Scritti giovanili inediti/La morte di un veliero

La morte di un veliero. Ricordi

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XI La città ignota

«La morte di un veliero. Ricordi». Così è intitolata la prima novella. Si tratta di un racconto molto triste, suggellato dalle parole finali: «Leone Ginzburg, in una giornata di burrasca».


Il mare era meraviglioso; meraviglioso di bellezza.

Ma era perfido, infido, traditore, infame.

Eppure il cielo era tanto calmo: neppure una nuvola.

E il mare così accigliato. Furioso. Furente.

Le sue acque erano sporche, come se avessero avuta la coscienza di un delitto premeditato.

Apparve un veliero.

Una creatura esile e debole contro tale e tanta furia.

Aveva tutte le vele spiegate, come su un letto di morte. Di morte gloriosa, combattendo.

Perché quella mattina doveva morire.

Vi era una sola via di salvezza: entrare in un canale.

Ma le onde, furibonde ed implacabili, lo impedirono.

Ed il misero scafo fu spinto verso la spiaggia, verso la sabbia.

Inesorabilmente.

Simile ad una grande farfalla colle ali aperte che, stretta da una mano forte e possente, cerca di fuggire, il veliero reagiva contro il furore marino.

Le onde, ruggendo, si scagliavano contro quei poveri fianchi, che si dibattevano, fra una ondata e l'altra.

Dopo una serie di balzi giganteschi, lo scafo, in cui si aprivano sempre nuove falle, ed al quale era stato rapito il timone, si arrestò. E, fra il mugghiare del vento ed il fragore delle acque, sublime nel suo sacrificio, cominciò a prepararsi la propria tomba.

La sua agonia durò a lungo.

Lentamente, ma senza speranza la prua si arenava.

Il veliero, morendo, chinava la testa.

La sabbia inghiottiva, inghiottiva sempre, tutto.

Fu una morte lunghissima, lenta, angosciosa.

Troppo lunga, troppo lenta, troppo angosciosa.

Sono passati parecchi anni, ed ora villeggianti e marinai vengono a cercare frutti di mare nel vecchio scafo sommerso.

Forse, quei frutti si annidano lì per cercar protezione dal mare, da una sua vittima...

Chi lo sa!?

In una giornata di burrasca
Leone Ginzburg