 1690 e a questo paese dedicò alcune sue opere: nelle Amoenitates exoticae (1712) sono descritte, tra l’altro, tutte le piante giapponesi. Postumo uscì The History of Japan and Siam, tradotto poi in francese col titolo di Histoire naturelle, civile et écclésiastique de l’Empire du Japon (1729).
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che personalmente delle sue inclinazioni e costumi ho veduto; e tanto più volentieri secondo questa mia disposizione, quanto meno sospetto d’interessatezza posso incontrare, non dovendo io probabilmente mai più ritornare ne’ luoghi della Morlacchia, dove sono già stato. I viaggiatori si studiano pell’ordinario di magnificare i pericoli a’ quali sono andati incontro, e i disagi sofferti ne’ rimoti paesi. Io mi trovo ben lontano da sì fatte ciarlatanerie e Voi rileverete, Nobilissimo Signore, dal dettaglio che sono per darvi delle maniere e usanze de’ Morlacchi, quanto sicuramente e con quanto leggieri disagi io abbia viaggiato pelle loro contrade, e quanto ragionevole fiducia mi animerebbe a proseguirvi le mie ricerche, se lo mi permettessero le circostanze.
 
§. 1. Origine de’ Morlacchi
 
L’origine de’ Morlacchi, che trovansi attualmente propagati pelle amene valli del Kotar, lungo i fiumi Karka, Cettina, Narenta e fra le montagne della Dalmazia mediterraneaa, è involta nelle tenebre de’ secoli barbari, insieme con quella delle tante altre nazioni somiglianti ad essi ne’ costumi e nel linguaggio sì fattamente, che possono essere prese per una sola, vastamente distesa dal nostro mare sino all’Oceano Glaciale. L’emigrazioni delle varie tribù de’ popoli slavi, che sotto i nomi di Sciti, di Geti, di Goti, d’Unni, di Slavini, di Croati, d’Avari, di Vandali inondarono le provincie romane, e particolarmente l’Illirico ne’ tempi della declinazione dell’Impero, deggiono avere stranamente intralciate le genealogie delle nazioni che l’abitavano, portatevisi forse nel modo medesimo in secoli più rimoti. I residui degli Ardiei, degli Autariati e degli altri popoli illiri anticamente stabiliti in Dalmazia, i quali mal avranno potuto accomodarsi a dipendere dai Romani, agevolmente sarannosi affratella- ti cogl’invasori stranieri di poco
a Il paese abitato da’ Morlacchi s’estende molto di più, così verso la Grecia, come verso l’Allemagna e l’Ungheria; io circoscrivo la mia relazione al poco che ho visitato.
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dissimile dialetto e costumib. Non sarebbe forse mal fondata congettura il sospettare che anche dall’ultima inondazione de’ Tartari, che dierono la caccia sul principio del XIII secolo a Bela iv re d’Ungheria, rifugiatosi in quell’occasione nell’isole della Dalmazia, sieno restate molte famiglie a popolare le valli deserte, che giacevano fra le montagne, e v’abbiano lasciato que’ germi calmucchi, che vi si vanno tuttora sviluppando, e spezialmente nel Contado di Zara. Non è da far gran conto dell’opinione del geografo Magini66, che dall’Epiro fa derivare i Morlacchi ed Uscochi, il dialetto de’ quali somiglia molto più al rasciano e al bulgaro che all’albanese, quando anche in parte i Morlacchi della Dalmazia veneta fossero venuti negli ultimi tempi da quelle contrade, resterebbe sempre da cercare d’onde colà si fossero recati. Egli fa anche una nazione separata degli Haiduci, che non hanno mai formato un popoio, come dal significato della voce medesima si rilevac.
 
