Saggio meteorologico/Prefazione

Prefazione alla prima edizione

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Indice Parte prima
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PREFAZIONE

ALLA PRIMA EDIZIONE 1770.

NOn crederei poter alcuno dubitare, che se gli Uomini di tutte le Nazioni della terra si unissero per operare di consiglio concorde il comun bene, non dovesse infinitamente migliorarsi la sorte del genere umano. Ma l’idea della republica del genere umano è una chimera non meno, che quella della pace perpetua e universale, per una istessa ragione, perchè la naturale cupidità, ne’ popoli non meno, che negl’individui, con isforzo insuperabile da per se, cerca sempre il proprio bene, e il proprio meglio, vero, o creduto, a preferenza del bene, e del meglio comune.

Basterebbe per migliorare gli affari dell’uman genere, che si eseguisse un progetto più moderato; ed è, che gli uomini, e le nazioni ponessero in essere, e comunicassero tra loro le notizie che hanno, in fatto di scienze e di arti. Ciò intanto verrebbe a formare quello, che il Verulamio suggerì, e chiamò Inventarium Opum Humanarum, la lista de’ capitali del genere umano: cioè di quanto per natura, e per arte, in scienze, e in lavori, negli antichi, ne’ recenti tempi, o ne’ colti popoli, o ne’ selvaggi, nei ceti, o negli individui, o in qualunque modo v’è sparso di utile e d’ingegnoso al mondo. Il quale Inventario fatto e digerito che fosse, oltre l’avanzamento delle scienze, parlando solamente delle cose di pratica, risulterebbe probabilmente tutto ciò, che tanto si desidera, si cerca, e poco si trova: un ottimo corpo di leggi per governar i popoli: un piano di vera economia pubblica e privata, un sistema di perfetta morale; un vero metodo di agricoltura con tutte le sue arti ministre e collaterali; mille comodi per la vita, con un’infinità di macchine ed invenzioni ingegnose, e maniere facili di adoperarle, a servigio, e piacere degli nomini, in tutte le situazioni, e circostanze, in cui si trovassero: sorgerebbe forse in fine una buona Medicina, aggiungendo ai medicamenti e metodi studiati, quanto v’è di rimedj quasi spontanei nell’erbe, nelle piante, ne’ fossili, negli animali, o di secreti preziosi, sepolti in manoscritti, e disprezzati libri, o nelle capanne, nelle vili officine, nelle donne, nei pastori, nei selvaggi. Tra tanti vantaggi penso, che vi sarebbe anche quello di conoscere con inconcepibile frutto le mutazioni naturali dei tempi, le qualità delle stagioni, e delle annate, sol che a quello, che detta la buo[p. x modifica]na fisica, si aggiungesse una raccolta di osservazioni lunghe e ben prese, con tanti segni, che pur noti sono ai marinaj, ai contadini, ai pastori.

Ma, sebbene la cultura, la letteratura, la stampa, il commerzio in questa età abbia facilitato e aperto, almeno in Europa, la comunicazione delle notizie, infinitamente più, che due secoli avanti; non ostante io pur dubito, che in questo Inventario compiuto, quale si concepisce, e quale si richiederebbe per tutti i buoni effetti accennati, e che per altro niente eccede la misura delle cose umane, anche nello stato in cui sono, sia tuttavia un altro voto de’ Filosofi, impossibile da porsi effettivamente in piena esecuzione. E la ragione sommaria è quest’altra, che dipende dall’incompossibilità di certe cose, o con altra parola, dalla limitazione originale delle creature.

Imperciocchè tutte le grandi imprese, come sarebbe questa, richiedono un tribunale, e una società di corrispondenti, vicini e rimoti, sotto un capo e direttore: che vuol dire, richiedono insieme uno, e moltiuno, perché un solo può formare un piano, o disegno ben inteso, senza cui niente si può fare di sistematico e di buono: molti, perché un solo non basta a muovere tutta la mole de’ materiali che occorrono. Ma i molti (oltre gli ostacoli esterni, che devono incontrare dagli altri uomini, sempre disposti a deprimere, screditare, traversare le cose, in cui non entrano essi) o discordi tra loro, o di forze disugnali, si contrastano, e si disturbano piuttosto che coadiuvarsi. L’uno che deve aver una trascendente e quasi divina forza di spirito, o non si trova, o non dura sino alla perfezione dell’opera. E così gli affari del genere umano devono andar sempre come possono; ed in eterno rimarrà imperfetta la fabbrica delle scienze, e delle arti, della politica, e della morale, dell’economica, della medicina, dell’agricoltura, della pratica e della teorica delle cose; nè si averà mai finita un’impresa di momento, se forse non sia tale, che basti il talento e la vita di un uomo solo per eseguirla.

