Sommario della storia d'Italia/1516

1516

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1516. Lo Imperatore adunque, avendo avuti danari da Inghilterra, venne in Italia nel principio della primavera dell’anno MDXVI, e menò circa quindicimila Lanzichenecchi, ed altrettanti Svizzeri pagati pure dal re d’Inghilterra. Francesco, quando partì da Milano, vi lasciò Governatore il duca di Borbone: e sendogli dipoi riferito che detto Duca non avea sincero animo verso di lui, vi mandò Luogotenente Odetto di Foes1, chiamato monsignor d’Utrech, uomo esercitato assai in guerra e ardito cavaliere; e vi provvide di fanti, e, intra gli altri, di dicecimila Svizzeri di quelli Cantoni, che erano d’accordo seco; e mandovvi più gentiluomini della sua corte. Nondimeno i Franzesi non confidorono tenere la campagna nè li passi de’ fiumi, e sempre si ritirorono in modo, che lo Imperatore condusse il suo esercito presso a Milano tre miglia: e li capitani Franzesi, che vi erano ridotti dentro, consultavono già tra loro, se era da abbandnare Milano, e ridursi a guardare le terre di qua da Po. Lo Imperatore, come intese che il Re avea diecimila Svizzeri in Milano, prese diffidenza di quelli avea in campo; e ricordandosi quanto facilmente i Svizzeri sono usi a essere corrotti da’ Franzesi, gli entrò sospetto non lo dessino prigione, come già altra volta avevano dato il Moro; e, secondo il suo costume, dette volta indietro; nè lo potette mai persuadere Galeazzo Visconti, nobile milanese, che avea avuto il carico di condurre i Svizzeri a non dubitare di loro. E la prima ritirata fece a Lodi, dove venne Prospero Colonna, quale era stato pregione in Francia più mesi; ed avendo pagato parte della taglia, era suto libero dal Re con certe condizioni: e confortò Massimiliano a non desistere dalla impresa, mostrandogli quanto la Francia fosse esausta di danari, e con quanta debolezza i Franzesi erano in Milano, dove era stato qualche giorno. Ma non fece frutto alcuno, nè fu possibile che a passo a passo non si ritirasse in Alemagna, lasciata ancora con poco presidio Brescia, la quale intra pochi giorni s’accordò co’ Franzesi, e loro la rendorono ai Veneziani. Seguirono poi li Franzesi di andare verso Verona, con intenzione di sforzarla, sì per osservare i capitoli a’ Veneziani, sì ancora perchè allo Imperatore non restasse questo piede in Italia, donde spesso potessi fare insulto allo stato di Milano.

Il Papa, poi che lo Imperatore se ne fu tornato in Alemagna, pensò di vendicarsi della ingiuria gli avea fatto il duca d’Urbino nella passata del re di Francia, e di torgli lo stato. E benchè la Duchessa vecchia2, quale era suta moglie di Guido Baldo, andasse a Roma, e raccomandasse al Papa la nipote3, moglie di Francesco Maria, e destramente gli riducesse a memoria li obblighi avea con suo marito; non potè fare effetto alcuno; e tanto meno potette operare, perchè era di pochi giorni innanti morto Giuliano fratello del Papa, dopo che era suto malato dieci mesi; il quale avea grande affezione e reverenzia alla sopradetta Duchessa, per essere stato, quando era in bassa fortuna, assai onorato da lei e dal marito. Di questo si può dire che fusse veramente buono uomo, alieno dal sangue e da ogni vizio; e si può chiamare non liberale, ma prodigo, perchè donava e spendeva sanza considerazione alcuna donde dovessino uscire i danari. Dilettavasi avere appresso di sè molti uomini ingegnosi, ed ogni cosa nuova voleva provare: pittori, scultori, architettori, alchimisti, inventori di miniere, erano condotti da lui con tanto stipendio, quanto non era possibile pagassi. Morì in Firenze, e furono celebrate le esequie sue con pompa grandissima.