§. 2. Etimologia di questo nome
 
I Morlacchi generalmente chiamansi Vlassi nell’idioma loro, nome nazionale di cui, per quanto io ho potuto finora sapere, non si trova vestigio alcuno ne’ documenti della Dalmazia anteriori al XIII secolo, e che significa autorevoli o
b Non è da mettere in dubbio l’esistenza della lingua slavonica nell’illirico sin da’ tempi della Repubblica Romana. I nomi delle città, de’ fiumi, de’ monti, delle persone, de’ popoli di quelle contrade conservatici dagli scrittori greci e latini sono manifestamente slavonici. Promona, Alvona, Senia, Jadera, Rataneum. Silupi. Uscana, Bilazora, Zagora, Tristoms, Ciabrus, Ochra, Carpatius, Pleuratus, Agron, Teuca, Dardani, Triballi, Grabaei, Pirustae e tante altre voci, che s’incontrano presso gli storici e i geografi antichi, la provano bastevolmente. Vi si potrebbono aggiungere in molto maggior numero le voci di radice slavonica, che si leggono nelle lapide scolpite pel paese illirico sotto i primi imperatori.
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vera, zòccolo, paltàn, smalzo, sonoci venute dall’illirico, donde certamente non sembra sinora provato che siamo venuti noi70.
 
§. 3. Origine diversa de’ Morlacchi dagli abitanti del litorale, dall’isole e anche fra loro
 
La poco buon’amicizia che hanno gli abitatori delle città maritime, veri discendenti delle colonie romane, pe’ Morlacchi, e il profondo disprezzo che ad essi e agl’isolani vicini rendono questi per contraccambio, sono anche forse indizi d’antica ruggine fra le due razze. Il Morlacco piegasi dinanzi al gentiluomo delle città, e all’avvocato di cui ha bisogno, ma non Io ama; egli confonde poi nella classe dei bòdoli tutto il resto della gente con cui non ha interessi, e a questo nome di bodoloaattacca un’idea di strapazzo. E da ricordar a questo proposito il soldato morlacco, di cui rimane tuttora la memoria nello spedale di Padova, ove morì. Il religioso destinato a confortano in quegli ultimi momenti, non sapendo il valore della parola, incominciò la sua esortazione «Coraggio, signor Bodolo!». «Frate, interruppe il moribondo, non mi dir Bodolo, o perdinci mi danno!». La differenza grandissima del dialetto, del vestire, dell’indole, delle usanze, sembra provare chiaramente, che gli abitanti delle contrade maritime della Dalmazia non hanno la medesima origine che i transalpini, o che la deggiono riconoscere da tempi assai differenti, e da circostanze alteranti persino il carattere nazionale. Sono anche diverse fra loro le varie popolazioni della Morlacchia, in conseguenza delle diverse contrade d’onde vennero, e delle moltiplici mescolanze cui dovettero
70 Il corrispondente italiano delle voci è, secondo il Boerio: bagarella, cosa da nulla per «budela», salvadanaio per «musina», ghiera, cerchio o anello per «vera», calzatura in legno per «zoccolo», melma per «paltan», burro per «smalzo», uomo flemmatico e piacevolo per «polegano», «Bore», non registrata nel Boerio, è presente nel Vocabolario friulano di G.A. Pirona, con il significato di brace accesa, o anche di rocchio di faggio da ardere.
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b «Al fiume Narone sono vicini gli Ardiei, Daorizi, e Plerei... Le meno rimote età chiamarono gli Ardiei Varali. I Romani li cacciarono fra terra allontanandoli dal mare, perché mettevano ogni cosa a ferro e a fuoco rubando; e li costrinsero a coltivare la terra. Il paese loro è per verità aspro, sterile e degno d’abitarori selvaggi; quindi n’avvenne che la nazione s’è quasi spenta». Strab., lib. VII.
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§. 4. Degli Haiduci
 
