Saggi critici/Saint-Marc Girardin, «Cours de littérature dramatique»
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«Cours de littérature dramatique»
Saint-Marc Girardin ha scritto, ch’è un pezzo, un corso di letteratura drammatica. Molto se n’è disputato a quei tempi; né è disutile che vi si ritorni sopra. Quando un libro sopravvive alle critiche contemporanee, se ne ha una buona opinione, che resta tradizionale. Si dice: — È un buon libro— ; e se domandi il perché, si è impacciato a risponderti. Il vero perché è che cosí si è inteso a dire. Avviene de’ libri quello che degli uomini: talora essi debbono la loro fama a certe circostanze accidentali, e, mancata la causa, rimane l’effetto: chi si attenterá a porre in dubbio un merito riconosciuto universalmente? Invano addurrai le tue ragioni: il piú spesso la ragione è vinta dalla tradizione. Cosi molte opinioni s’introducono quasi di soppiatto nella scienza, e vi sono rispettate per il lungo e non contrastato possesso. La critica esser dee una sentinella vigilante, che non dia adito ad alcuna opinione, senza il debito esame.
Saint-Marc Girardin dettò le sue lezioni sulla letteratura drammatica, quando fervea ancora la disputa tra classici e romantici. In questa contesa i romantici avevano un gran vantaggio. Essi dicevano a’ loro avversari: — Noi facciamo: fate anche voi. Che cosa opponete a Victor Hugo? La Lucrezia di Ponsard! — E si che se ne fece un gran dire; ed il povero Ponsard con suo grande stupore si vide mutato in un grand’uomo e posto accanto a Racine e Corneille.
Il nostro Girardin si guarda bene dall’opporre libro a libro; ma si caccia in mezzo ai combattenti armato di sillogismi. I quali alla fin fine si riducono a quest’unico entimema perpetuamente ripetuto: — Gli antichi rappresentavano le passioni cosí e cosí; dunque voi che le rappresentate in altro modo, avete torto. — Volete voi conoscere tutte le lezioni di Saint-Marc Girardin? Leggetene una sola.
Qual peso dare a’ giudizi, che di questo libro si fecero in tempi, ne’ quali per amor di parte fu levata alle stelle la Lucrezia del Ponsard, giá morta e sepolta? Ora che quei tempi noi li guardiamo a distanza, possiamo riposatamente ragionare del libro.
Il critico si propone di combattere il materialismo introdottosi in letteratura. «La prépondérance de la sensation sur le sentiment est un des plus singuliers effets du style moderne. Nous ne représentons, comme nos devanciers, que les passions de l’âme, la haine, la colère, la jalousie, l’amour, la tendresse maternelle; mai nous les représentons comme des passions du corps; nous les matérialisons, croyant les fortifier; nous les rendons brutales pour les rendre énergiques.» Il fatto è vero; e lo scopo ch’egli si propone è lodevole. Cousin combatteva il sensismo in filosofia; Girardin lo combatte in letteratura.
Ma non mi pare acconcia la via per la quale si è messo. Ecco in che modo egli procede. Prende un sentimento qualunque e ti fa la storia della sua espressione artistica in tre etá: presso i Greci, nel secolo di Luigi XIV, ed ai nostri giorni. Nella seconda lezione, per esempio, ragiona del modo onde il teatro antico e moderno ha espresso i sentimenti che sono generati dal dolore fisico e dal timore della morte: e paragona l’Ifigenia di Euripide e Racine con l’Angelo tiranno di Padova di Victor Hugo. La conclusione è sempre la stessa. I moderni hanno raffinato e materializzato i sentimenti.
Questo metodo è viziosissimo. Non è possibile un paragone se non in paritá di condizioni. Voi mi paragonate Catarina con Ifigenia. E che vi è di comune tra loro, altro che il fatto materiale? Ambedue debbono morire; ma ciò non è niente ancora. Quello che determina la natura del loro sentimento, è il loro «carattere», le «condizioni» speciali, nelle quali si trovano, le «persone» a cui parlano, il «secolo» in cui vivono, ecc. O forse non sará permesso di dolersi che come fa Ifigenia? Innanzi alla morte ciascuno esprime quello che sente, secondo la sua natura e le sue credenze e i suoi tempi. Altri la disprezza, altri la invoca. Il pagano, il cristiano, l’ateo, l’uomo volgare, il filosofo la guardano in diverso modo. Eleonora Pimentel e madama Roland morirono, come le donne di Alfieri, eroicamente, senza mandare un lamento: il patibolo fu per loro un piedistallo: «forsan haec ohm meminisse juvabit» dicea Eleonora. Che cosa fa il Girardin? Sopprime tutte le gradazioni, si fa un tipo astratto e fisso del sentimento, e perciò falso, e lo impone a tutti i poeti. In poesia non si tratta di sapere se un sentimento che prova un personaggio, sia ragionevole, nobile, ecc., ma se, posto il tal carattere e le tali condizioni, il sentimento attribuitagli sia «vero». Se Girardin avesse ben esaminato la situazione diversa in cui si trova Catarina e Ifigenia, avrebbe capito che l’espressione del loro sentimento è in ambedue vera appunto perché diversa: Ifigenia è Ifigenia e Catarina è Catarina.
