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Se Massis mi leggesse, rileverebbe in queste parole una filza d’errori e m’avrebbe già condannato. Ho detto del rispetto, della gratitudine che unisce il critico all’autore; ho implicitamente considerato come libero l' ingegno umano; ho riconosciuto i diritti degl'individui. Sono per me, queste, verità semplici, che non ci si sta a spender parole, da cui si muove anche senza proferirle, e così ci s'intende; sono, meglio che verità, usanze. La civiltà, la cultura, parole che anche a Massis son care, le presumono.
Se Massis mi leggesse, rileverebbe in queste parole una filza d’errori e m’avrebbe già condannato. Ho detto del rispetto, della gratitudine che unisce il critico all’autore; ho implicitamente considerato come libero l' ingegno umano; ho riconosciuto i diritti degl'individui. Sono per me, queste, verità semplici, che non ci si sta a spender parole, da cui si muove anche senza proferirle, e così ci s'intende; sono, meglio che verità, usanze. La civiltà, la cultura, parole che anche a Massis son care, le presumono.


Perlui, invece, non sono da accettarsi; sono ombre vane, illusioni, menzogne o anche di peggio: l’incarnazione del male. Entra dunque nella critica questo nuovo, o tanto tempo taciuto, elemento morale: e, sottolineamo, nuovo. Si sta con lui infatti fuori della retorica — o dentro una retorica maggiore. Non si tratta più dell'arte: non si tratta di sbandirne le opere irregolari; ne della gerarchia dei generi: non si tratta di sottomettervi le opere ribelli, di epurare quelle contaminate. In opere d’arte hanno una figura, una potenza terribile, son veicolo di morte. Non son soltanto il segno d’un'epoca, duna società inquinata, ma l’agente. Il difensore del bene deve dar l' allarme e correre ai ripari. Siccome sono nate da una volontà malvagia e, a prescindere dai risultati, seno perfide nelle intenzioni, il giudice provvide; questa specie di pubblico accusatore incita il popolo a trarne vendetta; questo auto eletto sacerdote denuncia e esorcizza il demonio che vi s'annida.
Per lui, invece, non sono da accettarsi; sono ombre vane, illusioni, menzogne o anche di peggio: l’incarnazione del male. Entra dunque nella critica questo nuovo, o tanto tempo taciuto, elemento morale: e, sottolineamo, nuovo. Si sta con lui infatti fuori della retorica — o dentro una retorica maggiore. Non si tratta più dell'arte: non si tratta di sbandirne le opere irregolari; ne della gerarchia dei generi: non si tratta di sottomettervi le opere ribelli, di epurare quelle contaminate. In opere d’arte hanno una figura, una potenza terribile, son veicolo di morte. Non son soltanto il segno d’un'epoca, duna società inquinata, ma l’agente. Il difensore del bene deve dar l' allarme e correre ai ripari. Siccome sono nate da una volontà malvagia e, a prescindere dai risultati, seno perfide nelle intenzioni, il giudice provvide; questa specie di pubblico accusatore incita il popolo a trarne vendetta; questo auto eletto sacerdote denuncia e esorcizza il demonio che vi s'annida.


Non si vuole qui caricare uno sdegno poco proficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massis su qualche punto preciso, ma le sue affermazioni genetiche e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto egli l'investitura e la prerogativa del bene? chi gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis, il male degli scrittori ch'egli denuncia son per noi argomenti dello stesso valore, sfoghi sullo stesso piano, identiche esaltazioni di chi delle lettere si fa una passione e le intende secondo un istinto di dominio che le perturba e le sforma. Con questa differenza: che l'arte per quanto cosi ridotta, è sempre ingenua, sempre pura e anche una bestemmia la rende inocua, rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che le potrebbe render accettate. Da Veuillot a Blois e a Giuliotti, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammira. Ma qui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di questo polemista in veste di critico: tale è la forma d' indulgenza con cui par giusto di dover trattare,
Non si vuole qui caricare uno sdegno poco proficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massis su qualche punto preciso, ma le sue affermazioni genetiche e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto egli l'investitura e la prerogativa del bene? chi gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis, il male degli scrittori ch'egli denuncia son per noi argomenti dello stesso valore, sfoghi sullo stesso piano, identiche esaltazioni di chi delle lettere si fa una passione e le intende secondo un istinto di dominio che le perturba e le sforma. Con questa differenza: che l'arte per quanto cosi ridotta, è sempre ingenua, sempre pura e anche una bestemmia la rende inocua, rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che le potrebbe render accettate. Da Veuillot a Blois e a Giuliotti, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammira. Ma qui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di questo polemista in veste di critico: tale è la forma d' indulgenza con cui par giusto di dover trattare,


