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Volume I
Parte prima
Una difficile scelta morale

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Una difficile scelta morale

Una volta che il mio gruppo si fu sciolto, continuare come prima fu impossibile. Mi trovai di fronte a una difficile scelta morale.

La scelta facile sarebbe stata quella di unirsi al mondo del software proprietario, firmando accordi di non-diffusione e promettendo di non aiutare i miei compagni hacker. Con ogni probabilità avrei anche sviluppato software che sarebbe stato distribuito secondo accordi di non-diffusione, contribuendo così alla pressione su altri perché a loro volta tradissero i propri compagni.

In questo modo avrei potuto guadagnare, e forse mi sarei divertito a programmare. Ma sapevo che al termine della mia carriera mi sarei voltato a guardare indietro, avrei visto anni spesi a costruire muri per dividere le persone, e avrei compreso di aver contribuito a rendere il mondo peggiore.

Avevo già sperimentato cosa significasse un accordo di non-diffusione per chi lo firmava, quando qualcuno rifiutò a me e al laboratorio d’Intelligenza Artificiale del MIT il codice sorgente del programma di controllo della nostra stampante (l’assenza di alcune funzionalità nel programma rendeva oltremodo frustrante l’uso della stampante). Per cui non mi potevo dire che gli accordi di non-diffusione fossero innocenti. Ero molto arrabbiato quando quella persona si rifiutò di condividere il programma con noi; non potevo far finta di niente e fare lo stesso con tutti gli altri.

Un’altra possibile scelta, semplice ma spiacevole, sarebbe stata quella di abbandonare l’informatica. In tal modo le mie capacità non sarebbero state mal utilizzate, tuttavia sarebbero state sprecate. Non sarei mai stato colpevole di dividere o imporre restrizioni agli utenti di calcolatori, ma queste cose sarebbero comunque successe.

Allora cercai un modo in cui un programmatore potesse fare qualcosa di buono. Mi chiesi dunque: c’erano un programma o dei programmi che io potessi scrivere, per rendere nuovamente possibile l’esistenza di una comunità?

La risposta era semplice: innanzitutto serviva un sistema operativo. Questo è difatti il software fondamentale per iniziare a usare un computer. Con un sistema operativo si possono fare molte cose; senza, non è proprio possibile far funzionare il computer. Con un sistema operativo libero avremmo potuto avere nuovamente una comunità in cui hacker possono cooperare e invitare chiunque a unirsi al gruppo. E chiunque sarebbe stato in grado di usare un calcolatore, senza dover cospirare fin dall’inizio per sottrarre qualcosa ai propri amici.

Essendo un programmatore di sistemi, possedevo le competenze adeguate per questo lavoro. Così, anche se non davo il successo per scontato, mi resi conto di essere la persona giusta per farlo. Scelsi di rendere il sistema compatibile con Unix, in modo che fosse portabile, e che gli utenti Unix potessero passare facilmente a esso. Il nome GNU fu scelto secondo una tradizione hacker, come acronimo ricorsivo che significa "GNU’s Not Unix" [GNU non è Unix].

Un sistema operativo non si limita solo al suo nucleo, che è proprio il minimo per eseguire altri programmi. Negli anni ’70, qualsiasi sistema operativo degno di questo nome includeva interpreti di comandi, assemblatori, compilatori, interpreti di linguaggi, debugger, editor di testo, programmi per la posta e molto altro. ITS li aveva, Multics li aveva, VMS li aveva e Unix li aveva. Anche il sistema operativo GNU li avrebbe avuti.

Tempo dopo venni a conoscenza di questa massima, attribuita al sapiente ebraico Hillel:

Se non sono per me stesso, chi sarà per me?
E se sono solo per me stesso, che cosa sono?
E se non ora, quando?

La decisione di iniziare il progetto GNU si basò su uno spirito simile.

Essendo ateo, non seguo alcuna guida religiosa, ma a volte mi trovo ad ammirare qualcosa che qualcuno di loro ha detto.