Sonetti (Pascarella)/Er Morto de Campagna
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ER MORTO DE CAMPAGNA.
A DONNA ENRICHETTA CARAFA
DUCHESSA DI ANDRIA.
«CAP. I. Nell’anno del Signore 1538, alcuni devoti
Christiani vedendo che molti poveri, li quali o per la
loro povertà overo per la lontananza del luogo, dove
morivano, il più delle volte non erano sepolti in luogo
sacro, overo restavano senza sepoltura, e forse cibi di
animali, mossi da zelo di carità e pietà, instituirno in Roma
una Compagnia sotto il titolo della Morte, la quale per
particolare instituto facesse quest’opera di misericordia
tanto pia, e tanto grata alla Divina Maestà di seppellire
li poveri Morti».
«Statuti della Ven. Archiconfraternita |
I.
C’erimo io, Peppetto de li Monti,
Checco Cacca, Gigetto Canipella...
Chi antro c’era?... L’oste a via Rasella,
4Stefeno er tornitore a Tor de Conti,
E, me pare, er droghiere a li du’ Ponti,
Cencio la Quaja, Zio de la Renella,
Er Teoligo, Peppe... e la barella.
8All’uno e un quarto stamio tutti pronti.
Prima d’uscì’, mannassimo Nunziata
A giocacce dar Sórdo un ambo sciorto;
11Cinque mortorio e trenta la giornata.
Poi sentissimo bene da Gregorio,
Er mannataro, dove stava er morto,
14E uscissimo a le due dall’Oratorio.
II.
Quanno stamo un ber po’ for de le mura,
Dice: — Passamo pe’ la scortatora.
— Ah, Nino, dico, si nun è sicura
4Bada che nun uscimo più de fora.
— Ma, dice, annamo, nun avé’ pavura:
Ce venni a caccia pe’ la Cannelora1. —
E annamo. Peppe mio, che fregatura!
8Stassimo pe’ la macchia un frego d’ora.
Sotto a le Capannelle de Marino
Trovassimo ’na fila de carretti,
11Che veniveno a Roma a portà er vino;
E a forza de strillaje li svejassimo,
Che dormiveno tutti, poveretti;
14E lì a lo scuro je lo domannassimo.
III.
— Avete visto gnente un ammazzato?
Dice: — Vortate giù pe’ ste spallette,
Annate a dritta, traversate er prato,
4Quanno sete ’rivati a le Casette
Domannatelo a l’oste der Curato,
Che ve l’insegna. — Quanto ce se mette? —
Dice: — Si annate a passo scellerato2,
8Ce metterete sempre un par d’orette. —
Ritornassimo addietro viciversa,
Fijo de Cristo! co’ le cianche rotte.
11Quanno stassimo sotto a la Traversa
Lì, li carretti ce se slontanorno,
E noi daje a girà’ tutta la notte
14Finché a la fine ce se fece giorno.
IV.
Che giornata, Madonna! Nera, nera,
Che pareva dipinta cór carbone,
Che proprio nun te fo esagerazione
4Era mattina e ce pareva sera.
Se mettessimo sotto a ’na macèra
Morti de fame pe’ magnà’ un boccone.
Venne un’acqua!... Ce prese ’no sgrullone3
8Che nun vedemio più celo nè tera.
Spiobbe. Se rimettessimo in cammino;
Ma indovinece un po’? Riannamo a sbatte’
11Sotto a le Capannelle de Marino.
Ma basta, er fatto sta, tanto cercassimo
Immezzo a li canneti, pe’ le fratte,
14Pe’ li fossi, che arfine lo trovassimo.
V.
Stava infrociato là a panza per aria,
Vicino a un fosso, accanto a ’na grottaccia,
Impatassato drento a la mollaccia...
4C’era ’na puzza ch’appestava l’aria.
Le cornacchie e li farchi da per aria
Veniveno a beccájese la faccia,
E der pezzo de sopra de le braccia
8C’era rimasto l’osso. Che barbaria!
E ne l’arzallo pe’ portallo via,
Je trovassimo sotto un istrumento4
11Lungo cusì, che mo sta in Pulizia.
Poi don Ignazio disse le preghiere;
E tornassimo co’ le torcie a vento,
14Pe’ la macchia, cantanno er Miserere.