{{ct|f=100%|t=1|v=.5|'''Massis e l’Indice.'''}}
{{ct|f=100%|t=1|v=.5|'''Massis e l’Indice.'''}}
Massis fa professione di fede cattolica e di pen¬siero neoscolastico; e anzi la sua critica sarebbe nient’altro che l’applicazione dei presupposti della fede. Crede quindi che gli sia sortita una funzione di provveditore alle lettere e d’indagatore delle tendenze e delle mire dei letterati: un ufficio intermedio tra quello della Congicgazionc dcl- 11 ridice e quello della Santa Inquisizione. Ma i Canoni che statuiscono della censura e della proi¬ bizione dei libri, e che formano il codice della Congregazione «lelllndice, non contengono, espli¬ cito o sottinteso, nessun principio positivo di di¬ scriminazione; lasciando all’nrhitrio e all’Iniziativa della Santa Congregazione il giudizio sulla sindaca¬ bilità delle opere letterarie, elencano soltanto i li¬ bri proibiti ipso iure. Non si erra «li molto, credo, se si afferma clic i membri della Congregazione mettono all’indice i libri per ragioni analoghe a quelle specificate nel Canone 1399, cioè per ragio¬ ni pratiche, quando l’attenzione è attratta da fa¬ me scandalose o la moria corre dietro a delle no¬ vità teoriche 0 scientifiche buone per rimbecillire il pubblico grosso. Il padre Giovanni Casati, nella prefazione d’un suo volume assai gustoso, dove tratta dei libri letterati condannati all’indice, dice precisamente: «La Sacra Congregazione dell’In¬ dice giustamente non motiva le sentenze. La ra¬ gione e ovvia, e guai se non fosse così I I motivi ch’io o altri può portare potrebbero fors’nnchc parere a taluno discutibili 0 non così forti da dover in voi vere una condanna. Orbene, possono benissimo questi privati giudizi essere discutibili, non può essere discutibile In sentenza della Chie¬ sa, data per ragioni d’ordine pubblico. La sacra auctoritns providentiae doctrinnlis, che v’è nella Congregazione dcH’Indice, se non Ita i’ugual va¬ lore dcll’infallihilità che v’è in materia di fede, ha però per l’ubbidienza d’un cattolico l’uguale peso». Donde si trac: che i decreti «Iella Congre¬ gazione son provvedimenti d’autorità, clic un cat¬ tolico non può sindacare per quanto si creda su¬ periore e Immune, come il più eroico soldato non può a cagione del suo eroismo arbitrarsi a cri¬ ticare le provvidenze clic piglia lo Stato Maggiore contro temuti pericoli ch’egli non è in grado di valutare; e inoltre, che i motivi da cui la Con¬ gregazione è diretta sono specifici e singolari, non dipendono da una dottrina che la Chiesa pro¬ clami nell’atto di condannare chi se ne scarta, ma da un giudizio di opportunità. Non è difficile capire che la Chiesa a farsi banditricc d’una dot¬ trina letteraria, o a dedurre strettamente ima re¬ gola critica dal suo insegnamento, farebbe opera caduca e anche insana; poiché essa sa che quanti hanno imparato a credere la sua fede e si son nu¬ triti delle sue parole, non vanno a cercare un nuo¬ vo viatico e un’imperfetta scienza,nelle pagine dettate dall’ingegno umano. In esse non trovnn nulla di divino, ma un segno vivo dei propri fratelli. Se non le accolgono con sensi di frater¬ nità, se non cercano di giustificarle e d’elevarle. se son pronti a accendersi nello scandalo, e quasi con diletto, non vorremmo, a dir questo, cadere nella stessa colpa, ma ci par proprio che aliti in loro, non vinto, lo spirito dell’odio.
Massis fa professione di fede cattolica e di pensiero neoscolastico; e anzi la sua critica sarebbe nient’altro che l’applicazione dei presupposti della fede. Crede quindi che gli sia sortita una funzione di provveditore alle lettere e d’indagatore delle tendenze e delle mire dei letterati: un ufficio intermedio tra quello della Congregazione dell' Indice e quello della Santa Inquisizione. Ma i Canoni che statuiscono della censura e della proibizione dei libri, e che formano il codice della Congregazione dell'Indice, non contengono, esplicito o sottinteso, nessun principio positivo di discriminazione; lasciando all’arbitrio e all’Iniziativa della Santa Congregazione il giudizio sulla sindacabilità delle opere letterarie, elencano soltanto i libri proibiti ''ipso iure''. Non si erra di molto, credo, se si afferma che i membri della Congregazione mettono all’indice i libri per ragioni analoghe a quelle specificate nel Canone 1399, cioè per ragioni pratiche, quando l’attenzione è attratta da fame scandalose o la moda corre dietro a delle novità teoriche o scientifiche buone per rimbecillire il pubblico grosso. Il padre Giovanni Casati, nella prefazione d’un suo volume assai gustoso, dove tratta dei libri letterati condannati all’indice, dice precisamente: «La Sacra Congregazione dell’Indice giustamente non motiva le sentenze. La ragione e ovvia, e guai se non fosse così! I motivi ch’io o altri può portare potrebbero fors’anche parere a taluno discutibili o non così forti da dover involvere una condanna. Orbene, possono benissimo questi privati giudizi essere discutibili, non può essere discutibile la sentenza della Chiesa, data per ragioni d’ordine pubblico. La sacra auctoritns providentiae doctrinnlis, che v’è nella Congregazione dell’Indice, se non ha l’ugual valore dell’infallibilità che v’è in materia di fede, ha però per l’ubbidienza d’un cattolico l’uguale peso». Donde si trae: che i decreti della Congregazione son provvedimenti d’autorità, che un cattolico non può sindacare per quanto si creda superiore e immune, come il più eroico soldato non può a cagione del suo eroismo arbitrarsi a criticare le provvidenze che piglia lo Stato Maggiore contro temuti pericoli ch’egli non è in grado di valutare; e inoltre, che i motivi da cui la Congregazione è diretta sono specifici e singolari, non dipendono da una dottrina che la Chiesa proclami nell’atto di condannare chi se ne scarta, ma da un giudizio di opportunità. Non è difficile capire che la Chiesa a farsi banditrice d’una dottrina letteraria, o a dedurre strettamente una regola critica dal suo insegnamento, farebbe opera caduca e anche insana; poiché essa sa che quanti hanno imparato a credere la sua fede e si son nutriti delle sue parole, non vanno a cercare un nuovo viatico e un’imperfetta scienza,nelle pagine dettate dall’ingegno umano. In esse non trovan nulla di divino, ma un segno vivo dei propri fratelli. Se non le accolgono con sensi di fraternità, se non cercano di giustificarle e d’elevarle, se son pronti a accendersi nello scandalo, e quasi con diletto, non vorremmo, a dir questo, cadere nella stessa colpa, ma ci par proprio che aliti in loro, non vinto, lo spirito dell’odio.


