Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi/34

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- Sul piano strutturale l’atto quadro ha posto, come si accennava all’inizio, gravi problemi di inquadramento, giacché esso non pare perfettamente riconducibile a nessuno dei paradigmi contrattuali conosciuti. Sono state in proposito avanzate tesi diametralmente opposte, nel senso che da parte di taluni sarebbe stata ravvisabile non più che una manifestazione di intenti, non ancora vincolante , e da parte di altri un contratto atipico, avente una sua funzione economico-sociale correlata alla liquidazione dei beni . Limitando al massimo l’indagine, solo in parte rilevante in questa sede, e cercando di farsi largo tra le diverse impostazioni, pare difficile contestare, impregiudicatane la validità, il carattere immediatamente vincolante dell’atto quadro, in tal senso decisivamente deponendo la previsione di un prezzo globale e l’impegno al suo pagamento alle scadenze previste. Ben altri problemi pone l’espressa esclusione di qualsivoglia effetto traslativo e il differimento di quest’ultimo al momento della stipula dei contratti riguardanti i singoli beni. Sotto tale profilo si determina un risultato assai simile a quello del contratto preliminare, assumendosi da parte del venditore l’impegno a cedere. Ma la vendita in questo caso riguarda un coacervo di beni eterogenei e non è previsto il corrispettivo di ciascuna cessione, bensì solo quello complessivo.

Manca d’altro canto un criterio oggettivo per la determinazione di ciascun prezzo ed incerti risultano pure i tempi per l’attuazione dei trasferimenti.

Pur disciplinandovisi futuri contratti, non può dirsi neppure che l’atto quadro si attagli allo schema del contratto normativo, proprio perché da esso sorgono immediatamente delle obbligazioni e perché in realtà non si prevedono le clausole di una serie di contratti simili, ma si contempla il solo obbligo di addivenire ad una pluralità disomogenea di effetti traslativi.

In realtà già la possibilità o piuttosto la necessità di ricorrere a mere ipotesi ricostruttive, al fine di qualificare la natura e il contenuto dei contratti futuri, avrebbe legittimato più che fondati sospetti di invalidità della pattuizione: con qualche attendibilità, ma non di più, si sarebbe potuto ad es. pensare ad un criterio di ripartizione in percentuale del prezzo tra i diversi cespiti; sarebbe apparso invece arbitrario attribuire a SGR la facoltà di indicare per ciascun contratto un prezzo a sua scelta, nei limiti del plafond.

Di fatto si verificò proprio tale ipotesi, che dette però origine al contrasto con l’Avv. Lettera, insorto al momento di cedere il credito verso lo Stato, e che rese necessario il ricorso ad un parere del prof. Schlesinger.

Anche tali incertezze tuttavia contribuiscono a disvelare la vera causa del contratto.

Abilmente mescolate qui e là, alcune clausole assumono a tal fine valore decisivo.

L’atto quadro avrebbe dovuto assicurare, a rigore, la cessione del patrimonio ad un soggetto terzo, nell’ambito della procedura di liquidazione affidata al controllo degli organi a ciò deputati. Corrispondentemente esso non avrebbe potuto che regolare il trasferimento delle attività, in cui la procedura avrebbe dovuto risolversi.

Ma in realtà, al di là della previsione di singoli e successivi atti di trasferimento, era parallelamente contemplata la possibilità per la società di indicare come acquirenti soggetti diversi da se stessa ovvero di richiedere mandati irrevocabili per la vendita, mandati al cui rilascio Federconsorzi era immediatamente obbligata.

Ciò consente di comprendere come la finalità dell’atto non fosse quella di regolare la cessione dei beni in blocco, ma quella, assai diversa, di assicurare ad un soggetto terzo, il teorico acquirente in blocco, un’ampia libertà di azione, destinata in via immediata a tradursi nella scelta delle modalità di adempimento da parte del cedente (una sorta di obbligazione facoltativa con scelta rimessa al creditore), e in via mediata a risolversi nello svolgimento sic et simpliciter di un’attività liquidatoria in proprio, volta al trasferimento dei cespiti ad altri soggetti.

Così si spiega in particolare che, nonostante l’esclusione dell’immediato effetto traslativo, la gestione dei beni dovesse passare immediatamente alla società e che appunto quest’ultima, prima ancora del trasferimento, potesse direttamente procurarsi un acquirente, al quale trasferire i beni su mandato o farli trasferire da Federconsorzi.

