Sommario delle vite de' duchi di Milano/Francesco I Sforza
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Galeazzo Maria Sforza | ► |
Francesco Sforza figliuolo di Sforza Attendolo da Cotignola, rifiutato il cognome proprio della famiglia, col soprannome del padre s’acquistò titolo onorato, e allevato negli eserciti di soldati armati, e riuscito capitano di celebre fama, meritò d’essere innestato nella famiglia de’ Visconti per adozione. Nacque egli per madre di Lucia Terzana nel castello di San Miniato in Toscana sopra il fiume Arno nella via Pisana, a 23 di luglio l’anno di N. S. MCCCCI nel tramontar del sole, essendo Sforza suo padre in età di 31 anni, allo stipendio de’ Fiorentini nella guerra contra i Pisani. Costui visse col padre in tutte le guerre, in che egli si trovò, e avendo da lui imparato la disciplina militare, e il modo di guidar gli eserciti, facilmente ottenne dopo la morte d’esso il titolo di capitano delle genti Sforzesche. Perciocché essendosi Sforza suo padre annegato nel fiume di Pescara l’anno 1424, Francesco suo figliuolo, che combatteva allora al di là del fiume con le genti Braccesche, ripassata l’acqua, venne alle genti dalle quali incontanente fu creato lor capitano. Andato poi a visitar la regina Giovanna di Napoli ad Aversa, fu da lei grandemente accarezzato e onorato: ed esso la ajutò poi a ricuperar Napoli. Indi unito col campo di papa Martino V in Abruzzo, si trovò a romper Braccio, quando vi restò ferito, di che poi venne a morte con gran danno della fazioni Braccesca. Dopo questo s’accostò Francesco al duca Filippo Maria di Milano, il quale se l’adottò per figliuolo, inserendolo nella famiglia de’ Visconti e dandogli Bianca Maria sua figliulola natural per moglie, dandole alcune castella in dote1. Ruppe in Po l’armata de’ Veneziani, e poi fermata la pace fra essi e i Fiorentini col suocero andò in Puglia contra Jacopo Caldora che gli aveva occupato alcuni suoi luoghi. Giunto nella Marca, si fece Ancona e tutta quella provincia in quindici giorni tributaria: talché papa Eugenio IV, lo creò Gonfalonier della chiesa e Marchese della Marca d’Ancona dandogli altri titoli appresso 2. Fu generale de’ Veneziani e dei Fiorentini: e per loro combatté contra il suocero che per le false calunnie de’ maligni se gli discoperse nemico, avendo massimamente dichiarato suo general capitano Nicolò Piccinino nemico della fazione Sforzesca. Fece in questa guerra molte degne imprese, ma finalmente seguita la pace l’anno 1441 il duca Filippo gli diede per moglie Bianca Maria, che ancor mai non gli aveva sposata, e la città di Cremona, ove furon celebrate le nozze a 24 di ottobre. Morto il suocero s’acconciò co’ Milanesi che temevano de’ Veneziani, e si volevano reggere a repubblica, ed ebbe Pavia che si diede a lui senza voler sottoporsi a Milano. Indi per forza prese Piacenza e la mise a sacco, e poi ruppe l’armata de’ Veneziani in Po, la quale aveva gravemente sotto il governo d’Andrea Quirini stretto Cremona, e per ventura l’avrebbe presa se Bianca Maria sua moglie con molta virtù non l’avesse difesa. Ruppe anco il loro esercito a Caravaggio e mise l’assedio a Brescia: ma veduto che i Milanesi erano entrati in sospetto di lui, e che tuttavia gli mancavano, esso allora fece pace e lega co’ Veneziani con patti ch"essi l’ajutassero a pigliar Milano. La città di Piacenza, che l’anno innanzi era da lui stata presa per i Milanesi, venne ora in man sua, e poi anco Novara e Parma. Pose l’assedio finalmente a Milano, perché i Milanesi vedutisi strignere, supplicarono al Senato Veneziano ch’essendo quei padri amatori della libertà non volessero lasciarli andare in man dello Sforza, né più con denari o con gente ajutarlo, ma piuttosto favorir l’afflitta città e conservarla in repubblica. I Veneziani mandarono Pasqual Malipiero e Orsato Giustiniano al conte: e avuta Crema, si confederarono co’ Milanesi facendo intendere allo Sforza che facesse la pace e desistesse di più offender lo stato di Milano. Ma egli invitto d’animo non volse punto levarsi dall’impresa, e tanto si confidò nel valore e nell’amor de’ suoi soldati, che non dubitò di proseguir la guerra contra i Milanesi e contra i Veneziani, e tanto operò che in ultimo non potendo più la città di Milano resistere, ed essendo tutta in divisione, esso fu chiamato da’ Milanesi a pigliar la signoria di quella città, della quale fu creato duca due anni, sei mesi e quattordici giorni dopo la morte di Filippo Maria suo suocero. Quivi fatta una superba e pomposa entrata e creato solennemente duca, ordinò con prudenza il governo di quella città e creò Galeazzo Maria Sforza suo primogenito, conte di Pavia. Fece di nuovo rifare il castello di Milano, e mosse guerra a’ Veneziani la qual poi a persuasion del papa fu tralasciata, e fra lor fu conchiusa pace. Maritò Ippolita Maria sua figliuola ad Alfonso primogenito di Ferdinando re di Napoli, e Lionora figliuola di Ferdinando a Sforza Maria suo terzogenito: perciocché Galeazzo primogenito aveva Susanna figliuola di Lodovico marchese di Mantova. Fece lega col re di Francia ed ebbe il dominio della città di Genova, ma poi a’ otto di marzo del 1466, morì di morte subitana, essendo in età di 65 anni, e avendone regnati 16 e 11 giorni, perciocché fu creato duca ai 26 di febbrajo e coronato il giorno dell’Annunciata ai 25 di marzo del 1450.