Non odia di certo chi, nella critica d’un libro, fa il suo mestiere, e cerca di sceverare il bello dal brutto; non odia se in tale lavoro riesce in¬ giusto, clic non sarà nemmeno colpa sua, e nean¬ che se, invece di bello e brutto, dice buono e cat¬ tivo; non è colpevole neppure, non e spietato se in un libro, in un autore riscontra i segni d’una decadenza, d’una miseria, d’un male, benché al¬ lora abbia a pensare che se quel segni non sono palesi esteticamente e non giungono a una man¬ canza formale, s’è consolata la miseria, e la deca¬ denza è, con l’ottenere un’espressione, sanata. Ma che cosa si dirà d’un critico che in uno scrittore a cui consacra ben centotrenta pagine riconosce, con astio non mai smesso, la potenza, la volontà, starci per dire la natura del male?
Non odia di certo chi, nella critica d’un libro, fa il suo mestiere, e cerca di sceverare il bello dal brutto; non odia se in tale lavoro riesce ingiusto, che non sarà nemmeno colpa sua, e neanche se, invece di bello e brutto, dice buono e cattivo; non è colpevole neppure, non e spietato se in un libro, in un autore riscontra i segni d’una decadenza, d’una miseria, d’un male, benché allora abbia a pensare che se quel segni non sono palesi esteticamente e non giungono a una mancanza formale, s’è consolata la miseria, e la decadenza è, con l’ottenere un’espressione, sanata. Ma che cosa si dirà d’un critico che in uno scrittore a cui consacra ben centotrenta pagine riconosce, con astio non mai smesso, la potenza, la volontà, starci per dire la natura del male?