A ben guardare la funzione economico-sociale dell’atto quadro, apparentemente mutuata sia da quella del contratto preliminare che da quella della cessio bonorum di cui all’art. 1977 cc, cui certamente l’avvicinava non il trasferimento bensì la messa a disposizione, anche su mandato, dell’intero patrimonio, era solo quella liquidatoria, paradossalmente invocata da chi dell’atto avrebbe voluto riaffermare la validità, non avvedendosi che per tale via si sarebbe dovuto invece giungere alla soluzione opposta.

Infatti, considerando anche il fatto che Federconsorzi era stata surrettiziamente nominata liquidatore di se stessa (cioè che non era stato nominato alcun liquidatore) e che la pretesa cessione in blocco non si sarebbe risolta “uno actu”, è agevole concludere che l’atto quadro era volto a sancire la privatizzazione della procedura di liquidazione, in pratica determinando una sorta di cessio bonorum di secondo grado, dissimulata attraverso l’artificiosa nomina di un liquidatore apparente e volta ad espropriare la massa dei creditori, a vantaggio di una sola parte di loro, delle effettive potenzialità di realizzo.

Tutto questo si poneva in contrasto con le norme dettate in materia dalla legge fallimentare, comportando l’effetto di rimettere la liquidazione nelle mani di un soggetto non nominato formalmente liquidatore e non soggetto al controllo degli organi della procedura né della massa dei creditori, in nome della quale l’attività liquidatoria sarebbe dovuta avvenire.

In sostanza l’atto quadro si collocava non solo al di fuori dei contratti tipici, ma anche al di fuori del pur elastico schema contemplato per la liquidazione concordatizia.

L’aggiramento delle norme, insito nel meccanismo escogitato, era tale da dar luogo di per sé ad una nullità difficilmente emendabile. Sotto il profilo penale una siffatta nullità tuttavia non sarebbe stata di per sé rilevante, se non si fossero prodotti ben altri effetti.

Si consideri fra l’altro che l’atto quadro veniva a realizzare quanto in precedenza nelle varie lettere dell’Avv. Casella era stato solo adombrato o tutt’al più sussurrato, sconfessando dal punto di vista strutturale l’idea stessa della vendita in blocco. Ed è singolare che della stipula di un simile atto di carattere programmatico si fosse fatto cenno già all’indomani dell’autorizzazione resa dal Tribunale con il provvedimento del 23-3-1993 .

A ben guardare, quegli effetti benefici che, quanto a risparmio di tempo e di spese, sarebbero potuti discendere dalla cessione istantanea del patrimonio, sarebbero stati invece vanificati dalla previsione sia di una consistente dilazione di pagamento, sia soprattutto dall’esclusione dell’immediato effetto traslativo, che avrebbe imposto il mantenimento della struttura liquidatoria per un tempo in realtà indefinito, il tutto in un quadro di incertezza derivante dalle liti pendenti, attive e passive, e dalla sorte dei cespiti non inclusi nella relazione particolareggiata, la cui cessione era stata rimessa alla volontà di SGR, e con la consapevolezza che comunque il carico degli oneri sarebbe in gran parte dipeso dal costo del personale e non dalle spese procedurali in senso stretto.

Valutando del resto i fatti a ritroso, va sottolineato come i trasferimenti, in attuazione dell’atto quadro, sarebbero poi per la gran parte avvenuti con il meccanismo della diretta cessione da Federconsorzi a terzi, assai più vantaggioso anche dal punto di vista fiscale, e sarebbero stati diluiti in un lungo lasso di tempo, a discrezione della cessionaria, non assoggettata a nessuna precisa scadenza e tanto meno vigilanza.

Ed allora deve ribadirsi che l’atto quadro non garantiva affatto il rispetto di tempi certi , ma si prestava ad assecondare l’esigenza di SGR di aspettare il momento più propizio, per non gravarsi di beni (e dei relativi oneri fiscali) se non quando fosse possibile l’immediata rivendita.

Ciò significa che le giustificazioni addotte a sostegno di una scelta tanto innovativa non avevano un reale contenuto, mentre sicuro era l’abbattimento del valore del patrimonio. Su tali argomenti si avrà modo di tornare, ma va per intanto focalizzata la sostanziale inidoneità dell’atto a soddisfare quelle esigenze per le quali si era ritenuto di poter soprassedere all’ottimizzazione dei realizzi.