Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/441: differenze tra le versioni

Lino Marco (discussione | contributi)
 
Lino Marco (discussione | contributi)
mNessun oggetto della modifica
 
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 2: Riga 2:




In quei pochi giorni prima dell’apertura delle scuole, il giovane fece ancora relazione coll’organista, che stava sul suo pianerottolo; e da lui fa presto messo al corrente di tutti gli affari del paese. Era questi uno dei capi originali più ameni ch’egli avesse ancora conosciuti da che aveva fatto la sua entrata nel mondo. Era un giovane straordinariamente pingue per i suoi trentatrè anni, una faccia di luna liscia, a cui il naso voltato in su, il riso beffardo, un cappellaccio a cencio che portava di sbieco, e l’abitudine di far saltare continuamente da un angolo all’altro della bocca un mezzo sigaro toscano masticato, davano un’aria d’impertinenza che avrebbe tirato gli schiaffi d’un santo. Senonchè la sua incontestabile e rara valentìa nella musica, lo zelo davvero esemplare con cui adempiva il suo ufficio d’organista e di capo della banda, e il fondo bonaccione della sua indole, facevano passar sopra alla scioltezza beceresca delle sue maniere e all’audacia sconfinata delle sue opinioni. Repubblicano propriamente non era, benchè, per antonomasia, lo chiamassero ''il repubblicano''; non si accalorava nè contro la monarchia nè in favore della repubblica; e neppure si capiva bene perchè e di che cosa fosse in particolar modo scontento nello stato presente della società, e di politica parlava poco, poichè non aveva opinioni nè aspirazioni ben determinate. Ma per effetto di certo spirito d’avventuriere che portava nel sangue, per un’antipatia che pareva essergli congenita per tutti i cittadini in carica e in fortuna, ai quali stesse a cuore la durata dello ''stato quo'', e anche per una sua strana persuasione che la musica avesse molto a guadagnare da un gran mutamento del mondo, egli non faceva altro che predicare inevitabile e annunziar vicinissima una dissoluzione generale e quasi simultanea, che chiamava il ''gran crac'', di tutto quanto il complesso delle istituzioni e delle fortune presenti, a cui dava il nome generico e spregiativo di ''baraccone''. Quali cagioni immediate dovessero {{Pt|pro-|}}
In quei pochi giorni prima dell’apertura delle scuole, il giovane fece ancora relazione coll’organista, che stava sul suo pianerottolo; e da lui fu presto messo al corrente di tutti gli affari del paese. Era questi uno dei capi originali più ameni ch’egli avesse ancora conosciuti da che aveva fatto la sua entrata nel mondo. Era un giovane straordinariamente pingue per i suoi trentatrè anni, una faccia di luna liscia, a cui il naso voltato in su, il riso beffardo, un cappellaccio a cencio che portava di sbieco, e l’abitudine di far saltare continuamente da un angolo all’altro della bocca un mezzo sigaro toscano masticato, davano un’aria d’impertinenza che avrebbe tirato gli schiaffi d’un santo. Senonchè la sua incontestabile e rara valentìa nella musica, lo zelo davvero esemplare con cui adempiva il suo ufficio d’organista e di capo della banda, e il fondo bonaccione della sua indole, facevano passar sopra alla scioltezza beceresca delle sue maniere e all’audacia sconfinata delle sue opinioni. Repubblicano propriamente non era, benchè, per antonomasia, lo chiamassero ''il repubblicano''; non si accalorava nè contro la monarchia nè in favore della repubblica; e neppure si capiva bene perchè e di che cosa fosse in particolar modo scontento nello stato presente della società, e di politica parlava poco, poichè non aveva opinioni nè aspirazioni ben determinate. Ma per effetto di certo spirito d’avventuriere che portava nel sangue, per un’antipatia che pareva essergli congenita per tutti i cittadini in carica e in fortuna, ai quali stesse a cuore la durata dello ''stato quo'', e anche per una sua strana persuasione che la musica avesse molto a guadagnare da un gran mutamento del mondo, egli non faceva altro che predicare inevitabile e annunziar vicinissima una dissoluzione generale e quasi simultanea, che chiamava il ''gran crac'', di tutto quanto il complesso delle istituzioni e delle fortune presenti, a cui dava il nome generico e spregiativo di ''baraccone''. Quali cagioni immediate dovessero {{Pt|pro-|}}