Sonate, campane!
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SONATE, CAMPANE![1]
Guarda, guarda chi è! La sora Tèta!
Me penzavo ch’avéssivo[2] trovati
Qui da noi li scalini inzaponati,
Pe’ ppiantacce[3] accusì ccome la bbieta.
È vvero che l’anelli so’[4] ccascati,
Ma ppuro sciarimàneno le déta.[5]
Eh, ccapisco: dall’A sse sscéggne[6] ar Zeta.
Santi vecchi vò ddì[7] ssanti scordati.
Oh cqui ssì[8] cchi nun more s’arivede,[9]
O vviè er quarantasette[10] prim’estratto.
Ma sséte[11] propio voi? ce posso crede?
Sti pover’occhi mii ppiù li spalanco
E ppiù mme pare un zoggno. Uhm, quest’è un fatto
Da fàcce[12] un zeggno cór carbone bbianco.[13]
28 giugno 1834.
Note
- ↑ Espressione che si usa all’accadere di cose insperate.
- ↑ Che aveste.
- ↑ Per piantanci.
- ↑ Sono.
- ↑ Ma pure ci rimangono i diti. Modo familiare per dire “che malgrado checchessia nulladimeno si è sempre le stesse persone d’una volta.„
- ↑ (Pronunziato colla prima e chiusa.) Si discende.
- ↑ Vuol dire: equivale a.
- ↑ Oh qui davvero conviene il detto.
- ↑ Si rivede.
- ↑ Nel libro delle sorti pel giuoco del lotto, al 47 trovasi: Morto risuscitato.
- ↑ Siete.
- ↑ Farci.
- ↑ Dicesi negli eventi straordinari e meravigliosi.