II demoniaco Gide.
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«... cesi un livre qui brùle Ics maina pendant qu’on le lit et avee lequel je n’ai jamais voulu me trouver cn tetc-à-tète tant je crois quii est redoli¬ tale * — chi legge queste panile capirà che sono proferito da un povero spirito, da un’anima tor¬ bida e debole in preda forse ai fantasmi della sua solitudine 0 «li qualche tara che la rode. In¬ fatti chi In pronuncia è l’eroe d’una storia «P«in¬ quiète pubcrté - cct état physiologiquc, cettc crise où le masculin et le femminili se confondentiIcs instinets premient le dessus, où le rnlsonnenient lui ménte est toni affectif-cct état informe où le médecin encore plus que le psicologia aurait son mot a dire». Le prime parole riferite son portate sul frontispizio, le seconde scritte a pag. t «4 dello stesso volume; le prime estratte da un romanzo di Roger Martin du Card, Ics Thibault, nnmincfano i plurimi sempre uguali saggi su Gidc e vi predispongono il lettore; nelle seconde senza reticenze Massis esprime il suo pensiero su¬ gli eroi adolescenti clic Martin «In Cari! è an¬ dato a seovnre. lnsomma, di quella stessa creazio¬ ne ch’egli considera poi malvagia e anche irrea¬ le si serve al principio come d’un testo che provi fino all’evidenza il buon fondamento «lei su«> giudizio su Gidc e che obblighi il lettore a dargli ragione. Ma quando le palme ardono naturalmen¬ te, qualun«|ue libro càpiti di toccare parrà di fuo¬ co. A tale stregua, non dico i classici ch’egli pre¬ tende d’amare, ma tutti i lessici e i dizionari son libri da bandirsi. Conosce forse regole empiriche di condotta e «livieti che salvino i ragazzi dagli acerbi perturbamenti? Massis potrebbe sostenere che altro è l’informazione diretta oggettiva e m qualche modo necessaria; i pericoli ch’egli vede e depreca dipendono invece dalla mancanza di brutalità e di precisione, dalla delicatezza, dal- l’ombrc, «lallc suggestioni sparse, dallo strano e immediato capovolgimento di valori che un arte esperta ottiene proprio nell’animo di quel fanciul¬ lo che più sarebbe oppresso e respinto da una ri¬ velazione rapida, spensierata. Se è davvero op¬ portuno seguitare a discutere di simili argomenti,
«... cest un livre qui brûle les mains pendant qu’on le lit et avec lequel je n’ai jamais voulu me trouver en tête-à-tête tant je crois qu'il est redoutable» — chi legge queste parole capirà che sono proferito da un povero spirito, da un’anima torbida e debole in preda forse ai fantasmi della sua solitudine o di qualche tara che la rode. Infatti chi la pronuncia è l’eroe d’una storia d' «inquiète puberté - cet état physiologique, cette crise où le masculin et le femminin se confondentle instincts prennent le dessus, où le raisonnement lui même est tout affectif-cet état informe où le médecin encore plus que le psicologia aurait son mot a dire». Le prime parole riferite son portate sul frontispizio, le seconde scritte a pag. 114 dello stesso volume; le prime estratte da un romanzo di Roger Martin du Gard, ''les Thibault'', annunciano i plurimi sempre uguali saggi su Gide e vi predispongono il lettore; nelle seconde senza reticenze Massis esprime il suo pensiero sugli eroi adolescenti che Martin du Gard è andato a scovare. Insomma, di quella stessa creazione ch’egli considera poi malvagia e anche irreale si serve al principio come d’un testo che provi fino all’evidenza il buon fondamento del suo giudizio su Gide e che obblighi il lettore a dargli ragione. Ma quando le palme ardono naturalmente, qualunque libro càpiti di toccare parrà di fuoco. A tale stregua, non dico i classici ch’egli pretende d’amare, ma tutti i lessici e i dizionari son libri da bandirsi. Conosce forse regole empiriche di condotta e divieti che salvino i ragazzi dagli acerbi perturbamenti? Massis potrebbe sostenere che altro è l’informazione diretta oggettiva e in qualche modo necessaria; i pericoli ch’egli vede e depreca dipendono invece dalla mancanza di brutalità e di precisione, dalla delicatezza, dall’ombre, dalle suggestioni sparse, dallo strano e immediato capovolgimento di valori che un arte esperta ottiene proprio nell’animo di quel fanciullo che più sarebbe oppresso e respinto da una rivelazione rapida, spensierata. Se è davvero opportuno seguitare a discutere di simili argomenti, gli opporremo che anche in questa materia non si vive di solo pane; e che, se un’esperienza dell' osceno è necessaria, è necessaria pure un’esperienza del torbido.


