Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/148: differenze tra le versioni
Stato della pagina | Stato della pagina | ||
- | + | Pagine SAL 75% | |
Intestazione (non inclusa): | Intestazione (non inclusa): | ||
Riga 1: | Riga 1: | ||
{{RigaIntestazione|{{Sc|128}}|{{Sc|illustri italiani}}|riga=si}} |
|||
Corpo della pagina (da includere): | Corpo della pagina (da includere): | ||
Riga 1: | Riga 1: | ||
128 |
|||
4 |
|||
Calmo, elegante, non vien a conflitto col pensiero, vuol dare copia, splendore, efficace linguaggio alla filosofia, ma accetta gli asserti delle varie scuole; sol pretendendo eliminare le parti vere e certe dalle false; onde è contemplatore coi Platonici e sperimentale cogli Aristotelici; si piace alla morale degli Stoici, ma ne ripudia l’esagerazione; dubita cogli Accademici, ma ritiene probabili alcune cose: fin dagli Epicurei toglie a prestanza alcuni concetti sull’amicizia: da {{Wl|Q913|Socrate}} riceve il testimonio della coscienza, l’evidenza interiore, ma non pronunzia mai assoluto sopra quel che discusse, mai non rivela la personalità umana. Con Posidonio e Panerzio egli crede al diritto e alla giustizia; pure gli si affacciano i dubbj degli Accademici, speculatori sempre, non pratici mai, perturbatori d’ogni principio<ref>«Turbatricem omnium rerum Academiam. . . . Si invaserit in hæc, nimias edei urinas, quam ego placare cupio, submovere non audeo». ''De leg''. I, 13.</ref>. |
|||
ILLUSTRI ITALIANI |
|||
Calmo, elegante, non vien a conflitto col pensiero, vuol dare copia,, |
|||
È notevole come i Romani avessero idea confusa e incompleta della divinità, e quindi della morale. Sentendosi chiamati a dominare il mondo, ''suprema legge'' era per essi la grandezza del popolo: altri profeti non riconoscevano che i legislatori; nel diritto consisteva il fine e la ragione storica della loro missione. Non voleasi abbandonare il solido terreno della vita positiva per correre negli spazj incogniti della speculazione, nelle regioni del pensiero: ammettevano lo spirito, ma come una cosa estranea, cercando piuttosto rimoverlo che conoscerlo: uomini di Stato operosi, intrepidi guerrieri, profondi giureconsulti, non li vediam mai nè devoti nè metafisici: alla scienza divina non s’applicarono se non quando era già perduta la fede. |
|||
splendore, efficace linguaggio alla filosofia, ma accetta gli asserti |
|||
delle varie scuole; sol pretendendo eliminare le parti vere e certe |
|||
Non sappiamo che altri scrivesse di teosofia prima che Cicerone nei tre libri ''de Natura Deorum'' avvertisse questa negativa conoscenza del soprasensibile; ed egli stesso vacilla fra la materialità degli Epicurei e le indeterminate aspirazioni degli Stoici: quelli che negavano ogni provvidenza, questi che Dio confondevano col mondo. Effetto inevitabile in una credenza mancante di base, e che dal panteismo o dalla fatalità non la deriva che illogicamente: laonde i dogmi più venerati e universali Cicerone non può recarli che come probabilità, dove il sentimento prevale quand’anche l’argomentazione sia stringente. Trova debolissimi gli argomenti con cui gli Stoici provano esister Dio; tiene che uno deva credere alla religione de’ suoi padri, ma la |
|||
dalle false; onde è contemplatore coi Platonici e sperimentale cogli |
|||
Aristotelici; si piace alla morale degli Stoici, ma ne ripudia l'esage- |
|||
razione; dubita cogli Accademici, ma ritiene probabili alcune cose: |
|||
fin dagli Epicurei toglie a prestanza alcuni concetti sull'amicizia: da |
|||
Socrate riceve il testimonio della coscienza, l'evidenza interiore, ma |
|||
non pronunzia mai assoluto sopra quel che discusse, mai non rivela |
|||
la personalità umana. Con Posidonio e Panerzio egli crede al diritto |
|||
e alla giustizia ; pure gli si affacciano i dubbj degli Accademici, spe- |
|||
culatori sempre, non pratici mai, perturbatori d'ogni principio (67). |
|||
È notevole come i Romani avessero idea confusa e incompleta |
|||
della divinità, e quindi della morale. Sentendosi chiamati a domi- |
|||
nare il mondo, suprema legge era per essi la grandezza del po- |
|||
polo: altri profeti non riconoscevano che i legislatori; nel diritto |
|||
consisteva il fine e la ragione storica della loro missione. Non vo- |
|||
leasi abbandonare il solido terreno della vita positiva per correre |
|||
negli spazj incogniti della speculazione, nelle regioni del pensiero: |
|||
ammettevano lo spirito, ma come una cosa estranea, cercando piut- |
|||
tosto rimoverlo che conoscerlo: uomini di Stato operosi, intrepidi |
|||
guerrieri, profondi giureconsulti, non li vediam mai nè devoti nè |
|||
metafisici: alla scienza divina non s'applicarono se non quando era |
|||
già perduta la fede. |
|||
Non sappiamo che altri scrivesse di teosofia prima che Cicerone nei |
|||
tre libri de Natura Deorim avvertisse questa negativa conoscenza del |
|||
soprasensibile; ed egli stesso vacilla fra la materialità degli Epicurei |
|||
e le indeterminate aspirazioni degli Stoici: quelli che negavano ogni |
|||
provvidenza, questi che Dio confondevano col mondo. Effetto inevita- |
|||
bile in una credenza mancante di base, e che dal panteismo o dalla |
|||
fatalità non la deriva che illogicamente: laonde i dogmi più venerati |
|||
e universali Cicerone non può recarli che come probabilità, dove |
|||
il sentimento prevale quand'anche l'argomentazione sia stringente. |
|||
Trova debolissimi gli argomenti con cui gli Stoici provano esister |
|||
Dio; tiene che uno deva credere alla religione de' suoi padri, ma la |
|||
(67) « Turbatricem omnium rerum Academiam. . . . Si invaserit in hsec, nimias edei |
|||
urinas, quam ego placare cupio, submovere non audeo ». De leg, l, 13. |