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vocale scempia (e chiusa); quindi, per esempio: voce, amore; sera,
vocale scempia (e chiusa); quindi, per esempio: voce, amore; sera,
avere *<ref> E come ognuno, se pur non sia dato a questa specie di studj, facilmente imagina, la nitida e costante distinzione tra il riflesso della vocal breve latina e della lunga, non è già un privilegio di quel gruppo di dialetti dell’Italia centrale a cui spetta la lingua che gl’Italiani scrivono o vorrebbero scrivere, ma si riproduce, in modi diversi, anche in un numero infinito di altri vernacoli italiani. Cosi, per esempio, l’o breve latino è T ce di Milano: naf, mcef, mozr, ccer, rada, ecc.; laddove l’o lungo latino è P g di Milano: vgg, famgs, colgr, patron, sigra, ecc. E similmente all’altra estremità dell’Italia, l’o breve latino è sempre o a Palermo: Il dittongo può non isvilupparsi, o anche ri tacere, in qualche esemplare toscano o italiano, come è per esempio in rósa; ma allora si tratta di un o aperto (rosa); e quindi si dice, nel barbaro linguaggio della scienza, che P uà e P o aperto italiano sono i due normali succedanei dello stesso elemento latino. Ora siccome P o dell’odierno fiorentino in novo, in more (muore) ecc., è naturalmente aperto, ed anzi più aperto e più lungo, secondo gli esperti inclinano a credere (D’Ancona, D’Ovidio), che non sia quello di rosa, così il ’Novo Vocabolario’.potrebbe forse dire, che Po’ fiorentino rimanendo pur sempre diverso, secondo la sua diversa radice latina, i diritti della storia non sono punto lesi dalla pronuncia ch’egli inculca. Al che sarebbe facile rispondere, che le due diverse pronuncio fiorentine, secondo la diversa quantità latina (novo, amore), sono così rimote fra di loro, che è un mero caprìccio della storia il non averci dato due diversi caratteri per rappresentarle; e che l’amore della precisione, e i suggerimenti del sapere, e appunto il desiderio di diffondere la pronuncia toscana o fiorentina, oggi ben piuttosto porterebbero a distinguere costantemente, pur nella scrittura: rosa (r5sa) da rgsa (rosa, corrosa), che non a un’ortografia la quale confonda la sola (sola) e la suòla (solum), scola per bene e scuòla per bene; e via di questo passo. Meno male sarebbe P imporci di scrivere uòmo e di leggere ómo. Accetterebbero i Francesi una riforma che incominciasse dal confondere nella scrittura paire e pére? Ma si deve ancora avvertire, e certo senza la minima volontà di malignare o di mancar di riverenza a chi tanta ne merita e per tanti conti, che fra la teoria e la pratica del ( Novo Vocabolario’ può parer che corra un’assai notevole differenza o manchino nóvUf lócu, fócu, jócUf scóla, cóciri, ecc.; laddove V o lungo latino è sempre u a Palermo: Mi, amóri, sinàra, cMa, scópa, ecc.</ref>. E siccome la brevità o la lunghezza della vocale latina
avere *<ref> E come ognuno, se pur non sia dato a questa specie di studj, facilmente imagina, la nitida e costante distinzione tra il riflesso della vocal breve latina e della lunga, non è già un privilegio di quel gruppo di dialetti dell’Italia centrale a cui spetta la lingua che gl’Italiani scrivono o vorrebbero scrivere, ma si riproduce, in modi diversi, anche in un numero infinito di altri vernacoli italiani. Cosi, per esempio, l’o breve latino è œ di Milano:
{{Centrato|nœf, mœf, mœr, cœr, rœda, ecc.;}}
laddove l’o lungo latino è P g di Milano: {{Centrato|vgg, famgs, colgr, patron, sigra, ecc.}} E similmente all’altra estremità dell’Italia,{{Centrato|nóvUf lócu, fócu, jócUf scóla, cóciri}}, l’o breve latino è sempre o a Palermo: laddove V o lungo latino è sempre u a Palermo: {{Centrato|Mi, amóri, sinàra, cMa, scópa, ecc.}}Il dittongo può non isvilupparsi, o anche ri tacere, in qualche esemplare toscano o italiano, come è per esempio in rósa; ma allora si tratta di un o aperto (rosa); e quindi si dice, nel barbaro linguaggio della scienza, che P uà e P o aperto italiano sono i due normali succedanei dello stesso elemento latino. Ora siccome P o dell’odierno fiorentino in novo, in more (muore) ecc., è naturalmente aperto, ed anzi più aperto e più lungo, secondo gli esperti inclinano a credere (D’Ancona, D’Ovidio), che non sia quello di rosa, così il ’Novo Vocabolario’.potrebbe forse dire, che Po’ fiorentino rimanendo pur sempre diverso, secondo la sua diversa radice latina, i diritti della storia non sono punto lesi dalla pronuncia ch’egli inculca. Al che sarebbe facile rispondere, che le due diverse pronuncio fiorentine, secondo la diversa quantità latina (novo, amore), sono così rimote fra di loro, che è un mero caprìccio della storia il non averci dato due diversi caratteri per rappresentarle; e che l’amore della precisione, e i suggerimenti del sapere, e appunto il desiderio di diffondere la pronuncia toscana o fiorentina, oggi ben piuttosto porterebbero a distinguere costantemente, pur nella scrittura: rosa (r5sa) da rgsa (rosa, corrosa), che non a un’ortografia la quale confonda la sola (sola) e la suòla (solum), scola per bene e scuòla per bene; e via di questo passo. Meno male sarebbe P imporci di scrivere uòmo e di leggere ómo. Accetterebbero i Francesi una riforma che incominciasse dal confondere nella scrittura paire e pére? Ma si deve ancora avvertire, e certo senza la minima volontà di malignare o di mancar di riverenza a chi tanta ne merita e per tanti conti, che fra la teoria e la pratica del ( Novo Vocabolario’ può parer che corra un’assai notevole differenza o manchino ecc.; </ref>. E siccome la brevità o la lunghezza della vocale latina
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