Volle Leone che Lorenzo facesse la impresa d’Urbino, ancora che lui la facessi contro a sua voglia; perchè conosceva che, come quello stato era facile a pigliare, così era facilissimo a perdere. Ma il Papa diceva, che se non privava il Duca dello stato (il quale si era condotto con lui, e preso danari, e in su l’ardore della guerra era convenuto con li inimici, nè pensato che era suo suddito, nè altro), che non sarebbe sì piccolo Barone che non ardisse di fare il medesimo e peggio: e che avendo trovato il Pontificato in riputazione, lo voleva mantenere. Ed infatto, volendo vivere i Pontefici, come sono vivuti da molte decine di anni in qua, il Papa non poteva lasciare il delitto del Duca impunito. Non durò Lorenzo molta fatica, nè consumò molto tempo in spogliare Francesco Maria di tutto lo stato di Urbino, ed in ultimo gli tolse Pesaro e le fortezze; e in pochi mesi la terra e fortezza di San Leo, che è tenuta cosa inespugnabile; pur con ingegno fu presa. Nè mi estenderò a dire il modo particolare, perchè ancora che questo luogo abbi gran fama, non merita però se ne parli a lungo. Francesco Maria con la moglie e figli si ridusse a Mantoa, al marchese Francesco suo suocero4.

Come lo Imperatore fu partito dello stato di Milano, Carlo di Borbone si ritornò in Francia: nè li parve che gli fusse saputo da Francesco quel grado di avere in tanto pericolo conservato lo stato di Milano, che gli pareva meritare. Rimase Governatore della ducea di Milano il Luogotenente del re di Francia in Italia, Odetto di Foes; il quale, presa che fu Brescia, attese insieme con lo esercito Veneto, che avea per capitano Teodoro Triulzio, a seguitare la impresa contro Verona, per tòrla allo Imperatore, dove era a guardia Marcantonio Colonna, uomo, e per esperienza e per ogni altra qualità, eccellentissimo nell’arme. Restò (come io dissi di sopra) erede di tutto lo stato che tenea Ferrando d’Aragona, Carlo d’Austria suo nipote, al quale molti anni innanzi era suta promessa da Luigi XII di Francia Renea sua figliuola, in certo accordo che detto Luigi avea fatto con Ferrando, del quale s’era poi mancato, e per l’una parte e per l’altra, in molte cose; e però pareva necessario, che tra Carlo e Francesco re di Francia, se avevano a stare in pace, si venisse a nuova composizione. E per questo Artù di Buissì5, Gran Maestro di Francia, in cui il Re avea tutta la fede sua, andò a Nojon, nè confini di Piccardia, dove venne monsignor di Ceures6, il quale avea governato e governava Carlo pacificamente. E dopo molte dispute, venneno a nuove convenzioni, e disfeciono il mariaggio, fatto prima, di Renea; allegando che ella era di troppa età: e Carlo promise pigliare Luisa, figliuola di Francesco, che aveva due anni; ed insino non consumava il matrimonio, dare ciascun anno a Francesco scudi centomila per conto del Regno di Napoli; la metà del quale s’intendesse appartenesse a Francesco, come in due atre capitolazioni fatte tra Luigi e Ferrando si mostrava; e che avesse a essere la dota di detta Luisa. E così fermorono lega, amicizia e parentado. E perchè il verno si approssimava, che renderebbe la espugnazione di Verona più difficile (massime che a difesa di quella erono concorsi quasi tutti li Spagnuoli che erono soliti stare nel Regno di Napoli, uomini cappati e usi a fare la guerra con pochi danari e con pochi viveri); però monsignore di Ceures, che giudicava che fusse a proposito che il padrone suo stesse in pace, e non spendesse per lo Imperatore, e sappiendo che lui non avea modo di mandarvi nuovi uomini, nè di dare danari a quelli che vi erano; cominciò a trattare con Massimiliano, che lui la lasciasse pigliare a’ Veneziani, a’ quali non la liberasse nè concedesse, ma in un certo modo chiudesse gli occhi e ne cavasse le genti, acciò loro la potessino pigliare, ed avesse da loro certa somma di danari, e s’intendesse tra lui e Veneziani fatta tregua per tre anni. E dopo molti uomini che andarono attorno, e dopo molte proposte e risposte, si fermò la convenzione nel modo sopradetto: e li Veneziani riebbero Verona, da loro tanto desiderata; donde uscirono circa cinquemila spagnuoli, i quali, secondo i capitoli, avevono a potere andare sicuri nel Reame.

