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{{Col2|rule}}<section begin="s1" />{{Pt|dere|perdere}} un pasto, perciocché l'altro si fa troppo grasso; non bere freddo, ma fresco; e non innamorarsi di vino dolcissimo, perciocché egli vizia il fegato da cui poi è viziato lo stomaco. Nè mi si dira che sono gravi imprese: la sanità é la più bella dama del mondo, e per suo amore ogni cavaliere dee sostenere ogni qualunque pena. Delle cose di Roma io non posso salvo lodare sommamente la sua prudenza: il modo ch'ella tiene, lo può fare giocondo: ma giù non può mai porlo in tristezza. Io soglio meco dire in simili occasioni con {{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}}, ''Ben se traggono a colpi di fortuna''. Rimane il particolare della poesia: io sento i miei errori con l'error di V. S., se pure amare la maggior gentilezza che sia fra gli uomini puossi chiamare errore. Non fu mai uomo più destinato! alla poesia di me, nè uomo che per condizion di suo stato dovesse meno appigliarsi a lei: e pure per prova sento che sarei senza lei vissuto dolente, là dove con esso lei sono vissuto lieto e giocondo. È buona scorta la natura: mille si sono risi di me, i quali tutti io stimo come porci in brago. Che domine si vuole, salvo vivere e lasciar segno elio si è stato in vita? La carta m'abbandona, e però dico, che é da vivere ''secundum genium''. Io mi mantengo melanconico che non sono costì; ''caetera lactus''. A V. S. ec.<section end="s1" />
{{RigaIntestazione|392|{{sc|prose}}|}}(lere un pasto, perciocché l’altro si fa troppo
grasso; non bere freddo, ma fresco; c non in-
namorarsi di vino dolcissimo, perciocché egli
vizia il fegato da cui poi è viziato Io stomaco.
Nc mi si dira ohe sono gravi imprese : la sa-
nità é la pili bella dama del mondo, e per suo
amore ogni cavaliere dee sostenere ogni qua-
lunque pena. Delle cosc di Roma io non posso
salvo lodare sommamente la sua prudenza : il
modo ch’ella tiene, lo può fare giocondo: ma ]
giù non può mai porlo in tristezza. Io soglio
meco dire in simili occasioni con Dante, Ben
te traggono a colpi di fortuna. Rimane il par-
ticolare della poesia : io sento i mici errori con
I' crror di V. S., se pure amare la maggior
gentilezza clic sia fra gli uomini po OS si chia'
mare errore. Non fu mai uomo più destinato !
alla poesia di me, nè uomo clic per condizion j
di suo stalo dovesse mono appigliarsi a lei : e
pure per prova sento chc sarei senza lei vis-
suto dolente, là dove con esso lei sono vissuto
lieto e giocondo. V' buona scoila la natura: |
mille si sono risi di me, i (piali tutti io stimo
come porci in brago. Che domine si vuole, salvo I
vivere c lasciar segno elio si c stato in vita?
La carta uT abbandona, e però dico, chc é da
vivere secundutn genium. Io mi mantengo me-
lanconico clic non sono costì; caetera lactus.


A V. S. ec.


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AL MEDESIMO.


Che fai tu? Dirollo schiettamente: io mi
sono posto in seggio di giustizia, c fammi ve-
nire innanzi i miei componimenti, c contro
loro formo querele, e secondo le loro risposte,