Non però deve l’Uomo rimanersi inerte ed ozioso, abbandonandosi ad una spezie d’ignavo destino, che sarebbe il pessimo, e l’estremo. Le cose vanno, come vanno, tollerabilmente, e considerato il tutto, si vedrà che non possono meglio; perchè tutti quelli che dirigono i governi delle cose, studiano in effetto per far il meglio. Anche tra’ privati ognuno, che abbia qualche lume e talento, deve dal canto suo contribuire quanto può, a coltivare, promuovere, e perfezionare quegli oggetti, che sono della propria mansione e professione.

Ma qui facilmente s’attraversa un altro difetto umano, finente dagli stessi principj; ed è quello di trascorrere leggermente agli esfremi; del che abbiamo tutto giorno esempj ben manifesti. Un tempo fu non molto lontano, quando gli Uomini, pesando con soverchio momento sopra tutte le cose, davano corpo alle frivolezze, e alle chimere: e un [p. xi modifica]altro tempo anche meno rimoto, quando gli Uomini, non pensando seriamente a nulla, scorrendo leggermente sopra gli oggetti più gravi (parlo delle scienze), molto volentieri anche ridendone, raggirandosi ansanti per sempre nuovi fantasmi, senza ben sapere quello, che cercassero, tutto credendo facile, per tutto abbracciare, nulla in fine stringevano. Non vorrei, che in questo carattere si riconoscesse il secolo nostro, in cui, se col fregare per tutto, alcuno fortunatamente s’è abbattuto in qualche nuova scoperta, d’altra parte per il prurito dell’Enciclopedia, diffuso o promosso da tanti dizionarj, a forza di voler tutti saper tutto, qualche malizioso può dire, che non si sa nulla di bene, il che, eccettuati pochi, in generale non è che di troppo vero: ed in tanto si è perduto quel profondo sapere che sopra i rami particolari delle scienze fissamente meditando i maggiori nostri acquistavano. Senza decider questo, certamente effetto dell’umana leggerezza è che solamente dopo di aver fatto, come un pendolo, moltissime oscillazioni da una parte e dall’altra, si riducono gli Uomini stentatamente, o non mai, al discreto, giusto, e vero mezzo delle cose.

Per una simil serie di difficoltà, e di vicende generali e particolari, passò quella una volta tanto celebre Astrologia divinatrice; di cui volendo io dire una parola, non vorrei da troppo alto aver prese a ragionare: ma queste due cose credo verissime: una, che quest’arte in buon senso potrebbe esser portata ad un sistema e grado di perfezione utile, come in parte risulterà dal seguente Trattato; l’altra, che per la perpetua illusione e originale indiscrezione degli uomini, ella subì in varj tempi le vicende ingiuste degli estremi viziosi. Poichè una volta coltivata, esaltata, ammirara fino alla superstizione, considerandosi quasi arte necessaria (Quem tanquam necessarissimum habere omnino volumus, dice parlando dell’Astrologo l’antico Statuto della nostra Università) non osando gli Uomini intraprendere cosa grande, nè picciola, senza consultare l’Astrologo, il che tuttavia si pratica nell’Oriente; insorti poscia i furori della moderna Filosofia contro tutto ciò, che aveva l’ombra di antico, venne attaccata, derisa, proscritta, annichilata; dove, come nei tumulti suol accadere, si confuse nella medesima strage il sano col vizioso, il solido col chimerico, il vero col falso.

