Sermoni (Chiabrera)/XVI
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FERDINANDO II.
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XVI
AL SERENISSIMO GRAN DUCA DI TOSCANA
FERDINANDO II.
Omai non lunge è la stagion, che sciolto
Sarà tuo braccio a maneggiar lo scettro,
Per cui t’elesse il gran Rettor del cielo;
Scettro non punto vil, ma che ti dona
5Il pieno arbitrio su’ bei campi d’Arno,
E che la tua fedel l’alma Firenze.
Nobil paese, ove Nemea non nudre
Folti boschi al ruggir d’aspri leoni,
Ove speco di Lerna in sen non chiude
10Le teste d’idra intisicate, ed ove
Non sgomenta co’ mostri alta chimera;
Ma per aperte piagge i solchi indora
Cerere bionda; ma su’ colli aprici
Coce ridendo Bacco auree vendemmie,
15E Minerva gli ulivi, e d’ogn’intorno
I cari pregi suoi spande Pomona.
Ne Febo indarno, e non indarno Marte
Va chiamando seguaci. Armate prore
Portano in Libia cavalier crociati
20All’orgoglio domar dempj tiranni.
E lungo l’Arno, come neve alpina
Candidissimi cigni alzano note,
Che dalle Mase son dettate in Pindo,
Sposando al canto le castalie cetre.
25Altero regno, e da bramarsi. O chiaro
POESIE E
Astro d’Italia, e per le sue speranze
De’ gran Medici nostri inclito germe.
Ma dassi a te, perchè pungendo il fianco
30Di Turco palafren cacci il cinghiale?
O l’animal delle ramose corna?
O perchè, sciolto il ghermitor falcone,
Per li campi dell’aria armi gli artigli
Contro l’acceggia? non si dà per certo,
35Ne tu tel credi: tu seguendo l’orme
De’ più famosi, con guerriere insegne
Devi forte atterrar nemici assalti;
E con fermo tenor d’aurei costumi
Crescer ghirlande a tua città. Non sorga
40Severo senno, ed il mio dir corregga,
Come ardito soverchio: io non straniero
Pongo oggi il piè nella tua nobil Reggia.
Già trenta volte il Sol rivolto ha l’anno,
Da che le logge io passeggiai di Pitti:
45Quivi mirommi Ferdinando, allora
Ch’ei diè l’alta Nipote al re Francese;
E quivi Cosmo rimirommi, quando
Venne l’eccelsa Donna, onor dell’Austria,
A lieto farlo di mirabil prole:
50Ne quivi disdegnò sentir miei carmi,
Che ornavano l’imprese, onde s’adorna
Livorno, i presi, e di catena avvinti
Ladroni, orror de’ Cristian nocchieri.
Ah Cosmo, ove sei gito? ove soggiorni?
55Innaspando tuo stame a mezzo il corso
Atropo si stancò; dunque lampeggia
Su bel cerchio di latte infra gli eroi.
Io col tuo successor farò parole:
Signor, cui vera fede e vero amore
60Mi stringono a vergar quest’umil foglio,
Che il forte Alcide in Gerion spegnesse
Tre fiate la vita, e ch’ei scoppiasse
Il figliuol della Terra, e ch’ei traesse
Cerbero fuor delle Tenarie foci,
65Non si dee creder no; creder si dee,
Ch’ei fren ponesse agli appetiti, e ch’egli
Domasse il rubellar de’ rei pensieri;
E schifo d’ozio in gloriosi affanni
Versasse dalla fronte ampj sudori,
70Sempre a conforto dell’uman lignaggio:
Poi le saggie donzelle del Permesso
Rabbelliro co’ rai del suo gran senno
I fatti egregj, acciò si fesser specchio
Con meraviglia alla ben nata gente;
75Perchè le note degli Aonii Numi
Altamente lusingano i mortali.
Di qui ben pronto il giovinetto Achille
Sprezzò l’amor della Reïna in Sciro,
Che addolciva con vezzi il cor feroce:
80Ne prima incominciò lo scaltro Ulisse
A lodar l’asta de’ guerrieri Argivi,
Ed il valor delle Dardanie spade,
Che nel figlio di Teti arse il desire
Del sanguinoso acciar: fonte d’argento
85Non così trasse a sè snelle cervette,
Come trasse Scamandro i piè d’Achille,
E non gli trasse in vano: ei per tal modo
Sul Xanto maneggiò l’armi materne.
Che l’altrui gloria lo sospinse a Troja,
90Ed ivi fessi glorioso in guisa,
Che ad opere di gloria oggi n’infiamma,
Sommo d’Eaco pregio: or tu non manco,
O giovinetto re, dèi prender norma
Da nomi per virtù fatti sublimi,
95E quinci sublimarti appo coloro,
Che rivolgendo gli anni udran tuo nome.
Non sono io solo a così bel consiglio
Darti, o Signor, ma lo ti dà quel Cosmo,
Già padre della patria: odi Lorenzo,
100Sul fior degli anni Italian Nestorre:
Attendi all’altro Cosmo, il cui fulgore
Non sa nebbia Letea come l’adombri:
E chi può non udir là dove chiama
L’infinito valor di Ferdinando?
105E dove chiama il terzo Cosmo? or credi
Tu, di cotanti Regi altero sangue,
Che le Sirene il canto hanno soave
Per affogarne al fin: bella virtude
Fanne sempre quaggiù scorta sicura,
110Poi ne conduce infra le stelle, ed ivi
D’ogni nostro desir la sete appaga
Con la dolcezza de’ nettarei fonti.