Che fai tu? Dirollo schiettamente: io mi sono posto in seggio di giustizia, e fammi venire innanzi i miei componimenti, e contro
0 sode o vane, io do sentenza. Alcuni nc mando
loro formo querele, e secondo le loro risposte, o sode o vane, io do sentenza. Alcuni nè mando alle forche, alcuni libero per grazia, alcuni mando in bando: simile sentenza ho usata sopra le Canzonette che vengono a V. S. Per altro la loro vanità non mi dispiace, se saranno trattate come da cantarsi; ma i miei anni non
alle forche, alcuni libero per grazia, alcuni
soffrono ch'io le tenga appresso, e considerando che riguardano gli anni giovanili, e che vogliono la gentil compagnia della musica, io loro do confine nelle mani di V. S., mettendole innanzi se, pensando a tutto, potasse senza vergogna e senza peccalo raccomandarle ad un giovinetto signore e vago di musica e pieno
mando in bando: simile sentenza ho usata so-
di gentilezza ed amico di onore. Si fatto è senza dubbio il signor Agostino Pinello. Se a V. S. non dispiace la salute di cotali ciancie, elle averanno ottenuto per un supplizio mortale una gloriosa salute. Siamo in novelle di spavento: che domine fia con questo Marte? bene a ragione {{AutoreCitato|Omero}} fa che Giove gli lava la testa siccome ad un briccone. Sentesi movimento di Francesi contro Milano: cosa gravissima. Perciocch'ella è di gran momento potrebbe svegliare il cuore alla pace di coloro, i quali posti sono nel mondo da Dio grandissimo per beare le genti, ed essi le conturbano intieramente. Sia loro perdonato, ed a noi. Del
pra le Canzonette clic vengono a V. S. Per
rimanente io non sono molto gagliardo, nè anco ho male ninno: m'incresce; ma i libri i mi tanno giocondissima compagnia. Quando ai tempi freschi io potrò camminare, ricrearommi a' miei Padri di san Giacopo; di presente il pensiero e la memoria mi fanno felice portandomi a Fassolo, ove dimorano tante cose a me carissime. E qui facendo fine, le ricordo alcuna volta scrivere. Al signor Sanseverino e al Grimaldi bacio le mani, ed a tutti faccio riverenza.
altro la loro vanità non mi dispiace, se saranno
trattate come da cantarsi ; ma i miei anni non
soffrono ch'io le tenga appresso, e considerando
chc riguardano gli anni giovanili, c chc vo-
gliono la gentil compagnia della musica, io
loro do contine nelle mani di V. S., metten-
dole innanzi se, pensando a tutto, potasse senza
vergogna e senza peccalo raccomandarle ad un
giovinetto signore c vago di musica e pieno
di gentilezza ed amico di onore. Si fatto è
senza dubbio il signor Agostino Pi nello. Se a


''Di Savona'', ''li 20 ''Agosto'' 1635.<section end="s2" />
V. S. non dispiace la salute di colali ciancie,
elle averanno ottenuto per un supplizio mor-
tale una gloriosa salute. Siamo in novelle di
spavento: che domine fia con questo Marte?
bene a ragione Omero fa che Giove gli lava
la testa siccome ad un briccone. Senlesi movi-
mento di Francesi contro Milano: cosa gravis-
sima. Pcrciocch' ella è di gran momento po-
trebbe svegliare il cuore alla pace eli coloro,


1 quali posti sono nel mondo da Dio grandis-
simo per beare le genti, cd essi le conturbano
intieramente. Sia loro perdonato, cd a noi. Del
rimanente io non sono molto gagliardo, nò ij
anco ho male ninno: m’ incresce; ma i libri i
mi tanno giocondissima compagnia. Quando ai


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tempi freschi io potrò camminare, ricrearommi
a' miei Padri di san Giacopo; di presente il
pensiero c la memoria mi fanno felice portan-
domi a Fassolo, ove dimorano tante cosc a me
carissime. E qui facendo fine, le ricordo alcuna
volta scrivere. Al signor Sanseverino e al Gri-
maldi bacio le mani, ed a tutti faccio riverenza»
Di Savona, li 9.0 Agosto i635.


AL MEDESIMO.