Leone, come Lorenzo ebbe preso il ducato di Urbino, volle dargliene titolo; ed in Consistorio lo fece eleggere Duca. Avendo avanti facessi la impresa, privato nel medesimo modo Francesco Maria, Lorenzo per niente non arebbe potuto tale titolo di Ducato, perchè conosceva che i popoli amano i Principi, quando ne traggono profitto, e che tre Duchi che vi erano stati prima, avevono avuto i popoli affezionati; perchè, avendo soldi grossi da questo Principe e quell’altro, mettevono del continuo nello stato danari, e non ne traevano; edificavano, facevano cultivare, stavano in sul luogo, e pascevano molti uomini con pensioni e soldi, come fanno le corti. Ma lui, che non era per potere per stare in quello stato, e che era forzato trarne le imposizioni ordinarie per il soldo de’ Governatori ed altri officiali, bargelli, guardie di rocche e simil cose; ed essendo il paese povero, ed i popoli inclinai a’ Signori vecchi, o Francesco Maria vivo; vedeva che ogni piccolo tumulto gli faceva perdere quello stato, e che da una perdita ne potrebbono seguire dell’altre. Ricusò quanto potette; ma come poteva egli opporsi al zio Papa, ed alla madre che non restava di incitarlo ed a sollecitarlo a diventare Duca? Francesco Maria, in questo tempo che durò la guerra a Verona, sendo rifuggito a Mantoa, prese stretta familiarità con Utrech, con l’aiuto di Federigo Gonzaga, signore di Bozzolo, il quale si teneva offeso dal Papa e cercava occasione di vendicarsi. Questi due, ed insieme e di per sè, instilorono negli orecchi di Odetto, che Francesco avea potuto cognoscere la fede del Papa, nella venuta dello Imperatore a Milano; e che questo era uno potente Papa, perchè, oltre allo stato della Chiesa, avea quello di Firenze, e nuovamente disponeva di Siena, donde pochi mesi innanzi era stato per opera sua cacciato Borghese Petrucci, che governava quello Stato, e messo in suo luogo Raffaello, pure Petrucci, vescovo di Massa, il quale dependea tutto da lui, ed era nutrito sempre seco; e nel principio del Pontificato lo avea fatto castellano di Castello Sant’Angelo, che si da a’ più confidenti amici e servitori che il Papa abbia; e che non era da lasciarlo fermare in modo, che potesse congregare danari, perchè se ne congregasse, piglierebbe animo di volere cacciare e Francesco del ducato di Milano, e Carlo del Regno di Napoli: e che si volea molestarlo subito, innanzi che morissino alcuni Cardinali vecchi, che l’odiavono, e prima che potesse fare Collegio da poterne disporre; e che, sanza che Francesco si scoprisse, pure che chiudesse gli occhi, pensavano con poca fatica in pochi giorni poterlo condurre in tanti travagli, che arebbe a ricorrere a Francesco, e gittarsi tutto nelle braccia sue: e che egli gli potrebbe fare rendere lo stato di Urbino, e restituire Reggio e Modona, e farlo lasciare il governo di Firenze, e mutare quello di Siena: ed in effetto lo ridurrebbe uno Papa da farne più presto a modo suo, che da temerlo. Utrech, parendogli che nella venuta dello Imperatore il Papa non si fusse portato come dovea; ed avendo in odio, per l’ordinario, tutti gl’Italiani, e massime li preti, porse gli orecchi a queste parole, e gustò le ragioni, e lasciò che Francesco Maria e Federigo ragunassino i fanti spagnuoli, che uscirono di Verona, e degli altri Italiani, e del campo suo quelli che vollono essere con loro; in modo che feciono assai buono eseorcito. Se Odetto fece questo o permesse con volontà del Re o no, io non ardirei scrivere; perchè Francesco affermava non ne avere inteso cosa alcuna, ed io non posso, non debbo, non voglio non prestare fede alle parole di un tanto Re. Vennono dunque Federigo e Francesco Maria con detto esercito in Ferrarese, e quivi con qualche favore del Duca passarono il Po, ed erono già in Romagna, quando a Roma se ne ebbe notizia vera.