Però lo scandalo di Massis sarebbe confortato dalle confessioni del medesimo Gide; dal modo della raccolta dei suoi «Morceaux choisis» prima di tutto; da quella sua fiducia in un pubblico avvenire che è fatta apposta per inebriare gli adolescenti col gusto — e il premio — della scoperta fruttuosa; dalle confidenze in cui sembra indulgere non tanto come in uno sbocco lirico, per togliersi un peso di dosso, quanto per cattivarsi i cuori, per penetrare gli animi e adoperarli: «j’aime mieux faire agir que d’agir». E ancora: «J’écris pour qu’un adolescent, plus tard, pareil à celui que j’étais à seize ans mais plus libre, plus hardi, plus accompli, trouve lei réponse à son interrogation palpitante».


Nel tempo che Massis scrisse i suoi «jugements» non era divulgato uh libro che sarebbe una più triste testimonianza della direzione, segreta o palese, della volontà gidinna. Se il critico avesse tentato di mostrare le brutture, o magari il fallimento dell’opera come un effetto di debolezza, di passività, d’incapacità di costruire: sarebbe rimasto su un terreno neutro, dove le opinioni prevalgono o si chetano secondo la forza persuasiva che comportano e le circostanze; e molle delle sue sarebbero potute parer buone. Qui invece egli s’è corazzato con argomenti di tutt’altro genere, ha mobilitato potenze celesti e infernali; l’inconsueta battaglia fa salire a una dignità non mai prevista il nemico ch’egli non riesce co’ mezzi suoi propri a dominare. Gli imagina dunque una forza cui non sembra egli potesse aspirare; peggio, riconoscendogli delle qualità sataniche, gliela crea, Si ha da dire francamente che il temuto pericolo sta negli accenti di cui Massis si serve per meglio determinare e rivelare il testo gidiano; nel rifiuto che sottolinea, nello sdegno così consapevole che richiama e forse avvince; in quel continuo vezzo di rincarare la dose onde le pagine più deplorevoli, che son poi le più attente e le più chiuse, son qui, anche ingiustamente, denunciate; cosicché i lettori più ingenui troveranno l’incitamento a riscorrere i libri e, preoccupati, intristiti, sciuperanno la prima impressione, ch’era la più generosa.
gli opporremo clic anche in questa materia non si vive di solo pane; e clic, se un’esperienza «Id¬ roscalo è necessaria, è necessaria pure un’espe¬ rienza del torbido.


Ecco, per essere più precisi, un episodio secondo Massis rivelatore. Delle «Caves du Vatican» Gide riporta nella sua scelta due brevi brani; il secondo è quello che prepara il delitto «immotivato» di cui si macchia il protagonista Lafeadio. Chi è Lafeadio? — è un prodotto libero, di diverse razze, di combinazioni impensate, d’incontri casuali, e uno che non conosce l’essere suo fino a diciannov’anni, e quando pateticamente lo viene a sapere, vi porta quasi un privilegio d’indipendenza, di candido abbandono e d’autonomia; è un figlio dell’autore. Nelle vagabonde sue esperienze, nella sua indisciplina non trova altro che una maniera di conoscersi — e forse, in certo modo, di «fondarsi»; non può e non sa trovar altro. Un giorno, in treno gli capita un compagno di viaggio ignoto, che gli e indifferente e perciò lo urta; noiato, in cerca d’un qualunque pensiero la sua mente che non piglia sonno si lascia attrarre da una macabra fantasia: «là, tout près de ma main, cette doublé fermeture que je peux faire jouer aisément; cette porte qui, cédant tout à coup, le laisserait couler en avant; une petite secousse suffirait... Ce n’est pas tant des évènements que j’ai curiosité que de moi - même (in tanto di là dal finestrino muta il paesaggio)... Là sous ma main, cette doublé fermeture — tandis qu’il est distrait et regarde au loin devant lui — joue, ma foi ! plus aisément encore qu’on êut cru. Si je puis compier jusqu’à douze, sans me presser, avant de voir, dans la campagne quelque feu, le tapir est sauvé. Je commence: une; deux; trois; quatre; (lentement! lentement!) cinq; six; sept; huit; neuf... Dix, un feu!» Cosi il delitto si compie.
Però lo scandalo di Massis sarebbe confortato


