Sermoni (Chiabrera)/XXX
Questo testo è completo. |
◄ | XXIX | Sermoni | ► |
XXX
AL SIG, PIER MARIA CARMINATI.
Allor che corre il Sol tra sesta e nona,
Io, seguendo mio stil, faccio ritorno
Al nostro non grandissimo Rïalto,
E quivi sento bucinarsi, e molti
5Far capannole e divulgar novelle
Nominando corrieri. Arde di sdegno
L’empio luteranismo di Sassogna,
E gonfia contro il ciel trombe d’inferno.
Ma d’Austria l’asta imperïal difende,
10Pur come suol, del Vaticano i pregi,
Incoronata d’ogni onor Famiglia.
Io, fatto schivo di pensier funesti,
Rivolgo il tergo, e lungo il mar tranquillo
Verso l’amata Legine m’invio,
15Erma mia stanza: qui risplende il cielo
Come zaffiro, e qui verdeggia l’erba
Come smeraldo, ed ogni fior d’aprile
Liberal d’ogni odor quivi sorride.
Io fatto lieto vagheggiava; ed ecco
20Muovere verso me gente di villa,
Fosca lo sguardo, e rimirando a terra,
Colla man destra percoteansi l’anca.
Oh dissi loro: Onde cotanto affanno?
Coraggio, amici; ed un rispose: Ah guai!
25Pur dianzi l’aspro suon de’ rei tamburi
E lo spavento della peste mise
Nel fondo d’ogni mal queste contrade,
Ed or per fame vegniam manco. Aratri
Miseramente logorati e marre,
30A che più state in nostra mano? E quivi
Trassegli in terra. Alla dolente vista
Cordoglio mi sorprese, e procacciai
Ragionando agli afflitti dar conforto;
Poi mossi ad appiattarmi entro d’un bosco
35Di quercie che fur spiche al secol d’oro.
Quivi in petto volgendo i dì presenti,
Io cantai meco del figliuol d’Isai
L’alte parole. Seco disse il folle:
È nulla del pensar che ci sia Dio;
40Quinci bramaro abbominevol opre
Guasti gli uomini affatto, e sulla terra
Che si volgesse al ben non fu pur uno.
Dall’altissimo campo delle stelle
Dio diede d’occhio, e rimirò s’alcuno
45Aveva senno, e si volgeva al cielo.
Travïossi ciascun dal dritto calle;
Indarno era lor vita, e sulla terra,
Che si volgesse al ben non fu pur uno.
Sì fatte note m’ingombraro il petto
50Di timore agghiacciato, e sulla fronte
Arricciommisi il crin per lo spavento,
Immantenente diventai di smalto.
Tal qui mi vivo, o Carminati, e voi,
Che fate in mezzo alla città di Giano,
55Mercato ampio di Europa, ove trascorre
Ad ora ad or la novelliera fama?
Che dipinge il Borzon, di cui le tele
Trïonfar sanno d’ogni tasca avara,
Tanto son vaghe a vagheggiar? Che detta
60Oggi il Cavalli mio, per cui s’arroge
Ligura Musa alle donzelle Argive,
Abitatrici delle rive Ascree?
Tu, dopo fatti i giusti prieghi a Dio,
E ben pagato a’ Banchi il suo tributo,
65Corona di Muran le terse coppe
Di Bacco Avignonese, e gli dia pregio
Candidissimo gel degli Appennini;
Poi brinda, ed indi col Toscan Poeta
Pensa, che questo di mai non raggiorna,