Il pericolo maggiore che potrebbe temervisi, viene dalla quantità di Haiduci che suoi ritirarsi pelle grotte e pe’ boschi dell’aspre e rovinose montagne di quel confine. Non bisogna però farsene paura oltremodo. Il ripiego, per viaggiare con sicurezza ne’ luoghi alpestri, si è appunto quello di prendere per iscorta una coppia di que’ galantuomini, che non sono capaci d’un tradimento. Nè dee far ribrezzo il sapere che sono banditi: imperocchè mettendo le mani nelle cause della loro misera situazione, si trovano pell’ordinario casi più atti a destar compassione che diffidenza. Guai agli abitanti delle città maritime della Dalmazia, se i pur troppo esorbitantemente moltiplicati Haiduci avessero un fondo di carattere tristo! Eglino menano una vita da lupi errando fra precipizi dirupati e inaccessibili, aggrappandosi di sasso in sasso per iscoprir da lunge le insidie, agitati da un continuo sospetto, esposti all’intemperie delle stagioni, privi sovente del necessario alimento, costretti ad arrischiar la vita per procurarselo, e languenti nelle più orrende e disabitate sinuosità delle caverne. Non sarebbe da meravigliarsi, se frequentemente si udissero tratti d’atrocità da questi uomini insalvatichiti, e irritati dal sentimento sempre presente d’una sì miserabile situazione; è ben da stupire che, lungi dall’intraprendere cos’alcuna contro le persone alle quali credono dovere le proprie calamità, essi rispettino pell’ordinario la tranquillità de’ luoghi abitati, e sieno scorte fedeli de’ viandanti. Le loro rapine hanno per oggetto gli animali bovini e le pecore, cui traggono nelle loro spelonche, onde avervi di che nudrirsi e far provvisione di cuoio per le scarpe. Sembra un tratto di barbara indiscretezza l’uccidere il bue d’un poveruomo, per servirsi solamente d’una picciola porzione della carne e della pelle; ed io ho sentito più volte chi ne faceva amare e giuste doglianze contro gli Haiduci. Non mi passerebbe mai pel capo di voler far loro l’apologia su di questo: ma non si dee però lasciar di riflettere che le opanche, o scarpe, sono per quegl’infelici un affare
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di prima necessità, da che trovansi condannati a trarre una vita errante per luoghi asprissimi, ignudi d’erba e di terra, coperti di punte acutissime di duri macigni, rese vieppiù scabrose e taglienti pell’ingiune dell’aria e de’ secoli. Accade talvolta che la fame cacci delle partite di Haiduci alle capanne de’ pastori, dove chiedano violentemente da mangiare, e se ne tolgano a forza, se peravventura venisse loro negato. In sì fatti casi, chi fa resistenza ha il torto per ogni titolo; il coraggio di questi uomini risoluti è proporzionato al bisogno e alla vita selvaggia cui menano. Quattro Haiduci non temono d’assalire una caravana di quindici e venti Turchi; e la sogliono spogliare e metter in fuga. Se accade talvolta che un Haiduco sia preso da’ Panduri72, questi non lo legano già, come i birri usano di fare fra noi; ma sciogliendogli la funicella de’ calzoni glieli fanno cadere su le calcagna, onde non possa fuggire, e dia del mostaccio in terra se tentasse di farlo, E cosa molto umana l’aver trovato un ripiego per assicurarsi d’un uomo, senza legano all’uso delle bestie più vili. La maggior parte degli Haiduci si credono uomini di garbo, quando si sono macchiati di sangue turchesco. Uno spirito di religione mal intesa, combinato colla naturale e coll’acquisita ferocia, porta costoro violentemente a molestare i confinanti, senza verun riguardo alle conseguenze. In questo hanno colpa sovente i loro ecclesiastici, pieni d’impeto nazionale e di pregiudizi, che mantengono, e non di rado riscaldano il fermento dell’odio contro i Turchi, come contro a figliuoli del demonio, invece d’invitar i buoni cristiani a pregar la clemenza divina pella loro conversione.
 