Ben so che cosa mi si potrebbe dire. Ciascun sentimento risponde ad un tipo unico ed invariabile che soprasta a tutte le condizioni particolari, ed è il medesimo in ogni tempo e luogo, come la veritá e l’assoluto. L’amor paterno, per esempio, ha certe sue proprietá immutabili, alle quali nessuno può contraddire senza falsarlo. Certamente.
Ma il sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente. Né uffizio del poeta è di rappresentare il sentimento nella sua perfezione astratta. Shakespeare non ha obbligo di raccogliere in Otello tutti i caratteri della gelosia, né Alfieri in Filippo tutti gli elementi della tirannide; sicché essi siano la rappresentazione della gelosia o della tirannide sotto un nome proprio. A questo modo i personaggi poetici non sarebbero altro che mere allegorie.
Si crede comunemente che la poesia consista nello spogliare la realtá di tutte le sue imperfezioni ed alzarla alla piú alta perfezione, cumulando in lei tutte le buone qualitá. Con questa presupposizione credette il Tasso che il piú perfetto suo personaggio fosse il Goffredo, e riuscí il piú imperfetto, perché il piú astratto. La poesia dee riprodurre la realta «vivente», ecco tutto; né vi sgomentate, credendo che io cosí di un tratto di penna annulli l’ideale. Tutto ciò che vive ha seco il suo ideale, e perciò «vive»; altrimenti non è che un’unione meccanica di diversi elementi, «pura» realtá. Vivere è avere un’anima che pensi e senta. Che importa se il suo pensiero sia vero o falso, se il suo sentimento sia perfetto o imperfetto? Il poeta dee rappresentarci un uomo vivo; voi potete scendere a discussione con quest’uomo e dimostrargli ch’egli crede il falso, che il suo sentimento è piuttosto un istinto, ecc. Ma se egli crede e sente, è giá un perfettissimo personaggio poetico.
Triboulet deve essere tipo dell’amor paterno; vedete, dice Girardin, l’Orazio di Corneille. Ma niente affatto. Triboulet deve essere padre come può esserlo Triboulet. Fategli sentire l’amor paterno nella sua piú alta perfezione, e Triboulet non vive piú, Triboulet è morto; poiché le qualitá che voi volete dargli ripugnano alla concezione di Victor Hugo. Ma egli non è un padre perfetto. Come se il poeta dovesse rappresentare il padre perfetto, il geloso perfetto, l’innamorato perfetto!
Questa falsa teoria, da cui non possono nascere che esseri astratti o rappresentazioni allegoriche, ha prodotto quel materialismo, di cui si lamenta il Girardin. — Che cosa è divenuta la poesia? — domandava Diderot. — I vostri personaggi, o poeti, sono fuori della vita, fuori della realtá. Voi vi siete fitti in capo certe idee preconcette, a cui date questo o quel nome; i vostri nomi propri vivono fuori del tempo e dello spazio.
E per rimediarvi andò all’altro estremo, e sostituí ad un ideale astratto un reale astratto: la poesia diventò nelle sue mani una copia.
Girardin combatte questa tendenza, e non si accorge che la combatte appunto in nome stesso di quella teorica, che le ha dato origine. La via è sbagliata.
Che cosa è il materialismo dell’arte? È la pura realtá, cioè a dire l’astratta, la morta realtá. Che cosa opponete voi a questo materialismo? Il puro ideale (il perfetto), cioè a dire l’astratto, il morto ideale. Le due teoriche menano alla stessa conclusione, all’annullamento dell’arte.