Il Papa pensava a ogni altra cosa che guerra; ed era tanto possibile che egli tenesse mai mille ducati insieme, quanto è possibile che una pietra vada in alto da per sè. Lorenzo era a Roma, malato di doglie che lo tormentavano grandemente. I condottieri del Papa erano poco satisfatti da lui, perchè non dava loro danari come arebbono voluto; e loro eran disordinati, perchè tutti volevano imitarlo nello spendere. Comincia ad accettare danaro (che è cosa che toglie la riputazione al Principe) nel principio della guerra; solda con essi fanti, danne alli condottieri di genti d’armi. Lorenzo corre così malato in Romagna in poste, dove vanno subito Renzo da Ceri, Guido Rangoni e Vitello Vitelli. Ma non fu possibile vi conducessino sì presto tante genti, da potere ritenere che Francesco Maria non entrasse nello stato d’Urbino. Disputossi tra detti condottieri del Papa, come era da governare questa terra. Lorenzo diceva, che in questo principio il Papa aveva pochi danari, e che il migliore partito potesse pigliare era di soldare quattromila fanti, e dividerli per le bone terre dello stato di Urbino, e guardarle bene, con levarne ancora gli uomini sospetti; e che la stagione non pativa, sendo nel mese di febbrajo, voluto che li quattromila fanti soldati a Milano dall’uomo suo, venissino in suo favore; sì perchè con difficultà potea fare tale spesa; sì perchè dubitava non lo ingannassino. Ma Utrech diceva, che sendo restati in Italia a instanzia del Papa, se non gli venivono in favore, gli verrebono contro; e che egli non li potrebbe ritenere. Mandò ancora detto Utrech dugento lance, delle quattrocento gli commise il Re, in favore del Papa; le quali avevono capi Italiani, affezionati a Francesco Maria.

