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408 | Sonetti del 1834 |
SONATE, CAMPANE!1
Guarda, guarda chi è! La sora Teta!
Me penzavo c’avessivo2 trovati
Qui da noi li scalini inzaponati,
Pe’ ppiantacce3 accusì ccome la bbieta.
È vvero che l’anelli sò4 ccascati,
Ma ppuro sciarimaneno le deta.5
Eh, ccapisco: dall’A sse ssceggne6 ar Zeta.
Santi vecchi vò ddì7 ssanti scordati.
Oh cqui ssì8 cchi nun more s’arivede,9
O vviè er quarantasette10 prim’estratto.
Ma ssete11 propio voi? ce posso crede?
Sti pover’occhi mii ppiù li spalanco
E ppiù mme pare un zoggno. Uhm, quest’è un fatto
Da fàcce12 un zeggno cór carbone bbianco.13
28 giugno 1834
- ↑ Espressione che si usa all’accadere di cose insperate.
- ↑ Che aveste.
- ↑ Per piantanci.
- ↑ Sono.
- ↑ Ma pure ci rimangono i diti. Modo familiare per dire che “malgrado checchessia nulladimeno si è sempre le stesse persone d’una volta.„
- ↑ Pronunziato colla prima e chiusa. Si discende.
- ↑ Vuol dire: equivale a.
- ↑ Oh qui davvero conviene il detto.
- ↑ Si rivede.
- ↑ Nel libro delle sorti pel giuoco del lotto, al 47 trovasi: Morto risuscitato.
- ↑ Siete.
- ↑ Farci.
- ↑ Dicesi negli eventi straordinari e meravigliosi.