Gran piacere hammi fatto V. S. col ben ricapitare la lettera del signor Agostino Pinelli, il quale mi ringraziò nobilmente di un dono che per verità non gli donai. Cercherò bene tra' fogli se avorò cosa non indegna da farsi leggere, acciocché chiunque leggerà sappia che io fui conosciuto e conobbi questo sì gentil
Gran piacere hatnmi fitto V. S. col ben ri-
giovine. Vengono le Egloghe non affatto da disprezzare, quando consideri che si composero per onorare e dar nome alla villa; ed a dame e cavalieri basta quella sciocchezza rappresentata per farli ridere. A chi si diletta di poesia forse potrà dar diletto la favella tanto dimessa quanto chiamala il personaggio, nel che fa
capitare la lettera del signor Agostino Pinelli,
stimalo sovrano {{AutoreCitato|Teocrito}}. I Latini troppo si
il quale mi ringraziò nobilmente di un dono
sollevarono; i Toscani non sempre tennero uguaglianza, dico del {{AutoreCitato|Jacopo Sannazaro|Sannazaro}}; i Padovani furono eccellenti; ma usano la favella con la quale non iscrivesi. Ora qualunque chi siam elle se ne vengono, ed io per cotal modo vado
che per verità non gli donai. Cercherò bene
smorbando il mio erario. Siamo sul fine delle vendemmie con caldi estremi, i quali ci promettono pioggie, dietro le quali doveranno
tra’ fogli se avorò cosa non indegna da farsi
venire le tramontane col freddo, ed io mi vado apprestando al verno ed al vivere incarcerato nel mio alberghetto. Ben potrebbe essere che non potessi schifare un viaggio, e venire a trovarvi. Il desiderio mi tira, ma d'altra parte le stanze costì sono troppo signoreggiate dall'aria fredda, ed io averci bisogno di un forno. Tuttavia io non ho cerio nessuno pensamento, e discorro meco, che ciascuno ha la sua sorte assegnata. Io sono confinato in patria, ove veramente non meno la vita volentieri; ma dimorare in Genova io non posso, essendo obbligato alla casa qui in patria: sicché ''durum, sed levius fit patientia quid quid corrigere est nefas''. E però diamoci al bere fresco. Bacio le mani agli amici, e faccio riverenza alle mie signore.
leggere, acciocché chiunque leggerà sappia clic
io fui conosciuto e conobbi questo sì genlil
giovine. Vengono le Egloghe non affatto da
disprezzare, quando consideri che si composero
per onorare e dar nome alla villa; cd a dame
e cavalieri basta quella sciocchezza rappresen-
tata per farli ridere. A chi si diletta di poesia
forse potrà dar diletto la favella tanto dimessa
quanto chiamala il personaggio, nel che fa
stimalo sovrano Teocrito. 1 Latini troppo si
sollevarono; i Toscani non sempre tennero
uguaglianza, dico del Sannazaro; i Padovani
furono eccellenti; ma usano la favella con la
quale non iscrivesi. Ora qualunque eli siam
elle se ne vengono, ed io per c >(al modo vado
smorbando il mio erario. Siamo sul fine delle
vendemmie con caldi estremi , i quali ci pro-
mettono pioggie, dietro le quali .love,ranni»
venire le tramontane col freddo, ed io mi vado
apprestando al verno cd al vivere incarcerato
nel mio alberghetto. Ben potrebbe essere rhe
non potessi schifare un viaggio, e venire a tro-
varvi. Il desiderio mi lira, ma d’ altra j>.irl<: le
stanze costì sono troppo signoreggiate daU’aria
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tavia io non ho cerio nessuno pensamento, e
discorro meco’, che ciascuno ha la sua sorle
assegnata. Io sono c nlìnato in patria, ove ve-
ramente non meno la vila volentieri; ma di-
morare in Genova io non posso’, essendo ob-
bligato alla casa qui in patria: sicché dunun,
sed levius fu fialientia quid quid corrigere est
nefas. lì però diamoci al bore fresco. Bacio le
mani agli amici, c faccio riverenza alle mie
signore.


Li 4 d? Ottobre, 1635.
''Lì 4 ''d'Ottobre'', 1635.<section end="s3" />


AL MEDESIMO.


<section begin="s4" />{{Centrato|{{Sc|al medesimo.}}}}
Le lettere di V. S. tutte mi sono venute in
mano, e purché si diano a marinai savonesi,
quasi non possono perdersi. Piacemi clic il
conte l’esti sia per venirsene, col quale io mi
raffronterei volentieri, e per quanto discorro,
meglio mi verrà fatto 'li passaggio in Savoua ;
perche se egli non tocca qui, come vedrollo
1! in Genova ove egli non é da credere che si
fermi? Kd alloggiando iu Bi sagno, pure mi ab'



. bandona la speranza; però goderò «[nella oc-
Le lettere di V. S. tutte mi sono venute in mano, e purché si diano a marinai savonesi, quasi non possono perdersi. Piacemi che il conte l'esti sia per venirsene, col quale io mi raffronterei volentieri, e per quanto discorro, meglio mi verrà fatto di passaggio in Savona; perchè se egli non tocca qui, come vedrollo
! casione che mi si presenterà migliore. Vengo
in Genova ove egli non é da credere che si fermi? Ed alloggiando in Bisagno, pure mi abbandona la speranza; però goderò nella occasione che mi si presenterà migliore. Vengo<section end="s4" />