Questo principe salì per tutti i gradi al supremo della milizia; e fu liberale, eloquente, magnanimo e così valoroso nell’armi che se gli trovano pochi pari. Fu tanto stimato e riverito che fino i nemici, gettate l’armi a terra e col capo scoperto riverentemente lo salutarono, reputandosi fortunato colui che avesse potuto baciargli la mano3. Ministrò l’imperio suo con singolar giustizia, temperanza, clemenza e umanità popolare, in modo che se per lo terror dell’armi era formidabile a’ nemici, per la bontà della sua vita era ottimo fra tutti i principi di quel tempo. Era di onorata presenza di vita, con bel volto e pieno di grazia e di maestà. Non ebbe lettere, ma in ogni azione o civile o militare parlava con tanta eloquenza, che l’avresti reputato perfetto oratore, pieno di prudenza e di giudizio. Conservava nondimeno la riputazion delle lettere e perciò da Giovanni Simonetta istorico celebre e dal Filelfo poeta famoso fece scrivere i suoi fatti. Restarono di lui sei figliuoli maschi e due femmine, e di questi il primogenito successe nel ducato, come poco appresso m’apparecchio a dire. Il suo corpo con pompa solenne e con esequie reali fu portato alla chiesa di Maria Vergine (Duomo) in Milano e quivi fu sepolto4. Vedi il Filelfo e il Corio.
Note
- ↑ Francesco Sforza Brasi ammogliato prima con Polissena Ruffo di Calabria, vedova di Jacopo Marilly, gran Siniscalco di Napoli, sorella di Covella, duchessa di Sessa, celebre pe’ suoi intrighi alla corte di Giovanna 11. Morì nel 1420 in Calabria, e credesi di veleno, dopo due anni di matrimonio.
- ↑ Ecco in qual modo Francesco s’impossessò di quei luoghi, per quanto ne dice Ercole Ricotti nella sua Storia dei capitani di ventura. Filippo Maria angustiato in una guerra infelice contro i Veneziani, sulla fama delle prime imprese chiamò lo Sforza a sé per opporlo al Carmagnola: Francesco gli domandò dopo qualche tempo licenza di portarsi nel regno di Napoli per ricuperarsi alcune terre, stategli occupate da Jacopo Caldora. Il duca glielo consentì. Allora Sforza pubblicò un bando col quale invitava tutti coloro che avessero dei crediti verso le sue soldatesche a porgergli i loro riclami. Come li ebbe soddisfatti, unì le sue alle genti di Lorenzo Attendolo, suo fratello; e s’avviò in tal modo verso Bologna. Un salvacondotto carpito dal pontefice sotto ombra di amicizia aperse al condottiero il cammino sino a Forlì (1433). Quivi riposò dieci dì, frattanto pervenivano a maturanza le ascose pratiche di ribellione da lui seminate nelle città attorno. Ad un tratto esse scoppiarono. Scopresi egli allora inopinatamente per nemico, e sfoderando certa lettera vera o supposta del Concilio di Basilea, dove gli viene commesso d’impadronirsi di quella provincia, occupa a guisa di fulmine Jesi, Potenza, Monteolmo, Recanati, Ascoli, Fermo ed Ancona. A questi danni congiunge anche temerariamente lo scherno; avvegnaché intitolava i suoi dispacci dal castel nostro di Fermo a dispetto di Pietro e Paolo. Giubilò il duca Filippo Maria al ricevere queste nuove, che secondo gli occulti concerti collo Sforza, ogni nuovo acquisto dovea essere fatto a suo nome, e lo illudeva la vana presunzione delle signorie di pretendere fedeltà da chi è loro strumento per ingannare altrui. Ma chi aveva mancato di fede al papa per conseguire, non dubitò di mancarne al duca di Milano per conservare. Quando i cittadini di Osimo si presentarono al cospetto di Francesco Sforza, e si proferirono pronti a concedersi in obbedienza al duca Filippo Maria Non fa qui mestieri né di duca né di Milano, rispose ad essi, io solo vi ho vinti: che io solo vi acquisti! Se vi annoja obbedire a me, tornatevene pure addietro; vi otterrò per forza.