Leone trovandosi in una guerra tanto pericolosa, e giudicando che Francesco e Carlo gli avessino tesa questa rete a dosso per batterlo, pensava a tutti i rimedi possibili per liberarsene; ma si trovava in troppa scarsità di danari, e massime perchè la opinione di Renzo prevalse appresso al Papa di fare esercito grosso; e condusse gran numero di fanti guasconi, svizzeri, spagnuoli, tedeschi e italiani: e non potea ragunare tanti danari da potere dare loro una paga a un tratto; e quando avea pagato Guasconi e Italiani, mancavano danari pe’ Svizzeri; quando avea pagati i Svizzeri, mancavono per li altri. Aveva questa guerra un’altra difficultà: che il paese dove la si maneggiava, era tutto dedito a Francesco Maria; in modo che l’esercito del Papa pativa assai di vettovaglie. Per questo, adunque, e per poter fare qualche progresso, trovandosi Francesco Maria con il suo esercito fra Pesaro e Urbino, a un castello chiamato Montebaroccio7, posto in un colle molto rilevato ed assai forte di sito, non si poteva per tal via passare a Urbino, e di quivi, per la natura del luogo, si poteva malagevolmente per forza levare. E però, essendo Lorenzo in Pesaro con le genti d’arme, ed avendo le fanterie a Nugolera e Candelora, fu deliberato passare con l’esercito nel Vicariato di là dal Metro, per tòrre le vettovaglie agli inimici, che di tal luogo ne avevano gran copia; ed ancora per potere poi pigliare Fossombrone, ed entrare per quella via nello stato d’Urbino. Partitosi adunque Lorenzo con le genti d’arme di Pesaro, si congiunse con le fanterie in sul fiume del Metro; il quale passato, andorono per pigliare Sorbolungo. Nè furono a tempo, perchè gl’inimici accortisi del disegno di Lorenzo, n’andorno con prestezza a Fossombrone, dove per il ponte passorono il Metro, e furno a detto castello innanzi le genti di Lorenzo: e così si passò tutto quel giorno con varie scaramuccie. La notte seguente fu consultato per li capitani della Chiesa, ch’e’ fusse bene ripassare il Metro e andare a occupare Montebaroccio, donde prima gl’inimici s’eron partiti; e così innanzi giorno, ritornando indietro, feciono. Gl’inimici avendo subito inteso che il campo se ne tornava come in rotta, gli vollono tagliare il cammino, e seguire chi fuggiva. L’esercito della Chiesa prese il cammino più lungo che non pensorno gli inimici; in modo che, passato il Metro, e rivoltandosi per la via verso Montebaroccio, gl’inimici s’accorsono del tratto, e cognobbono essere a mal partito; sicchè, lasciate le bagaglie, si messono a passare il Metro a nuoto, per pigliare un passo d’un fossone naturale ch’era nel piano, donde s’andava a detto castello; e si messono quasi correndo. Allora Lorenzo volle dar drento, chè era tempo, e senza dubbio gl’inimici eron malcondotti, se gli Capitani, cioè Renzo, Vitello e Giampagolo (sopra i quali il Papa aveva posata la guerra) avessin fatto quello che era lor debito: i quali, come prima sempre nelle consulte apertamente dissuadevono il combattere; così allora astutamente in sul fatto lo impedirno; perchè Renzo con le fanterie si volse verso le montagne; Giampagolo, dove aveva a essere la vanguardia, tardò tanto ch’ei si trovò l’ultimo; Vitello ancor egli andò schifando il fatto d’arme; in modo che Lorenzo si trovò solo con la sua banda, e così gli inimici furono prima a quel fossone, che quelli del Papa. E fattisi quivi forti, senza difficultà n’andarono a Montebaroccio, loro alloggiamento vecchio: talchè si perse quella occasione di combattere, che Lorenzo molto desiderava; perchè egli aveva fermo nell’animo di tentare una volta la fortuna della zuffa, e venire alla giornata; e seguisse poi come volesse. Le genti della Chiesa per tal disordine si trovorno a un castello chiamato Saltera, posto sotto il colle dove è Montebaroccio, assai signoreggiato dal sito, dove alloggiava Francesco Maria; e quivi con danno e vergogna si stette otto giorni. Lorenzo, in questo mezzo, avendo conosciuta l’arte de’ condottieri, mandò Benedetto Buondelmonti a fare intendere a Leone quello era seguito; e che essendo suo Luogotenente in nome, voleva essere ancora in fatto; e che era bene contento pigliare consiglio con i condottieri, ma voleva poi deliberare da se medesimo; e che altrimenti non voleva stare in campo, perchè vi starebbe con troppo suo vituperio. E volendo intanto ripigliare Mondolfo, castello del Vicariato, perchè vi erano molti viveri; e facendo, nel pigliarlo, l’officio del Capitano e soldato, fu ferito di uno scoppietto nella testa, e fu costretto lasciarsi portare per mare in Ancona a curarsi, perchè la ferita fu molto pericolosa.