§. 5. Virtù morali e domestiche dei Morlacchi
 
Il Morlacco, che abita lontano dalle sponde del mare e da’ luoghi presidiati, è generalmente parlando un uomo morale assai diverso da noi. La sincerità, fiducia ed onestà di queste buone genti, sì nelle azioni giornaliere della vita come ne’
72 Truppe leggere, non appartenenti a milizie regolari, al servizio dell’Austria dalla metà del ‘600 alla prima metà del ‘700, destinate alla difesa delle frontiere con la Turchia.
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l’arrivo di parenti o d’amici, e qualunque altro motivo d’allegria fa che si beva e si mangi intemperantemente quanto v’è in casa. E poi economo, e castiga se stesso il Morlacco nell’usar delle cose destinate a ripararsi dall’intemperie delle stagioni; di modo che se ha il berretto nuovo, e la pioggia lo sorprenda, egli se lo trae, amando piuttosto di ricevere sul capo scoperto e nudo la procella, che di guastare troppo presto il berretto. Così si trae le scarpe, se incontra fango, quando le non sieno più che sdruscite. La puntualità del Morlacco è pell’ordinario esattissima, quando l’impossibilità non vi si opponga insuperabilmente. Se accade che non possa restituire al prescritto tempo il denaro preso ad imprestito, egli viene con qualche presentuccio dal suo creditore a chiedere un termine più lungo. Avviene benespesso che di termine in termine, e di regalo in regalo, egli paghi senza riflettervi il doppio di ciò che dovrebbe.
 
§. 6. Amicizie e inimicizie
 
L’amicizia, così soggetta anche per minimi motivi a cangiamento fra noi, è costantissima fra i Morlacchi. Eglino ne hanno fatto quasi un punto di religione, e questo sacro vincolo stringesi appié degli altari. Il rituale slavonico ha una particolare benedizione per congiugnere solennemente due amici, o due amiche, alla presenza di tutto il popolo. Io mi sono trovato presente all’unione di due fanciulle, che si facevano posestre nella chiesa di Perussich. La contentezza che trapelava dagli occhi loro, dopo d’avere stretto quel sacro legame, provava agli astanti quanta delicatezza di sentimento possa allignare nell’anime non formate o, per meglio dire, non corrotte dalla società, che noi chiamiamo colta. Gli amici così solennemente uniti chiamansi pobratimi, le donne posestrime, ch’è quanto a dire mezzo-fratelli e mezzo-sorelle. Le amicizie fra uomo e donna non si stringono a’ giorni nostri con tanta solennità: ma forse in più antiche e innocenti età s’è usato di farloa.
a Dozivgliega viila Posestrima
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minacciando gli mettano alla gola armi da fuoco oda taglio, e dopo molta resistenza consentano finalmente a ricevere in denaro il prezzo del sangue sparso. Queste paci sogliono costare assai fra gli Albanesi; fra i Morlacchi alcuna volta s’accomodano senza molto dispendio, e in ogni luogo poi si conchiudono con una buona corpacciata a spese del reo.
 
§. 7. Talenti ed arti
 
La svegliatezza d’ingegno e un certo spirito naturale d’intraprendenza rendono i Morlacchi atti a riuscire in ogni sorte d’impiego. Nel mestiere dell’armi, quando siano ben diretti, prestano un ottimo servigio e sul finire del passato secolo furono adoperati utilmente per granatieri dal valoroso generale Delfino, che conquistò un importante tratto di paese soggetto alla Porta75, spezialmente servendosi di queste truppe in vari usi. Riescono a meraviglia nella direzione degli affari mercantili, ed anche adulti imparano agevolmente a leggere e scrivere e conteggiare. Dicesi che nel principio di questo secolo i Morlacchi pastori usavano molto occuparsi nella lettura d’un grosso libro di dottrina cristiana, morale e storico, compilato da un certo P. Divcovich76, e stampato più volte in Venezia nel loro carattere cirilliano bosnese, ch’è in qualche parte differente dal russo. Accadeva sovente che il parroco, più pio che dotto, raccontando dall’altare qualche fatto della Scrittura, lo storpiasse o ne alterasse le circostanze, ne’ quali casi s’alzava dall’uditorio la voce d’alcuno degli astanti a dire «Nie tako», «la non è così». Pretendesi che per evitare questo scandalo sia stata usata dell’attenzione in raccogliere tutti que’ libri, di modo che pochissimi se ne ritrovano in Moriacchia. La prontezza di spirito di questa nazione si dimostra benespesso nel dar risposte
75 La sublime Porta designa il governo dell’impero ottomano. Fortis qui ricorda la vittoria del generale Daniele Dolfin a Metellino, contro i Turchi nel 1690.
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scòdano78, da loro detto ruj, il giallo e il bruno; e per ottenere il primo colore, usano talvolta dell’evonimo, da loro conosciuto sotto il nome di puzzàlina.
Le donne morlacche quasi tutte sanno lavorare di ricamo e di maglia. I loro ricami sono assai curiosi, e perfettamente simili dal dritto e dal rovescio. Hanno una sorte di lavoro di maglia, cui non sanno imitare le nostre italiane, e l’usano principalmente per quella spezie di coturno, cui portano nelle pappuzze e nelle opanche, chiamato nazuvka. Non sono colassù rari i telai da rascia79 e da grosso telame: poco però vi lavorano le femmine, perché i loro uffjzj fra’ Morlacchi non sono combinabili con lavori sedentari.In qualche villa della Morlacchia v’è l’arte del pentolaio, come a Verlika; i vasi che vi si fabbricano grossolanamente e vi si cuociono in fornaci rustiche scavate nel terreno, riescono di gran lunga più durevoli che i nostrali.
 