Non è possibile, si vede, pensare questo delitto senza Lafeadio; non può essere che si tratti di una propaganda, sia pure simbolica, a favore di un simile alto «gratuito»; il delitto starà o non starà bene alla persona di Lafeadio, la persona sua sarà criticabile sotto molti aspetti, oppure assurda e non viva; la sua assurdità, le sue mancanze si potranno identificare con deficienze personali di Gide che egli e condannato a scontare nella sua arte. Ma fargli imputazioni diverse, maggiori, come se un capitolo di romanzo fosse un articolo sedizioso, è un brutto e villano giuoco Sarebbe come imputare a un disordine di Stendhal il delitto di Giuliano Sorel.


Ed ecco le parole di Massis: «Cette dangereuse curiosité, c’est pourtant le principe de l’éthique d’André Gide, comme ce goùt du pervers, celui de son esthetique. Et puisque Lafeadio est une créature de son àme, il est legitime que nous cherchions le secret de cette âme, la où il l’a voulu cacher, dans l'intimitè de son art».
dalle


Gide, poi, lui fatto di peggio, ha anche scritto: «Il n’y a pas d’oeuvre d’art sans collaboration du démon»; la volontà diabolica, il gusto, l’amore della perdizione è dunque al centro della sua opera; ogni qual volta ha cercato, tentato o raggiunto la libertà, egli è stato arnese del diavolo; ogni suo movimento, incertezza, o «virata» — e sono tante — ne e segno. Ossesso da tale virtù par quasi uscito dal novero dei mortali; poiché egli solo, nelle sue tentazioni intellettuali, avrebbe il male al suo comando. Ma queste frasi, dette e ripetute da uno che ci erede e non per finta, non danno senso; non si conosce virtù magica che si esplichi con un mezzo placido e lento come i libri. Gide, al solito, esperto di tòcco, sulle frasi demoniache non c’insiste; forse le ha incluse per un incauto gusto d’attrattiva e di sfida verso gli spiriti come quello di Massis volontariamente insensibili al suo.
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Può menar vanto, se veramente si sazia d’una vittoria come questa. «Et nune» egli ha letto nel Vangelo. «C’est le secret de la félicité superieure que le Christ nous révèle. C’est ''dés à present'' et tout aussitòt que nous pouvons participer à la
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«j’aime mieux fairc agir que d’agir*. E ancora: «J’ccris pour qu’un adolcscciu, plus tard, pareli à celili que j’ctais à scizc nns mais plus libre, plus bardi, plus accompli, trouve lei réponse à son interrogatioii palpitante».

Nel tempo clic Massis scrisse i suoi «juge¬ ments» non era divulgato uh libro clic sarebbe una più triste testimonianza della direzione, se¬ greta o palese, della volontà gidinna. Se il critico avesse tentato di mostrare le brutture, 0 magari il fallimento dell’opera come un effetto di debo¬ lezza. di passività, d’incapacità di costruire: sa¬ rebbe rimasto su un terreno neutro, dove le opi¬ nioni prevalgono 0 si chetano secondo la forza persuasiva che comportano e le circostanze; e molle delle sue sarebbero potute parer buone. Qui invece egli s’è corazzato con argomenti di tut- t’altro genere, ha mobilitato potenze celesti e in¬ fernali; l’inconsueta battaglia fa salire a una di¬ gnità non mai prevista il nemico ch’egli non rie¬ sce co’ mezzi suoi propri a dominare. Gli imagina dunque una forza cui non sembra egli potesse aspirare; peggio, riconoscendogli delle «|unlità sa¬ taniche. gliela crea, Si ha da dire francamente che il temuto pericolo sta itegli accenti di cui Massi* si serve per meglio determinare e rivelare il testo gidiano; nel rifiuto clic sottolinea, nello sdegno così consapevole che richiama e forse avvince; in quel continuo vezzo di rincara¬ re la dose onde le pagine più deplorevoli, che son poi le più attente e le più chiuse, son qui, nuche ingiustamente, denunciate; cosicché i lettori più ingenui troveranno l’incitamento a riscorrerc i libri e, preoccupati, intristiti, sciuperanno la pri¬ ma impressione, ch’era la più generosa.