Il campo del Papa restò allora in tanto pericolo e disdetta, che, sempre che alcuno di quello si scontrava, o per arte o a caso, con li avversarii, ne andava col peggio. I condottieri erano divisi tra loro; i fanti non ubbidivano a nessuno, ed attendevono solo a rubare li amici, e farsi pagare; ed essendo di tante nazioni, spesso combattevano intra loro. Leone avendo notizia di questi disordini, si volse a mandarvi Legato il cardinale di Bibbiena, uomo molto destro nelle azioni del mondo, ma della guerra al tutto inesperto; e però in campo non condusse seco riputazione; pure lo riordinò alquanto, ma non di qualità che li inimici non pigliassino animo a uscire dello stato di Urbino, e andare verso Perugia. E sendo stati certi di intorno a quella, Giampaulo con accordo li fece partire; perchè provvidde che li Perugini dettono a Francesco Maria scudi seimila, il quale ritirato con li suoi, si voltò verso Anghiari ed il Borgo, terre de’ Fiorentini, dove trovò maggiore difficultà, che nelle terre della Chiesa; ed il Borgo, ancora che avesse le mura deboli, e vi fusse una parte che aderisse a Francesco Maria, nondimeno, per diligenzia ed animo di Luigi Guicciardini, che v’era commissario pe’ Fiorentini, si salvò.

Lorenzo, dopo che fu stato malato tre mesi in Ancona, per la diligenzia de’ medici fu libero, e tornato prima in Firenze, e poi andato verso il Borgo; ridusse in modo le genti sue, che li nimici cominciarono a temere. Accadde ancora, che Carlo e Francesco, come Principi grandi, non stavano senza sospetto l’uno dell’altro, e ciascuno di loro dubitava che Leone non tirasse l’altro alla volontà sua: e però ognuno di loro pensò essere il primo a levargli la guerra da dosso. E Carlo mandò in campo di Francesco Maria, don Ugo Moncada8; e Francesco mandò a Roma monsignor dell’Escù, fratello d’Utrech, e don Ugo praticò con li fanti spagnuoli, che erono con Francesco Maria; e l’Escù fece tenere pratica co’ Guasconi ed altri Franzesi che erono in quel campo. E finalmente, con certi danari che il Papa promisse all’una nazione ed all’altra, si venne a composizione, nella quale si dispose, che Francesco Maria lasciasse libero il ducato d’Urbino, e se ne potesse tornare sicuro a Mantoa; e seguiti questi effetti, ebbe fine una guerra che dette al Papa grandissimo travaglio e spesa, quale non si crederebbe.

E non ebbe solo Leone la guerra fuora, ma ancora in Roma, perchè scoperse una congiura di tre Cardinali, San Giorgio, Petrucci e Sauli, quali operavano levarlo di terra con veneno; e ritenuti in Castello, ed esaminati, confessorono che lo sapevano due altri Cardinali, Volterra e Adriano. Volterra in Consistorio non si scusò in tutto, nè accusò; ma subito che uscì di Palazzo, se ne andò a Fondi. Adriano, ancora lui, benchè il Papa gli volesse perdonare, si partì; e l’uno e l’altro di loro pagò certa somma di danari assai. Sauli, messo in carcere; dove in pochi mesi, per tedio o dolore, morì. Petrucci, deposto o incarcerato; e fu openione che in pochi giorni per forza fusse fatto morire.

Il Papa, dopo questo, cercò di fare una buona e solida amicizia con Francesco re di Francia; ed acciocchè tutto quello che era successo tra loro per il passato; si mettesse in oblivione, fece praticare che Lorenzo togliesse moglie in Francia; e si concinse il parentado per Francesco Vettori, che era oratore pe’ Fiorentini appresso il Re, di Maddalena9 figiuola del conte Giovanni d’Alvernia10, che era della stirpe di quello Gottifredi Buglioni che fece tante prove oltre al mare; e la sorella11 era maritata al duca d’Albania; ed erono due sorelle erede, che avevono, intra loro due, scudi diecimila d’entrata per anno; e Francesco aggiunse in dote a Lorenzo la Ducea di Lavaux, che volle fusse d’entrata di scudi cinquemila. Fermo lo sponsalizio, sendo nato al Re il primo suo figlio maschio a’ di xviii di febbrajo MDXVII, Francesco ricercò il Papa che fussi suo compare, e mandassi Lorenzo a tenere il figlio al battesimo, e a fare le nozze.