§. 8. Superstizioni
 
Sieno della communione romana, o della greca que’ popoli hanno stranissime idee in proposito di religione; e l’ignoranza di coloro che dovrebbono illuminarli, fa che divenghino ogni giorno più mostruosamente complicate. I Morlacchi credono alle streghe, ai folletti, agl’incantesirni, alle apparizioni notturne, a’ sortilegi così pervicacemente, come se ne avessero veduto l’effetto in pratica le mille volte. Credono anche verissima l’esistenza de’ vampiri; e loro attribuiscono, come in Transilvania, il succhiamento del sangue de’ fanciulli. Allor che muore un uomo sospetto di poter divenire vampiro, o vukodlak, com’essi dicono, usano di tagliargli i garetti e pungerlo tutto colle spille. pretendendo che dopo queste due operazioni egli non possa più andar girando. Accade talvolta che prima di morire qualche Morlacco preghi gli eredi suoi, e gli obblighi a trattarlo come vampiro,
78 Il guado è una pianta erbacea dalle cui foglie si estrae un colorante analogo all’indaco; lo scodano, o scotano, è un arbusto impiegato anche per la concia.
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zapiz dai sacerdoti cristiani; il che dee non poco contribuire ad accrescere il concetto di questa merce. Un’altra divozione de’ Morlacchi (la quale non è tanto propria loro, che anche fra ‘l popolo nostro minuto non abbia luogo) si è quella delle monete di rame e d’argento del basso-Impero, o veneziane contemporanee, che passano per medaglie di sant’Elena, alle quali attribuiscono grandissime virtù contro l’epilessia ed altri malori. Le medesime perfezioni sono attribuite a quelle monete d’Ungheria chiamate petizze, quando nel rovescio abbiano l’immagine della Vergine col bambino Gesù sostenuto dal braccio diritto. Il dono d’una di queste monete è carissimo sì agli uomini che alle donne di Morlacchia.
I Turchi del vicinato, che portano con divozione i zapiz superstiziosi, e che arrecano sovente regali, e fanno celebrar delle messe alle immagini della Vergine (cosa ch’è per certo in contraddizione coll’Alcorano84) per un’altra contraddizione opposta, non rispondono al saluto fatto col santo nome di Gesù. Quindi lungo il confine loro, quando s’incontrano, i viandanti non usano dire, come ne’ luoghi men lontani dal mare, «buaglian Issus», sia lodato Gesù, ma, «buaglian Bog», sia lodato Iddio.
 