Ecco, per essere più precisi, un episodio secon¬ do Massis rivelatore. Delle «Caves du Valica» * Gidc riporta nella sua scelta due brevi brani; il secondo è quello che prepara il delitto «immoti¬ vato» di cui si macchia il protagonista Lafeadio. Chi è I-afcadio? — è un prodotto libero, di di¬ verse razze, di combinazioni impensate, d’incontri casuali, e uno che non conosce l’essere suo fino a diciannov’anni, e quando pateticamente lo viene a sapere, vi porta quasi un privilegio d’indipen¬ denza, di candido abbandono e d’autonomia; è un figlio dell’autore.Nelle vagabonde sue esperienze, nella sua indisciplina non trova altro che una ma¬ niera di conoscersi — e forse, in certo modo, di «fondarsi»; non può e non sa trovar altro. Un giorno, in treno gli capita un compagno di viag¬ gio ignoto, clic gli e indifferente e perciò Io ur¬ ta; noiato, in cerca d’un qualunque pensiero la sua mente che non piglia sonno si lascia attrarre da una macabra fantasia: «là, tout près de ma main, cettc doublé fcrmcturc que je peux fairc joucr aisément; cettc porte qui, cédant tout à coup, le laisserait coulcr cn avant; une petite secousse suffirait... Ce n’est pas tant des évènc- ments que j’ai curiosité que de tuoi - ménte (in tanto di là dal finestrino muta il paesaggio)... Là sous ma inaiti, cettc doublé fermcturc — tandis qu’il est distrait et regarde au loin devant lui — joue, ma foi I plus aisément encore qu’on cut cru Si je puis compier jusqu’à douze, sans me presser, avant de voir, dans la campagne quelque feu, le tapir est snuvé. Je commence: une; detix; trois; quatre; (Icntcmcntl lentcmcnt!) cinq; six; sept; huit; ncuf... Dix, un feul*. Cosi il delitto si compie.

Non è possibile, si vede, pensare questo delitto senza Lafeadio; non può essere che si tratti di una propaganda, sia pure simbolica, a favore di un simile alto «gratuito»; il delitto starà o non starà bene alla persona di Lafeadio, la persona sua sarà criticabile sotto molti aspetti, oppure as¬ surda e non viva; la sua assurdità, le sue man¬ canze si potranno identificare con deficienze per¬ sonali .li Gide che egli e condannato a scontare nella sua arte. Ma fargli imputazioni diverse, maggiori, come se un capitolo di romanzo fosse un articolo sedizioso, è un brutto e villano giuoco Sarebbe come imputare a un disordine di Sten¬ dhal il «iclitto di Giuliano Sorci.

Ed ecco le parole di Massi»: «Cettc dange- reusc curiosile, c’est pourtant le principe de l’élni- que d’André Gide, comnic ce goùt «lu pervers, celili de son csthcliqiic. Et puisque Lafeadio est une créature de son àme, il est legitime que tious chcrcltlons le secret de cettc àme la où il l’a voulu cnchcr, «iaiia (’(mimité de son art».

Gide, poi, lui fatto di peggio, ha anche scritto: «Il n’y a pas d’oeuvre d’art sans collaboration du démon»; la volontà diabolica, il gusto, l’amore della perdizione è dunque al centro della sua o- pcra; ogni qual volta ha cercato, tentato o rag¬ giunto la libertà, egli è stato arnese del diavolo; ogni suo movimento, incertezza, 0 «virata > — e sono tante — ne e segno. Ossesso da tale virtù par «piasi uscito dal novero «lei mortali; poiché egli solo, nelle sue tentazioni intellettuali, avrebbe il male al suo comando. Ma queste frasi, «lette e ripetute da uno che ci erede e non per finta, non danno senso; non si conosce virtù ma¬ gica clic si esplichi con un mezzo placido e lento come i libri. Gide, al solito, esperto di tòcco, sulle frasi demoniache non c’insiste; forse le ha Incluse per un incauto gusto d’attrattiva e di sfida verso gii spiriti come quello di Massis volonta¬ riamente insensibili al suo.

Può menar vanto, se veramente si sazia d’una vittoria come questa. «Et mine» egli ha letto nel Vangelo. «C’est le secret de la félicité superieure que le Clirist nous révèlc. C’est rfèr à prisenì et tout aussitòt que nous pouvons participer à la