Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/III. - Appendice - Rassegne bibliografiche, traduzioni/XIX. - Albatenio

XIX. - Albatenio

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XIV.

ALBATENIO

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Questa rassegna bibliografica dell’opera del Nallino su Albatenio uscì tradotta in lingua tedesca nel periodico di astronomia popolare Das Weltall (4. Jahrg. Heft 21. Berlino, 1904, p. 394 e seg.). Come ho già avuto occasione di dire nelle Avvertenze premesse agli scritti sulle osservazioni babilonesi di Venere o di Marte, anch’essi pubblicati in tedesco in quel periodico, invano procurai di ottenere dalla direzione del Weltall, almeno in copia, l’autografo su cui era stata condotta la versione tedesca; di modo che, volendo pur dare qui il testo italiano, non posso far altro che riprodurre la minuta esistente tra le carte dello Schiaparelli. Questa minuta corrisponde quasi in tutto alla versione data dal Weltall, e però è da ritenersi conforme al testo approvato dall’autore. Dove nella minuta sono lacune o varianti ho sempre seguito la lezione della versione tedesca, che rappresenta per noi la redazione definitiva del lavoro.

A. S.

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Il signor C. A. Nallino, professore di lingua e lettere arabe nell’università di Palermo, ha ormai quasi compiuto la nuova edizione di Albatenio alla quale lavorava da dieci anni. Il testo arabico è stato pubblicato fin dal 1899. Nel 1903 è uscita la versione latina con un introduzione e con numerose annotazioni. Il volume delle tavole astronomiche, l’ultimo dell’opera, è in gran parte stampato, e verrà in luce fra non molto tempo1. Con questo suo lavoro il Nallino non solo ha salvato quanto dell’opera astronomica di Albatenio si poteva ancora salvare, ma ha posto un degno monumento ai meriti di quest’astronomo che la posterità sembrava avesse un po’ dimenticato. Molte cose prima ignorate, o non esattamente conosciute, concernenti in generale l’astronomia degli Arabi e in ispecie quella d’Albatenio, son venute in luce; la storia della scienza è stata in molti punti rischiarata e in alcuni anche ha ricevuto importanti rettificazioni.

Abn Abdallah Mohammed figlio di Geber, figlio di Sinan, nacque verso la metà del secolo nono nei dintorni di Harran nella Mesopotamia occidentale, e secondo alcuni dei suoi biografi, in un villaggio di quel paese chiamato Battan; onde sarebbe a lui venuto il nome di Al-Battani, che poi fu dagli scrittori d’Occidente latinizzato in Albatenius od anche corrotto in Albategnius o Albategni. Si crede che suo padre fosse quel medesimo Geber figlio di Sinan, il cui nome ci fu conservato [p. 340 modifica]dalla fama come quello di un celebre meccanico e costruttore di strumenti astronomici. Questa circostanza ha probabilmente influito nel determinare la carriera e gli studi avvenire del giovane Albatenio. Checchè sia di questo, egli cominciò le sue osservazioni astronomiche nell’anno dell’Egira 264 (877-878 di Cristo), e li continuò fino all’anno 306 (918-919 di Cristo) con sì felice successo che uno dei suoi biografi lasciò scritto «nessuno dei Musulmani aver uguagliato Albatenio nell’osservazione esatta degli astri e nell’indagine accurata dei loro movimenti». Egli fece la maggior parte delle sue osservazioni nella città di Rakkah sull’Eufrate, allora assai florida, oggi quasi deserta: anche le sue tavole astronomiche sono calcolate pel meridiano di quella città, dove sembra abbia trascorso quasi tutta l’esistenza. Però alcune osservazioni d’eclissi furono fatte da lui in Antiochia nei mesi di gennaio e di agosto 901.

Nell’anno dell’Egira 317 (929-930 di Cristo) andò con altri inviati in missione a Bagdad per ripetere dal califfo l’importo di tributi che eran stati fatti pagare ingiustamente ad una parte dei cittadini di Rakkah. Durante il ritorno morì, certo in età piuttosto avanzata. Dall’aver egli partecipato a questa missione noi possiamo argomentare che fosse considerato come uno dei principali cittadini di Rakkah; niente però giustifica la notizia molto divulgata presso gli scrittori occidentali che Albatenio fosse un principe o per lo meno investito di qualche importante comando. Si ha tuttavia ragione di credere che già da vivo godesse presso i contemporanei di quella fama che ne rese poi così onorato il nome presso la posterità in occidente non meno che in oriente.