Esaminando un poco il diritto, è il torto di queste opinioni, dico, che avevano gran ragione s moderni di bandire gli Oroscopi, le XII. Case del Cielo, ed altri simili principj affatto vani e precarj di quest’arte. Molto più era da rigettare la pretesa efficacia del Cielo sopra le azioni morali, dipendenti dal libero arbitrio, e sopra la sorte degli umani avvenimenti, almeno direttamente. Ma dovevano poi quivi fermarsi, ed esaminare, se in cotesto sterquilinio dell’Astrologia Giudiziaria non vi potesse esser nascosta qualche cosa solida o fondata. Poichè finalmente innegabile è l’azione del Sole sopra le stagioni; ne os[p. xii modifica]cura la forza della Luna a commovere con certi periodi l’acque del mare; e tutto essendo nell’Universo legato, non era incredibile qualche influenza sulla terra, e una corrispondenza e dipendenza scambievole con tutti i vasti corpi del Cielo, comunicanti tra loro con dell’attività, ed impressione, permeante da globo a globo, fuori del veicolo della luce. Senza elevarsi a contemplare questo nesso tra i globi mondani, questa irradiazione scambievole di azioni, di reazioni, di pasioni, non sarà possibile di comprendere l’origine di fenomeni circonterrestri (lasciando pure la sua attività propria alla terra, ed a’ suoi elementi); molto meno la generazione dei grandi effetti nell’Atmosfera, particolarmente de’ cambiamenti di tempo che sono l’oggetto delle nostre ricerche. Vedete l’Articolo ultimo della Prima Parte.

Il Verulamio, nel severo e luminoso esame, che fa di tutte le scienze, conoscendo l’Astrologia infetta di molta superstizione, non per questo osò quel grand’Uomo bandirla; bensì volle, che si purgasse, e ne prescrisse i modi e i confini, dichiarandola una parte della vera Fisica (De augmentis Scient. L. 111. ).

Nei varj Trattati di Boile si vede, che questo rischiarato Filosofo riconosceva l’Astrologia Fisica, cioè le emanazioni, e le influenze de’ corpi celesti sopra l’Atmosferra terrena, e gli altri corpi sublunari. Fuvvi qualche altro Filosofo Inglese, che non infelicemente tentò di eseguire il piano indicato dal Verulamio per purgare l’Astrologia: tra gli altri Giovanni Goad nel Libro che intitolò Astrometeorologia sana, pubblicato a Londra nel fine del prossimo secolo, nella gran luce della Filosofia, libro, che tiene un discreto mezzo tra la superstizione antica la totale incredulità moderna in fatto di pronostici Meteorologici.

Finalmente invitati coi premj dall’Accademie i più gran Matematici di questa età, a contemplare il Flusso e Riflusso del mare; nella manifesta causa delle maree, per l’azione della Luna e del Sole, ravvisarono una forza consimile per agitare l’Atmosfera; dalla quale agitazione ragion vuole, che nascano sbilanci, turbamenti, cangiamenti nell’aria, che si troveranno dunque legati a dei principj costanti e determinati. Tale ancora è il linguaggio dei detti Enciclopedisti, in tutti gli articoli, che hanno relazione a questo argomento. Io credo che se gli Astronomi avessero volta l’attenzione da questa parte, e si fossero applicati con determinato studio ad investigare le mutazioni dell’aria, siccome riuscirono a Scoprire tante cose inaspettate, e quasi incredibili rapporto al cielo ed al mare, così molto lume avrebbero sparso in questa materia comune involuta delle stagioni incostanti. In fatti, coll’averla solo occasionalmente toccata, hanno però indicato le cause generali, aperta una strada, dato un filo, che serve di qualche guida; e la teoria coll’analogia delle maree ha servito almeno per fissare certi punti di osservazione. [p. xiii modifica]

Ma nella moltiplicità, e oscurità delle cause, delle quali è difficile discernere, e calcolare l’influenza separata, non che unita e confusa, le Osservazioni sono quelle, dove si può e si deve ricorrere, come a sicuro mezzo, se ve n’è alcuno, di strappare anche questo secreto alla natura. Poichè l’osservazione sola, anche nella totale ignoranza delle cause, ben intesa e continuata, porge principj sodi di congetture. Sopra di essa perciò è fondato il calcolo delle probabilità, parto de’ nostri tempi, e de’ nostri Matematici, che tanto uso ha nelle cose economiche, e nell’amministrazione delle cose civili. Alle osservazioni, ed ai risultati delle medesime, per promovere le Arti e le Scienze, sono dirette le Accademie, adunanze di persone illuminate e studiose, unicamente occupate di scoperte utili, le quali solo per questa via di concorso, come da principio si disse, possono farsi e propagarsi.