Note

  1. Odet de Foix (1485 - 1528), fu un condottiero francese, nominato Maresciallo di Francia dal 1511. Vinse alla battaglia di Marignano al fianco di Bartolomeo d’Alviano nel 1515. Fu presente in tutte le campagne che videro le armate francesi di Francesco I di Francia contro quelle di Carlo V d’Asburgo. Morì durante l’assedio di Napoli nel 1528 per una epidemia da lui stesso causata per la rottura di uno degli acquedotti più importanti della città.N.d.C.
  2. Elisabetta Gonzaga da Montefeltro (1471 - 1526), quartogenita di Federico Gonzaga, fu data in sposa a Guidobaldo da Montefeltro. Nel 1504 Guidobaldo adotta suo nipote Francesco Maria, che gli succederà tre anni dopo al titolo di Duca di Urbino. Nonostante la missione di cui parla il Vettori per ricucire lo strappo tra suo nipote e il Papa Leone X, Elisabetta Gonzaga fu costretta ad abbandonare Urbino nel 1516 e a rifugiarsi a Mantova. N.d.C.
  3. Eleonora Gonzaga della Rovere (1493 - 1550), figlia di Francesco II Gonzaga signore di Mantova. Nel 1505, ancora dodicenne, fu data sposa per procura a Francesco Maria I della Rovere, signore di Urbino, al quale fu data di fatto in moglie solo nel 1509. Nel 1516 tornò in esilio a Mantova a seguito della confisca del Ducato di Urbino da parte di Lorenzo de Medici per volere di Leone X. Potè fare ritorno ad Urbino solo alla morte di quest’ultimo nel 1521. N.d.C.
  4. Francesco II Gonzaga (1466 - 1519), signore di Mantova e grande condottiero, fu al servizio prima della Repubblica di Venezia dal 1489 al 1498, accusato però di aver favorito la fuga del re francese Carlo VIII si allontanò dai veneziani e passò al servizio della Lega di Cambrai, avversaria di Venezia. Fatto prigioniero dalle armate della Serenissima subì pesanti umiliazioni durante il suo periodo di prigionia durato circa un anno. Fu liberato grazie all’intervento di Giulio II che però chiese in pegno come ostaggio il figlioletto Federico, che visse alla corte del papa. Dopo il suo rilascio, stanco e malato, mise da parte le armi per dedicarsi alla diplomazia in favore del suo piccolo stato fino alla sua morte.
  5. Artus Gouffier (1475 - 1520), signore di Boisy, educatore di Francesco I, il quale lo nominò Gran Maestro di Francia al momento della sua ascesa al trono. Ebbe grande influenza sul sovrano il quale gli affidò il delicato incarico diplomatico di negoziatore al Trattato di Noyon del 1516, che aveva lo scopo di porre fine alle ostilità tra Francesco I e Carlo V. N.d.C.
  6. Guillaume de Croy (1458 - 1521), arcivescovo e cardinale francese e signore di Chièvres, ricoprì il ruolo di Primo Ciambellano alla corte di Carlo V che cercò sempre di dissuadere dall’intraprendere la guerra con la Francia. N.d.C.
  7. L’attuale cittadina di Mombaroccio. N.d.C.
  8. Hugo de Moncada (1466 - 1528) era un politico e condottiero militare spagnolo, di nobili origini, discendeva dai duchi di Bavaria, fu Vicerè di Napoli dal 1527 al 1528. N.d.C.
  9. Madeleine de la Tour d’Auvergne (1495 - 1519), sposò Lorenzo de Medici nel Castello di Amboise il 15 maggio 1518, morì con suo marito di peste non prima di dare alla luce, Maria de Medici, futura sovrana di Francia. N.d.C.
  10. Jean III, Conte d’Auvergne de La Tour (1467 - 1501) fu l’ultimo esponente della nobile casata dei De La Tour D’Auvergne. N.d.C.
  11. Anna, Contessa de La Tour D’Auvergne (1501 - 1524), sorella maggiore di Madeleine, nel 1505 venne data in moglie a suo cugino, Giovanni Stuart, Duca di Albany e reggente al trono di Scozia. N.d.C.