Al pari del suo grande esemplare Tolomeo, Albatenio era persuaso della verità dell’astrologia. Già nella sua opera principale si trovano alcuni capitoli concernenti la risoluzione di problemi geometrici occorrenti nella pratica astrologica di quei tempi. Di simili questioni pare abbia trattato in altri libri oggi perduti, dei quali si sono conservati solo i titoli: Liber cognitionis ascensionum signorum in spatiis inter sphaerae cælestis quartas; Epistola de verificatione quantitatum applicationum; Commentarium in Ptolemaei Quadripartitum. Sembra però che Albatenio s’interessasse soltanto alla parte geometrica di tali materie. Passeremo sopra i titoli di alcune altre opere, che in vari tempi e da vari scrittori furono erroneamente attribuite ad Albatenio, rimandando il lettore alla prefazione del Nallino [p. 341 modifica]da cui abbiamo desunto la maggior parte di queste indicazioni, e verremo senza più alla sua grande opera astronomica, che sola sopravvisse in qualche modo alla forza distruggitrice del tempo. Ho detto in qualche modo; ma certamente non nel modo che avrebbe desiderato il suo autore, nè in quello che avremmo desiderato noi.

Nell’unico manoscritto che se ne conserva, il titolo dell’opera è andato perduto. Dai più antichi scrittori arabi che ne fanno parola essa è designata col nome di zig Albattani. Come spiega il Nallino, gli astronomi arabi solevano chiamare zig «libros, qui cosmographiae elementis plerumque omissis, astronomiae sphaericae doctrinas altiores calculorumqne cælestium rationes exponant, atque omnes necessarias tabulas complectantur». Una specie di Syntaxis Mathematica dunque, sul modello di Tolomeo; nella quale però spesso le parti teoretiche e dimostrative sono ridotte al minimum, mentre pieno sviluppo si dà alla pratica dei calcoli ed alle tavole che devono servire alla loro esecuzione. L’opera di Albatenio consta infatti di due parti: la prima è un’esposizione compiuta, ma succinta, dei principali problemi astronomici e dei fondamenti su cui si appoggian le tavole; la seconda comprende le tavole medesime, che per disposizione ingegnosa, per ricchezza di dati e facilità di uso, superano quanto si era fatto fino a quel tempo. Questa seconda parte, benchè contenga dati importanti che mancano alla prima, è rimasta fino ad oggi inedita, ed è un dono totalmente nuovo che il professor Nallino fa agli astronomi ed agli studiosi delle scienze orientali. Noi possiamo adesso farci un’idea precisa dell’insieme dei lavori astronomici di Albatenio, ed anche rettificare alcune affermazioni non esatte che da più secoli corrono sopra di lui.

La ragione che lo indusse a scrivere la sua opera, è da lui esposta nell’introduzione in questi termini:

«Da molti anni essendomi occupato dell’astronomia ed avendo speso assai tempo nel suo studio, ho osservato numerose differenze nei libri che trattano dei movimenti celesti, ed anche ho veduto che alcuni autori hanno errato nello stabilirne i fondamenti. Perciò dopo lunga riflessione ho pensato di correggere e di stabilir meglio tutte queste cose, usando del modo tenuto da Tolomeo nel suo libro dell’Almagesto, camminando sulle sue orme e seguendo i suoi precetti. Avendo egli infatti diligentemente esaminato tutta questa materia e dimostrate le [p. 342 modifica]cause di tutti i fenomeni con prove che non lasciano luogo ad alcun dubbio, esortò anche gli altri ad osservare e ad investigare dopo di lui, dicendo non esser impossibile che col tempo alcuno aggiunga qualche cosa alle osservazioni sue, sì com’egli alcune cose aggiunse agli studi d’Ipparco e di altri. Tanta infatti è la maestà di questa scienza ampia e celeste, che nessuno la può tutta intiera abbracciare esattamente. Perciò ho composto questo libro, nel quale, spiegando le cose difficili e i principi astrusi della scienza, ne resi agevole la via a quelli che vorranno studiarla e seguirla. Ho corretto i luoghi ed i movimenti degli astri nell’eclittica come ho trovato dall’osservazione, dal calcolo delle eclissi e da altre adatte operazioni, ed ho aggiunto altre cose necessarie. Per trovare i luoghi degli astri ho aggiunto le tavole, adattate al meridiano di Rakkah, nella quale furon fatte le osservazioni occorrenti a determinare tutto ciò. E così sia, a Dio piacendo; perchè soltanto presso Dio possiamo trovare aiuto».