A questo scopo in particolare tendono le osservazioni Meteorologiche, diffuse da circa un secolo per tutta l’Europa. Lo scopo di scoprire una volta, se mai vi fosse, qualche regola nelle stagioni varie, e nelle mutazioni di tempo: la qual notizia, che ottenuta, si potrebbe considerare come un dono veramente celeste, di tanto uso farebbe per tutta la vita, ma in particolare, per l’Agricoltura, per la Medicina, per La Navigazione. E perchè le osservazioni particolari di un sol luogo sono insufficienti per formare un generale sistema; fu proposto, ed in parte eseguito dalle Accademie, di raccogliere Osservazioni simultanee quasi parallele, che sopra un comune disegno venissero fatte da Uomini intendenti in molti rimoti paesi1.

Uno di questi Uomini benemeriti fu il Chiarissimo noftro Sig. March. Poleni, il quale corrispondendo all’Invito pubblicato dal Sig. Giacomo Giurin della Reale Società di Londra, fin dal 1725, fra tante sue [p. xiv modifica]dotte occupazioni, intraprese e continuò poi fino alla sua morte un Giornale non interrotto di osservazioni Meteorologiche quivi in Padova; le quali continuate anche dopo dal Sig. March. Abate dignissimo di lui Figlio, formano una serie di 40 e più anni.

Ma vecchia è altresì la querela di molti altri Dotti sopra il poco uso sinora ricavato da tanta mole di osservazioni. Il Sig. Holmann della Società di Gottinga, ne parla con grandissimo dispregio; e da lui, come da qualche altro (poichè non manca mai chi, o per un suo modo di pensare, o per singolarizzarsi, si opponga alle opinioni comuni) non avrebbe mancato, che non venissero del tutto abbandonate. Ma, oltre il giudizio delle Accademie che tuttavia seguitano a coltivarle, e l’uso vario, checchè se ne dica, il quale da queste Osservazioni, e a lume della Fisica, e anche di notizie pratiche, se n’è tratto; resta sempre la legittima difesa, di non essersi ancora raccolta copia sufficiente di queste osservazioni, almeno per cavarne tutte quelle fondate conseguenze, che si possono desiderare.

Comunque sia di ciò, per la cortesia del Sig. March. Abate Poleni avendo io l’agio di esaminare le suddette Osservazioni di 40 anni fatte in Padova, che si legano colle susseguenti mie proprie, ed essendomi parso questo un numero di anni, è di fatti molto considerabile, ho tentato di cavarne qualche frutto, ed è quello che nel seguente libro si troverà esposto. Oso lusingarmi, che non debba aver più tanto luogo la insultante dimanda che si faceva: a che servono tante Osservazioni? Poichè risulterà, se non m’inganno, che servono a qualche cosa.

Ho avuto nello stesso tempo con egual cortesia dal Sig. Tommaso Temanza, celebre Architetto, e Ingegnere Veneto, discepolo del medesimo Sig. March. Poleni, un Quinquennio di simili osservazioni, da esso fatte in Venezia, nelle quali contenendosi in oltre l’annotazione quotidiana del Flusso e Riflusso, questa mi porse grandissimo lume e fondamento per le regole Meteorologiche, che poscia ho dedotte. E perchè queste Osservazioni, e i loro risultati, si riferivano al nostro paese particolare, ho voluto esaminare è confrontare moltissime altre osservazioni, quante capitarono a mia notizia. sparse o negli Atti dell’Accademie, o ne’ libri de’ Medici, o ne’ Viaggiatori, fatte in paesi rimotissimi, e quasi sopra tutta la faccia della terra.

Da questo confronto risultò un mirabile consenso di cose, non aspettato, che forma un’induzione ben forte, per fondare quelle conseguenze, che ad imitazione de’ Medici ho creduto poter chamare Aforismi Meteorologici.

Siami condonato d’aver tentato di ridurre a numeri, e dentro dei limiti, una materia dianzi finuttuante, oscurissima, incertissima, controverssima tra i Dotti, e tra il popolo: avvertendo, che io non di queste Regole, che per probabili, in quei limiti, e in quei modi con cui sono espresse, a più testo come punti di osservazione, da verificarsi [p. xv modifica]poi, da dilatarsi, o da ristringensi, o anche, se le osservazioni più lunghe è più esatte vi si opponessero, da abbandonarsi del tutto; poichè non è finalmente questo, se non che un Abbozzo, ed un Saggio, di cui abbandono il giudizio alla ventura, e senza dubbio sarà vario, secondo i varj genj e modi di pensare degli Uomini.