§. 9. Costume
 
L’innocenza e la libertà naturale de’ secoli pastorali mantiensi ancora in Morlacchia; o almeno ve ne rimangono grandissimi vestigi ne’ luoghi più rimoti dai nostri stabilimenti, La pura cordialità del sentimento non vi è trattenuta da’ riguardi, e dà di sé chiari segni esteriori senza distinzione di circostanze. Una bella fanciulla morlacca trova un uomo del suo paese per la strada, e lo bacia affettuosamente, senza pensare a malizia. Io ho veduto tutte le donne, e le fanciulle, e i giovani, e i vecchi di più d’una villa baciarsi fra loro, a misura che giungevano su’ piazzali delle chiese, ne’ giorni di festa. Sembrava che quella gente fosse tutta d’una sola famiglia. Ho poi osservato cento volte la medesima cosa
84Corano.
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pelle strade, e pe’ mercati delle città maritime, dove i Morlacchi vengono a vendere le loro derrate. Ne’ tempi di feste e chiasso, oltre al bacio corre qualche altra libertatuccia di mani, che noi troveressimo poco decente, ma presso di loro non passa per tale; se ne vengano ripresi, dicono «ch’egli è uno scherzare, che a nulla monta». Da questi scherzi però hanno principio sovente i loro amori, che frequentemente finiscono in ratti, quando i due amanti si trovino d’accordo. E raro caso (e non avviene certamente ne’ luoghi più rimoti dal commercio) che il Morlacco rapisca una fanciulla non consenziente, o la disonori. Se questo accadesse, la giovane farebbe per certo buona difesa; da che la robustezza delle donne di que’ paesi di poco la cede a’ maschi pell’ordinario. Quasi sempre la fanciulla rapita fissa ella medesima l’ora e ‘1 luogo del ratto; e lo fa per liberarsi dal numero dei pretendenti, ai quali forse ha dato buone parole, e da’ quali ha ricevuto qualche regaluccio in pegno d’amore, come d’anella d’ottone, di coltellini, o d’altra tal cosa di lieve prezzo. Le Morlacche si tengono un poco in assetto prima d’andare a marito: ma dopo che ne hanno fatto l’acquisto, si abbandonano totalmente ai sudiciume, quasi volessero giustificare il disprezzo con cui sono trattate. Non è però che le fanciulle mandino buoni effluvi, imperocché usano d’ungersi i capelli col burro, che irrancidisce facilmente, ed esala anche di lontano il più disaggradevole puzzo che possa ferire il naso d’un galantuomo.
 
§. 10. Vesti donnesche
 
L’abito delle Morlacche è vario ne’ vari distretti, ma sempr’egualmente strano agli occhi italiani; quello delle fanciulle è più composto e bizzarro pegli ornamenti che portano sul capo, a differenza delle maritate alle quali non è permesso di portare altro che un fazzoletto aggruppato, bianco o di colore. Le fanciulle portano una berretta di scarlatto, da cui pell’ordinario pende un velo scendendo giù per le spalle, e questa è il segnale della loro verginità; molte file di monete d’argento, fra le quali benespesso ve n’hanno d’antiche e pregevoli, la rendono adorna alle più
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di state depongono la modrina e portano il sadak solo senza maniche, sopra d’una gonnella o camiciotto bianco. Le calzette d’una fanciulla sono sempre rosse; le sue scarpe simili a quelle degli uomini chiamansi opanke, hanno la suola di cuoio crudo di bue, la parte superiore di cordicelle annodate, che son fatte di cuoio di montone, queste chiamano opùte, e girandole attorno le si stringono al disopra de’ malleoli ad uso di coturno antico. Per quanto ricche sieno le loro famiglie, non si permette alle fanciulle di portare altra spezie di scarpe. Quando vanno a marito, possono deporre le opanke, e prendere le papuzze alla turca. Le treccie delle fanciulle stanno nascose sotto la berretta; le spose se le lasciano cadere sul petto e talvolta le annodano sotto la gola, v’attaccano poi sempre, e v’intrecciano medaglie, vetri o monete forate all’usanza tartara e americana. Una giovane che si fosse guadagnato concetto di poco buon costume, arrischierebbe di vedersi strappare pubblicamente nella chiesa la berretta rossa dal curato, e d’aver poi i capelli recisi da qualche suo parente in segno d’infamia. Quindi è che se alcuna di esse ha commesso qualche fallo amoroso, depone da per se stessa le insegne verginali e cerca di cangiar paese.
 
