Pagina:Baretti - Prefazioni e polemiche.djvu/16: differenze tra le versioni

Pepato (discussione | contributi)
 
Pepato (discussione | contributi)
Stato della paginaStato della pagina
-
Pagine SAL 25%
+
Pagine SAL 75%
Intestazione (non inclusa):Intestazione (non inclusa):
Riga 1: Riga 1:
{{RigaIntestazione|6|{{Sc|prefazioni e polemiche|}}
{{RigaIntestazione|6|{{Sc|prefazioni e polemiche}}|}}
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:

Io risposi a quel giovine che in quel mio sonetto io non credeva che vi fosse altro di buono che que’ due versi eh ’e’ mi diceva, avendolo io fatto ne* primi tempi ch’io cominciava a studiare la poesia berniesca. Di là a poche sere, non mi ricordo da chi, fu rinnovellato il discorso di quel sonetto, e mi ricordo che io risposi alquanto acerbamente a chi me ne parlava, che già avevo una volta detto che quel mio sonetto era cattivo e che mi si poteva pur parlare delle cose da me di fresco fatte e lette e poste anzi nelle mani di più d’uno della brigata, senza andarmi rompendo il capo con rammemorarmi un sonetto cattivo, fatto da giovane e per una raccolta di monaca. Queste mie parole fecero che nessuno più me ne parlò, né io mi ricordava mai più di quel sonetto; quando una sera, fu a’ diciannove d’agosto passato, mi fu portata dalla posta fra le altre una lettera, nella quale io trovai quel mio sonetto trascritto con tutta fedeltà da quella raccolta, con un altro in risposta per le desinenze al mio, senza nome né contrassegfno che mi potesse far conoscere colui che mi faceva così bel regalo. Ma qual bisogno di nome, se appena letti i quattro primi versi io conobbi che quella risposta era del molto reverendo prete Biagio? Pure, per maggiormente assicurarmene, lo lessi anche al signor don Leonardo Marcellotto e al signor Giorgio Bruchner e a Sua Eccellenza il signor Daniel Farsetti e al signor Giuseppe Paoli improvvisatore fiorentino e a quattro o cinque altri a uno a uno, e tutti a uno a uno mi dissero che quella risposta, e allo stile stentato e all’asinesca foggia di confutare, era sicuramente dello Schiavo. Quando io vidi nascer in tanti il mio medesimo pensiero intorno all’autore di questa bella cosa, me ne andai alla bottega di Menegazzo la sera seguente alla solita ragunanza, e là trovai oltre a que’ sette od otto giovani che la compongono, anche questo buon vecchione. Ma quello che avvenne là quella sera ve lo dirò poi. Voglio prima trascrivervi qui il mio sonetto con la risposta dello Schiavo e far sopra l’uno e sopra l’altro alcune annotazioni, e poi vi dirò il resto.
Io risposi a quel giovine che in quel mio sonetto io non credeva che vi fosse altro di buono che que’ due versi ch’e’ mi diceva, avendolo io fatto ne’ primi tempi ch’io cominciava a studiare la poesia berniesca. Di là a poche sere, non mi ricordo da chi, fu rinnovellato il discorso di quel sonetto, e mi ricordo che io risposi alquanto acerbamente a chi me ne parlava, che già avevo una volta detto che quel mio sonetto era cattivo e che mi si poteva pur parlare delle cose da me di fresco fatte e lette e poste anzi nelle mani di più d’uno della brigata, senza andarmi rompendo il capo con rammemorarmi un sonetto cattivo, fatto da giovane e per una raccolta di monaca. Queste mie parole fecero che nessuno più me ne parlò, né io mi ricordava mai più di quel sonetto; quando una sera, fu a’ diciannove d’agosto passato, mi fu portata dalla posta fra le altre una lettera, nella quale io trovai quel mio sonetto trascritto con tutta fedeltà da quella raccolta, con un altro in risposta per le desinenze al mio, senza nome né contrassegno che mi potesse far conoscere colui che mi faceva così bel regalo. Ma qual bisogno di nome, se appena letti i quattro primi versi io conobbi che quella risposta era del molto reverendo prete Biagio? Pure, per maggiormente assicurarmene, lo lessi anche al signor don Leonardo Marcellotto e al signor Giorgio Bruchner e a Sua Eccellenza il signor Daniel Farsetti e al signor Giuseppe Paoli improvvisatore fiorentino e a quattro o cinque altri a uno a uno, e tutti a uno a uno mi dissero che quella risposta, e allo stile stentato e all’asinesca foggia di confutare, era sicuramente dello Schiavo. Quando io vidi nascer in tanti il mio medesimo pensiero intorno all’autore di questa bella cosa, me ne andai alla bottega di Menegazzo la sera seguente alla solita ragunanza, e là trovai oltre a que’ sette od otto giovani che la compongono, anche questo buon vecchione. Ma quello che avvenne là quella sera ve lo dirò poi. Voglio prima trascrivervi qui il mio sonetto con la risposta dello Schiavo e far sopra l’uno e sopra l’altro alcune annotazioni, e poi vi dirò il resto.


Eccovi dunque il mio sonetto. Leggiamolo e critichiamolo, e poi verremo a quello del dottore. Ve ne vo’ trascrivere sino il titolo come sta nella lettera orba.
Eccovi dunque il mio sonetto. Leggiamolo e critichiamolo, e poi verremo a quello del dottore. Ve ne vo’ trascrivere sino il titolo come sta nella lettera orba.