Quello, di cui l’utilità mi sembra meno equivoca, e che in conseguenza può meritare più di attenzione, è l’istoria Meteorologica, per 45 anni, di questa regione Euganea, e circongiacente Venezia (per confessione di tutti i Viaggiatori la meglio costituita, la più bella, o era le poche più belle della Terra tutta): istoria, che farà conoscere la costituzione dell’aria, le Pioggie, i Venti, il Freddo, il Caldo, il variato peso dell’Atmosfera, e l’Influenza di tutte queste cose (che si potranno scorgere in un’occhiata ridotte in Tavole) sulle annate in questo paese.

Ma non si creda limitata a questo paese solo l’utilità di queste notizie . Poichè, prima vengono queste confrontate colle Meteore di molti altri paesi scambievolmente le une colle altre. Di poi i risultati più importanti sono generali e promiscui per tutti i luoghi della Terra; ed universalissima è l’applicazione loro all’Agricoltura, alla Medicina, alla Navigazione. Finalmente ai Dotti d’ogni paese deve riuscir grato di trovare illuminati dai fatti, varj punti interessanti e curiosi della Fisica celeste e terrestre.

Quale sia stato il mio debole lavoro, si vedrà nell’Opera: io l’ho divisa in tre Parti: la Prima serve d’Introduzione: contiene le cose generali e teoriche, rintraccia le cause atte a mutare l’Atmosfera, e coll’analogia delle Maree accenna quei Punti osservabili, spezialmente del corso Lunare, che dovrebbero influire sulle mutazioni de’ tempi, il tutto ridotto alla capacità ed intelligenza del popolo; poichè l’opera è scritta per li detti, e non dotti, che però amano di leggere qualche libro.

La Seconda Parre esamina, e confronta i Punti medesimi colle osservazioni, discute i fatti, ne deduce conseguenze, e risultati varj, teorici, e pratici; tutto in seguito venendo applicato agli oggetti dell’Agricoltura, della Medicina, e della Navigazione. Le osservazioni ne fanno il merito.

La Terza Parte contiene i Segni prossimi delle mutazioni dei tempi, molti de’ quali sono più noti al volgo che ai dotti, cercando però secondo i miei scarsi lumi, di spiegare con ragione fisica i fatti; poichè appartiene al Filosofo rendere, quanto può, ragion delle cose. Mi sarà condonata qualche picciola digressione, sparsa qua e là, o nel Testo, o nelle Note, non però affatto senza proposito.

Questi Pronostici su i tempi, molto studiati e osservati dagli antichi, si trovano come in fonte, nel Poema di Arato, da cui tolsero [p. xvi modifica]gli altri posteriori Scrittori, Poeti, o Filosofi. Perciò ho posta la Traduzione Italiana di questo Poema dal Greco, fatta dal Sig. Antenio Luigi Bricci, mio discepolo, giovine Veroneae di molti talenti e di singolare aspettazione, che tra gli altri suoi studj all’età di 16 anni gusta e coltiva con particolar Sapore le lettere latine, e le greche distintamente2.

20. Settembre 1770.

Note

  1. Vedete Mayer, Opera Posthuma Vol. I. colle annotazioni del Sig. Lichtemberg; Lambert, Nuov. Mem. di Berlino 1771; e particolarmente il citato Discorfo del Sig. Bockmann sulla perfettibilità della Meteorologia. Per perfezionare una volta la Meteorologia, conviene imitare gli Astronomi: stabiliscono questi, dalle osservazioni, delle leggi generali, i moti medj ec., indi cercano le disuguaglianze, con che predicono qualunque fenomeno Astronomico per qualunque tempo. Anche la Meteorologia ha delle regole generali, e dei fenomeni periodici, come risulta evidentemente da questo libro; conviene rilevare le aberrazioni, le vicende particolari: se si scoprirà tra queste e quelle un nesso, sarà ottenuto il gran punto di poter predire le stagioni: anche questo passo si è molto avanzato in questo libro, e si avanzerà col moltiplicare le osservazioni esatte. Profondonsi da’ Principi molte somme per l’Astronomia, e ben giustamente per le sue grandi utilità. La Scienza Meteorologica interessa ella meno l’uman genere, dice il Sig. Lambert, perchè non s’abbia a fare qualche cosa anche per essa?
  2. Il Sig. A. L. Bricci, avendo spiegato talenti anche più solidi, trova già da qualche anno fregiato del carico di Consultore della Serenissima Repubblica.