Lettera a Melitta (16 marzo 1909): differenze tra le versioni

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Ebbi più volte il desiderio di « sconfinare »; ma tra la poca salute e i pochi quattrini e le attrattive, che per me erano irresistibili, della Toscana, io non ebbi mai il coraggio di allontanarmi da Firenze, dove mi recavo tutti gli anni e dove conobbi ''i migliori uomini d'Italia'', dai quali ebbi incoraggiamenti e prove di stima e di affetto.
 
Il ''{{AutoreCitato|Giovanni Prati|Prati}}'' , il ''{{AutoreCitato|Niccolò Tommaseo|Tommaseo}}'' , ''{{AutoreCitato|Atto Vannucci}}'', ''Pietro Fanfani'', ''{{AutoreCitato|Andrea Maffei|Andrea Maffei}}'', il ''Regaldi'', ''Erminia'' ed ''{{AutoreCitato|Arnaldo Fusinato|Arnaldo Fusinato}}'', il ''{{AutoreCitato|Francesco Dall'Ongaro|Dall'Ongaro}}'', il ''{{AutoreCitato|Terenzio Mamiani|Mamiani}}'' e altri illustri e buoni, come ora non usa, li incontrai tutti a Firenze.
 
Il ''Prati'', a cui la « Palingenesi » era sembrata troppo seria per un giovine imberbe, presentandomi ad un ''comm. Franceschi'': * « Ecco il Rapisardi — gli disse — un fanciullo vecchio ». Ed io di rimando: « Ecco il Prati, un vecchio fanciullo ». « Birbante !» ei bofonchiò battendomi sulla spalla, con quel ghigno che gli era caratteristico e mordendo la cicca che teneva costantemente fra i denti... ''Quelli erano uomini grandi davvero !''