Al pari di molti altri astronomi arabi, Albatenio fece uso di strumenti assai più grandi e più perfetti di quelli di cui si ha memoria presso i Greci. Se è vero ch’egli fosse figlio di un celebre meccanico, non gli sarà mancata l’occasione di addestrarsi molto bene nel maneggio degli strumenti, se non forse nella loro stessa costruzione. Per le altezze meridiane sembra che lo strumento da lui preferito fosse l’Alhidada longa ossia il triquetro parallattico al modo di Tolomeo, equivalente, com’egli assicura, ad un circolo del diametro di 10 cubiti. Inoltre egli si serviva di un quadrante murale del raggio di due cubiti. Il tempo egli lo determinava di notte coll’altezza di stelle conosciute, di giorno coll’aiuto di un orologio orizzontale o verticale. Dell’abilità sua nell’inventare nuovi strumenti è documento notevole l’elegante astrolabio munito di globo celeste, che è descritto da p. 139 a p. 141 e figurato a p. 320. Con questi apparati così perfetti non solo Albatenio superò di gran lunga i Greci in precisione, ma riuscì a determinazioni anche più esatte che quelle degli astronomi del califfo Almamun, le quali non sembra fossero conosciute da lui, sebbene precedessero le sue di mezzo secolo soltanto. Mediante le altezze meridiane del Sole misurate al triquetro determinò l’obliquità dell’eclittica in 23° 35’, la quale, riferita all’anno 880 non dà che un errore di 26" rispetto al calcolo dei moderni. Ancora col medesimo strumento egli riuscì a determinare gli equinozi entro una o due ore di tempo. La [p. 343 modifica]durata dell’anno da lui stabilita servì come punto di partenza nelle discussioni che durante il Medio Evo si fecero per arrivare alla riforma del calendario giuliano; e gl’intervalli che egli determinò fra le epoche degli equinozi e quelle dei solstizi lo condussero ad una cognizione dell’orbita solare molto più approssimata al vero che non fosse quella dei Greci. Tolomeo e tutti gli astronomi greci avevan creduto che il perigeo solare fosse immobile rispetto agli equinozi e non partecipasse al moto di precessione. Albatenio rettificò questo errore. Le sue determinazioni dei punti equinoziali, comparate con quelle di Menelao fatte 782 anni avanti, lo posero in grado di sostituire al valore di Tolomeo di 36" il valore molto più esatto di 54" 33".

Tutte queste novità che l’esperienza ulteriore ha ratificato, mostrano qual valore avesse Albatenio come astronomo pratico, mentre nella teoria seguì Tolomeo in ogni cosa, limitandosi solo a migliorare qua e là alcune costanti. Albatenio però fece della trigonometria un uso assai più libero ed accorto che Tolomeo. Il suo libro è pieno di problemi di astronomia sferica, per la cui soluzione egli si serve frequentemente della proiezione ortografica, giungendo così ad una formula di cui nessuno si era valso prima di lui. Nei calcoli egli fa uso del seno, del coseno e del seno verso: le tangenti e le cotangenti non compaiono nelle sue tavole che come lunghezze d’ombra di un gnomone di data lunghezza. Una novità interessante per la storia della trigonometria è nel 26° capitolo la soluzione da lui trovata del problema di risolvere il triangolo sferico, dati un angolo e i due lati adiacenti. Nella traduzione di Platone Tiburtino, la sola che fosse nota agli astronomi fino ad oggi, questa parte era affatto guasta ed inintelligibile, così da dare ingiustamente origine a critiche di Regiomontano e di Delambre, che colla nuova interpretazione non hanno più ragione di essere. Anzi la trattazione di Albatenio, fondata sopra l’uso della proiezione ortografica, è ingegnosa ed interessante, e costituisce ora uno degli ornamenti più belli della nuova edizione.

Albatenio fece della sua opera due edizioni, una prima e l’altra dopo l’anno 901 di Cristo. Noi possediamo la seconda, alla quale soltanto si riferiscono i numerosi passi che il Nallino ha potuto rintracciare presso gli scrittori arabi. Del testo arabico non esiste più che un solo esemplare nella biblioteca dell’Escuriale, che il Nallino giudica esser stato scritto alla fine del secolo XI o al principio del XII. Contiene tutta intiera l’opera, testo e tavole, senza alcun titolo nè sottoscrizione. [p. 344 modifica]Esso è stato trascritto da altro codice corrotto ed interpolato, il cui autore, avendo sott’occhio un esemplare guasto e manchevole, aveva tentato di correggere gli errori e di supplire le lacune. Fortunatamente (dice il Nallino) era costui un uomo assai imperito delle matematiche, onde le sue così dette correzioni e i suoi supplementi si possono sempre facilmente distinguere dal vero testo di Albatenio2. Molti errori del codice dell’Escuriale non si devono attribuire a sviste del copista, ma a temerarie emendazioni di lui, il quale qua e là ha anche aggiunto di suo capo, e talvolta guastò l’esposizione di Albatenio per farla concordare con una figura male disegnata. Gli errori che tanto frequentemente occorrono nello scritto, si accumulano nelle tavole a segno da contarsi per migliaia, cosicchè purificare queste stalle d’Augia non fu la fatica minore dell’edizione presente.

