Satire (Persio)/Note/Alla Satira III

Note alla Satira III

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Aulo Persio Flacco - Satire (I secolo)
Traduzione dal latino di Vincenzo Monti (1803)
Note alla Satira III
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NOTE


Alla Satira III.


Sotto il personaggio di Stoico Pedagogo riprende Persio severamente la gioventù, che superbendo per ricchezza e per nascita trascura lo studio della morale filosofia, e consuma miseramente il fiore degli anni nella dissipazione e nella pigrizia. La satira è di genere tutto drammatico, come la prima, ma di ben altra importanza.

unus ait comitum. v. 6. — Questa breve parentesi inutile affatto in forza dell’introdotto dialogo è stata omessa nella traduzione.

turgescit. v. 8. — Da questo turgescit fino al guttas è Persio che parla, e ne fa una bella pittura dei sutterfugi, che va trovando il ragazzo per non istudiare. V’ha interpreti, che pongono questi versi ora in bocca del giovine, ed ora del pedagogo, mutando il finditur in findor, ut; e il queritur in querimur. Ma il migliore de’ commentatori, il buon senso, grida che in tutta questa tirata non v’è sillaba, che rigorosamente convegna a veruno dei due.

senio. damnosa canicula. v. 48, 49. — Nell’antico gioco dei tali il punto sei, senio, chiamavasi il tiro di Venere, ed era propizio; così l’asso, il tiro del cane, ed era dannoso. Vi sarebbe a caricar un cammello d’erudizione su questo passo. Io crederà d’illustrarlo abbastanza con un solo distico di Properzio:

Me quoque per talos Venerem quaerente secundos
Damnosi semper subsiluere canes.


angustae orcae. v. 50. — Ecco un secondo giuoco fanciullesco. Ovidio ce lo spiega nettamente in due versi nell’elegia de Nuce:

Vas quoque saepe cavum spatio distante locatur
In quod missa levi nux cadat una manu.

buxum torquere. v. 51. — Terza specie di giuoco molto caro ai ragazzi. Vedine la descrizione in Virgilio nel settimo dell’Eneide v. 377.

samios littera ramos. v. 56. — Questa lettera è l’Y inventato da Pitagora nativo di Samo. Ne’ due rami in che si divide, [p. 94 modifica]simbolizzava il filosofo le due strade del vizio e della virtù, la prima alla manca, la seconda alla dritta.

hesterni quirites. v. 106. — Cioè i servi divenuti liberi per testamento del padrone la vigilia della sua morte. Erano essi che poi il portavano alla sepoltura col berretto in capo, indizio della fresca lor libertà.

tange. v. 107. — Quì comincia l’applicazione della scena tra il malato ed il medico; ed è il pedagogo che interroga il suo discepolo, a cui vuol provare, che quantunque sano di corpo egli, il ragazzo, è infermo dell’animo. I commentatori, che fanno proseguire il dialogo tra il malato ed il medico, hanno dimenticato, che quel meschino è già morto e sepolto. Va fuori d’ogni credibile lo strano pasticcio che ha fatto il Salvini nel distribuire le interpunzioni del dialogo tra l’infermo e il dottore, poi dell’altro tra il pedagogo ed il giovine. Mi sia permesso di riportarli, onde la pedanteria si abbia un saggio della orrenda maniera con che i suoi archimandriti assassinano le belle lettere.

. . . . Ped. O buon uom, tu impallidisci.
Mal. Non è nulla. Ped. Pur mira che ciò sia
Che che sia. Med. Tacitamente sorge
A te la gialla pelle. Ped. Ma tu peggio
Sei imbiancato. Med. Tu il tutor non fammi.
Ped. Quello già sotterrai; tu ora resti.
Giov. Or tira innanzi pure: io tacerommi.
. . . . . . . . . . .
Giov. Tastami il polso, poveretto, e poni
La man sul petto. Med. Non è caldo questo.
Giov. L’estremità de’ piedi e delle mani
Tocca ancora. Med. Non sono queste fredde.
Ped. Se a sorte fu veduta la pecunia ec.


E tutta la sua traduzione, che Dio lo benedica, cammina di questo gusto. Vedi Raccolta di tutti gli antichi poeti latini colla versione italiana. Edizione di Milano 1737.