Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/45: differenze tra le versioni
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''lo ignori, non ne farò al presente menzione, in mio pensiere tenendo essere pazzia da uomo prosuntuoso volere investigare qual sia la natura di Dio; e l’uomo mortale non potere nemmeno conoscere nel loro giusto vero le cose umane: tanto meno poi valere esso a conoscere la divina natura. In quanto a me si omettono senza differenza codeste cose, per sola credulità dai mortali venerate; e nel particolar mio null’altro in questo tempo ardisco confessare intorno a Dio, se non che egli è pienamente buono, e reggitore di tutte le cose, che in sua podestà tiene l’universo. E lascio poi che di tali quistioni dica come le intende chiunque o sacerdote o laico e zotico''. Senza fare l’ apologia di ''{{AutoreCitato|Procopio di Cesarea|Procopio}}'', il quale certamente qui non tiene linguaggio di teologo; senza dare a queste sue parole la mite, e forse giusta interpretazione che la carità cristiana in simili casi suggerisce, potendosi dire ch’ egli ebbe così parlando in mira le tante sette de’ suoi tempi, e l’audacia d’investigazioni a null’altro atte che a scandolezzare, massimamente riguardate per la parte di coloro, che senza o ministero, o studio e capacità, sorgevano a disputare e non già che intendesse comprendere nel suo discorso le verità ortodosse debitamente annunciate; senza dire in fine che quanto riguarda la professione di fede qui esposta non ad altro evidentemente tende che a fissare il principio fondamentale della religione, giacché, come |
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suggerisce, potendosi dire ch’ egli ebbe così parlando in mira le tante sette de’ suoi tempi, e l’audacia d’investigazioni a null’ altro atte che a scandolezzare, massimamente riguardate per la parte di coloro, che senza o ministero, o studio e capacità, sorgevano a disputare e non già che intendesse comprendere nel suo discorso le verità ortodosse debitamente annunciate; senza dire in fine che quanto riguarda la professione di fede qui |
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