Dell’opera di Albatenio si fecero nel medioevo tre versioni. Di una compiuta in latino da Robertus Cataneus Retinensis verso la fine del XII secolo, non esiste più alcuna traccia, e non pare che essa sia stata mai molto conosciuta.

Notissima invece fu la versione latina fatta da Platone Tiburtino verso la medesima epoca, della quale non solo si hanno esemplari manoscritti in varie biblioteche d’Europa, ma anche un’edizione stampata a Norimberga nel 1537, e riprodotta a Bologna nel 1645 con qualche errore di più. Questa versione è la fonte da cui principalmente derivò la cognizione che gli astronomi d’Europa ebbero finora dell’opera di Albatenio: essa contiene soltanto la parte dottrinale; le tavole astronomiche mancano intieramente, così nei manoscritti come nelle edizioni stampate. L’esemplare di cui si valse Platone deriva dal medesimo archetipo dal quale fu tratto il codice dell’Escuriale, e contiene gli stessi errori e le stesse interpolazioni. Altri errori e difetti vanno ascritti al traduttore, il quale non era abbastanza perito della lingua arabica nè abbastanza istruito delle cose astronomiche, sicchè in molti luoghi la versione riuscì affatto inintelligibile. A decifrarne il senso impiegarono (e non sempre felicemente) le loro fatiche tre insigni astronomi, Regiomontano, Halley e Delambre, il cui compito era reso anche più difficile dall’assenza delle tavole astronomiche. [p. 345 modifica]

Di una terza versione in lingua spagnuola, fatta per ordine di Alfonso X di Castiglia esiste a Parigi nella biblioteca dell’Arsenale un codice della fine del secolo XIII, il quale comprende solo i primi XXVI capitoli della parte dottrinale, ma contiene in compenso le tavole astronomiche. Anche questa deriva dalla medesima corrotta fonte da cui provengono il codice dell’Escuriale e la versione di Platone; anzi il Nallino sospetta che il suo testo sia semplicemente una riproduzione in spagnuolo della versione latina di Platone.

Sopra un materiale così imperfetto il Nallino ha dovuto fare la sua edizione. Del testo arabico si può dire ch’egli ha salvato tutto quello che si poteva ancora salvare. Ormai non sarà più possibile che per incendio o altra disgrazia esso sia irrevocabilmente distrutto. Ma forse meglio che nel guasto originale. Albatenio potrà ora esser letto e compreso nella nuova versione latina e nelle copiose annotazioni che l’accompagnano, mentre l’introduzione del primo volume ci istruisce compiutamente sulla vita di Albatenio, sulle diverse edizioni dell’opera sua, sugli studi che vi spesero intorno Regiomontano, Halley e Delambre. La perfetta cognizione non solo della lingua, ma anche della materia, ha permesso all’editore di portare quasi dappertutto la luce necessaria: solo pochi punti secondari sono rimasti senza spiegazione. A questo risultato ha pure contribuito in parte uno studio accurato dell’Almagesto, con cui l’opera di Albatenio offre tanti punti di contatto; ma più ancora l’immensa copia di notizie che il Nallino ha saputo trarre a modo di confronto e di illustrazione dai libri astronomici degli Orientali e specialmente dagli Arabi, così editi come manoscritti. Al pari dell’Alfergano del Golius, questo Albatenio sarà un vero tesoro di erudizione necessario a consultarsi per tutti quelli che avranno da scrivere sopra l’astronomia degli Arabi. Il Nallino però è stato più fortunato del Golius in questo, che ha potuto condurre la propria opera a compimento, mentre il Golius ha lasciato la sua imperfetta. Il professor Nallino è ancor giovine e forte, cosicchè noi possiamo sperare di apprendere da lui ancor molto intorno all’astronomia degli Arabi.

Note

  1. Il titolo preciso è: Al-Battani sive Albatenii Opus Astronomicum. Ad fidem Codicis Escuriolensis arabice editum, latine versum, adnotationibus instructum a Carolo Alphonso Nallino. Mediolani Insubrum, 1899, 1903, 1907, 3 vol. 4°. (Pubblicazione del Reale Osservatorio di Brera in Milano, n. XL. Parte I, II, III)
  2. Il maggiore e il più strano dì tali supplementi si trova nel cap. 25, che Delambre, malgrado il suo acume e la sua abilità in trigonometria, si affaticò invano a chiarire.