§. 11. Sponsali, gravidanze, parti
 
È frequentissima cosa anche fra i Moriacchi che una fanciulla sia chiesta in isposa per un qualche giovane che abita molte miglia lontano; sì fatti matrimoni si trattano dai vecchiardi delle rispettive famiglie, senza che gli sposi futuri si siano mai veduti. La ragione di queste ricerche lontane suol essere, più che la mancanza di fanciulle nel villaggio o ne’ contorni, il desiderio d’imparentarsi con famiglie assai diramate e celebri per aver prodotto uomini valorosi. Il padre dello sposo, o altro di lui parente d’età matura, va a chiedere la giovane, o per meglio dire una giovane della tal famiglia, non avendo pell’ordinario scelta determinata. Gli vengono mostrate tutte le fanciulle di casa ed egli sceglie a piacere, rispettando per lo più il diritto della primogenita. Di raro vengono negate le fanciulle richieste; né si suoi molto badare alle circostanze di chi le chiede.
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Nell’occasione de’ parti, e particolarmente de’ primi, tutti i parenti ed amici mandano regali di cose da mangiare alla puerpera, e di questi si fa poi una cena detta bàbine. Le puerpere non entrano in chiesa se non dopo quaranta giorni, previa la benedizione lustrale.
La prima età dei fanciulli morlacchi si passa fra’ boschi a guardia delle mandre o delle greggie. Ogni sorta di lavori escono lor dalle mani, e in quell’ozio s’addestrano a farne con un semplice coltello. V’hanno delle tazze di legno e degli zufoli adornati di bassorilievi capricciosi, che non mancano di aver un merito e provano abbastanza la disposizione di quella gente a cose più perfette.
 
§. 12. Cibi
 
Il latte in vari modi rappreso è il nudrimento più comune de’ Morlacchi, eglino usano di farlo agro coll’infondervi dell’aceto, e ne riesce una spezie di ricotta oltremodo rinfrescante; il siero di questa è bevanda graditissima da loro, e non disgustosa anche a un palato straniero. Il cacio fresco fritto nel burro è il miglior piatto cui sappiano preparare all’improvviso per un ospite. Di pane cotto alla
91 Tributo, imposta riferita alla persona.
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costringesse a coltivare questi prodotti. Io desidererei che fosse proposto almeno questo modo di risparmiare somme considerabili; da che sarebbe deriso chi proponesse d’invitarli co’ premi, ch’è pur il modo più facile d’ottenere ogni cosa in fatto d’agricoltura.
Lo zelo d’uno de’ passati eccellentissimi generali in Dalmazia introdusse tielle campagne della Morlacchia la seminagione della canape, che non vi fu poi con egual vigore sostenuta: ma il vantaggio riconosciuto ha indotto molti Morlacchi a continuarne volontariamente la coltivazione, ed è certo che da quel tempo in poi spendono qualche minor porzione di denaro nelle tele forastiere, avendo qualche telaio in paese. Perché non potrebbono pigliar più facilmente il genio della seminagione d’una pianta, ch’è di quotidiano lor uso e divenuta quasi di prima necessità? La frugalità e la vita faticosa, congiunta alla purità dell’aria fanno che in Morlacchia, e particolarmente sul dorso delle montagne, v’abbia un gran numero di macrobi95. Io non ho però con tutto questo cercato di un qualche Dandonea: ma a traverso dell’ignoranza, che vi regna anche degli anni propri, mi è sembrato di vedere qualche vecchione quasi paragonabile al celebre Parr96.
 
§. 13. Utensili e capanne, vestiti ed armi
 
Le schiavine97 provenienti dal paese turco servono di materasse ai Morlacchi più benestanti; rarissimo fra loro è il riccone che abbia un letto alla nostra usanza, né vi sono assai frequenti quelli che abbiano lettiere di legno rozzamente connesse, nelle quali dormono senza materasse o lenzuola fra le schiavi- ne. Il letto della maggior parte è il suolo ignudo, su di cui stendono la coperta, nella quale si ravvolgono come fegatelli, mettendovi al più qualche poco di paglia sotto.
95 Voce desueta per designare uomini particolarmente longevi.