Papa Eugenio, che non lo volea per nemico, gli concesse in Vicariato tutta la Marca Anconitana, indi lo creò gonfaloniere della Chiesa. Francesco ricuperò allora Bologna e debellò i nemici del Papa, il quale lo accolse trionfalmente in Firenze. Nel 1437 fu generale dei Fiorentini e dei Veneziani nella guerra occasionata dalla caduta della famiglia degli Albizzi, ed al principio dell’esaltazione dei Medici contro il duca di Milano Filippo Maria. Mentre poneva in fuga Niccolò Piccinino, generale dei Veneti, e s’inoltrava verso Milano, il duca gli assicurò le nozze di Bianca, ch’ebbero luogo, come dice il Barbuò, nel 1441, epoca in cui i Visconti ed i Veneziani stabilirono la così detta pace di Martinengo. Indi a non molto Filippo dimenticatosi dei servigi di Francesco, gli suscitò contro dei nemici e gli fece assaltare le sue terre della Marca dalle forze di Alfonso di Napoli, di Eugenio IV e dei Veneziani. Ma tanta fu la bravura di Francesco nel condurre le truppe, nel regolare gli accampamenti e nel muovere le battaglie, che poté fino al 1447 mantenersi ne’ suoi dominj. - ↑ La riputazione dello Sforza era tale, che venendo attaccato un drappello de’ suoi, ch’egli avea postato a Monte Barro, vi giunse il conte Francesco nel punto in cui i nemici vincevano pienamente: al solo avviso dell’inaspettata sua presenza, si posero in fuga i vincitori; anzi inoltrandosi egli incontanente ad inseguirli, si trovò come attorniato e preso da essi; ma invece di farlo prigioniero, i nemici deposero le armi e scopertisi il capo, riverentemente lo salutarono, e ognuno si chiamava felice, se gli poteva toccare o una mano o le vesti, perché lo riputavano a detta del Corio, padre della milizia, e ornamento di quella. Quando suo padre Sforza Attendolo guerreggiava negli Abruzzi, avea affidato a Francesco un corpo. Mentre battagliavano i due partiti Angioino e Aragonese, si formò una trama segreta fra i soldati sottoposti a Francesco Sforza, e improvvisamente una gran parte di essi tradì la fede, e abbandonando il giovine Francesco, passò al nemico. Egli allora coi pochi rimastigli fedeli si ricoverò in luogo murato. Appena ottenuto dal padre nuovo soccorso, si scagliò contro i nemici, e fece prigionieri tutti i traditori. Ne spedì la novella all’Attendolo, chiedendo i suoi comandi sul trattamento da farsi a quei prigionieri. Sforza gli mandò in comando di appiccarli. Ricevendo una tale risposta Francesco rimase in forse, dappoi interpellò il messaggiero: Dimmi, con quale aspetto parlò mio padre, che t’incaricò di quest’ordine? Il messaggiero rispose ch’egli era assai incollerito. Non lo comanda dunque mio padre, disse Francesco. Questo è l’impeto di un uomo sdegnato, e mio Padre è ora già pentito di aver detto così. Indi fatti condurre alla sua presenza i prigionieri: Poiché mio padre, diss’egli, vi perdona, io pure vi perdono. Siete liberi. Se volete restare al nostro stipendio, vi accetto come prima; se volete partire, fatelo. La sorpresa di quei soldati che si aspettavano il supplizio fu tale, che lagrimando e singhiozzando giurarono fede eterna all’armi sforzesche.
- ↑ Il duca Francesco Sforza frammezzo a’ pensieri militari, non dimenticò Milano: abbellì e ristorò il palazzo ducale, riedificò il castello, di cui porzione vedesi tuttora; intraprese e condusse a fine la fabbrica dell’ospedale maggiore, chiamandovi ad architetto il celebre Filarete. Intraprese pure e condusse a termine la grand’opera del canale della Martesana, dietro i consigli dell’ingegnere Bettola da Novate; eresse la chiesa e il convento dell’Incoronata, ed altri abbellimenti ed istituzioni, che si possono vedere nella descrizione di Milano del Lattuada. Francesco Sforza ebbe nove figli: sei maschi e tre femmine. Ascanio, che fu poi cardinale. Galeazzo, che successe nel ducato Ottaviano, che morì nel passar l’Adda; Lodovico il Moro (di cui si vedrà in seguito la vita); Filippo Maria, che morì pacifico nel suo ducato di Bari nel 1492 e Sforza Maria, che morì, dicesi, di veleno nel 1479. Le figlie erano: Elisabetta, maritata con Guglielmo, march. di Monferrato, morta nel 1496; Ippolita, che fu educata da Giovanni Lascaris, donna amante delle lettere e protettrice dei letterati, e data in isposa ad Alfonso II d’Aragona, re di Napoli, nella qual città morì nel 1484; Polissena che morì in tenerissima età nel 1420: questa sola non era figlia di Bianca.