Ma il Girardin non intende a questo modo il materialismo. Nel padre Goriot di Balzac ed in Triboulet, l’arte, secondo lui, è materialista, perché in costoro l’amor paterno è piuttosto istintivo che ragionevole. Qui non c’intendiamo piú. Sono materialisti i personaggi rappresentati, non è materialista l’arte. È un grosso equivoco in cui cade il critico. E da quando in qua non sará lecito al poeta di rappresentarci la parte istintiva dell’uomo? Non è suo uffizio di cogliere i sentimenti in tutte le gradazioni che hanno nell’umana natura? Adunque un poeta od un romanziere non può rappresentare un uomo come Goriot e Triboulet? Il poeta è materialista quando non sa far muovere quell’istinto, quando rimane ne’ confini del mero reale. Ma se quell’istinto è una forza viva, che genera dolori e gioie, che pone in travaglio tutte le potenze dell’anima, che avete a dirci voi? Il poeta ha creato un capolavoro. Né so perché dobbiate cacciarmi fuori della poesia gli uomini materialisti, come li chiamate, ovvero istintivi, che sono forse le piú attraenti creature poetiche.
Eccone un esempio: Bianca, figliuola di Triboulet, ama il re; ed il padre gliene domanda la ragione.
Triboulet
Et tu l’aimes!
Blanche
Toujours.
Triboulet
Je t’ai pourtant laissé
Tout le temps de guérir cet amour insensé!
Blanche
Triboulet
O pauvre coeur de femme!... Mais explique
Tes raisons de l’aimer.
Blanche
Je ne sais.
Triboulet
C’est unique!
C’est étrange!...
Je te pardonne, enfant!
(Atto IV, sc. I) |
Povera Bianca! Che ti valgono i tuoi sedici anni e la tua innocenza e tanto cara ingenuitá? Tuo padre ti ha perdonato, ma Girardin non ti perdona. Tu ami per «istinto»; che sorta d’amore è il tuo, che non mi sai addurre una ragione, una ragione sola per giustificarlo? Perché l’ami? «Je l’aime.» Ma perché l’ami? «Je ne sais.» Tu sei una materialista bella e buona; e l’arte che ti ha creata e fatta immortale, è rea di materialismo. Sissignori; non crediate giá ch’io parli per celia: tale è l’opinione del Girardin. «Cette loi de l’instinct, loi toute matérialiste, est tellement la loi de tous les personnages du drame de M. Victor Hugo, que, lorsque Bianche avoue á son pére qu’elle aime le roi, c’est encore par l’instinct qu’elle explique son amour; e cette réponse satisfait son pére.» Fu giá tempo che l’amore si disse cieco. Si ama, perché si ama. Ma Girardin non ammette nel Parnaso che le passioni ragionevoli; ed il sentimento, quando non ha in sé un granello di ragione, è materialismo, è istinto, sensazione, non è piú sentimento, non piú poesia. Il fatto è che le passioni poetiche sono il piú spesso irragionevoli e istintive a cominciare dall’ira del divino Achille. La veritá è che sentimento e ragione sono due cose diverse, che possono star bene l’una senza l’altra; che ne’ caratteri poetici di rado stanno insieme a quel modo che nel pio Enea e nel pio Goffredo; che la poesia deve rappresentare l’umana natura in tutta la ricchezza delle sue gradazioni dalla ragione fino all’istinto; e che è passato il tempo di questa critica restrittiva e geometrica che giudica con la spanna ed il compasso.
Torniamo alla risposta di Bianca. Questa giovinetta è stata dal padre tenuta lontana dal mondo e custodita con gelosa cura nelle pareti domestiche. È ben naturale che quando le si affaccia innanzi un giovine che le parli un linguaggio appassionato, costui faccia nel suo animo nuovo ed inesperto una impressione incancellabile. Scopre poi che l’amante la scherniva, che il suo amore è insensato, che dispiace al padre. E nondimeno ella ama, ama di un amore insanabile, fino a morire per salvare la vita all’amato. Girardin vuole le donne forti, che sappiano sottoporre le loro passioni alla ragione. Ma vi sono le donne forti e le donne deboli; e queste ultime non sono le meno poetiche: vedete Francesca da Rimini. Girardin vuole che le donne abbiano coscienza di quello che fanno e sappiano rendersene ragione. Ma vi sono i caratteri inconsapevoli, che non sanno analizzare i loro sentimenti, che amano senza sapere che cosa è amore, che conservano qualche cosa di fanciullesco in tutta la vita, e sono le creature piú amabili della poesia. In veritá non c’è uomo si rozzo che non si senta invaghito di questa Bianca, degna di starsi accanto a Giulietta e ad Ofelia, e che quando al padre, che le chiede la ragione del suo amore, risponde: — Non so; io amo, — non la guardi con compiacenza e non le dica: — Cara fanciulla! — Spesso l’amor del sistema crea de’ sentimenti artificiali, e rende un dotto critico ottuso alle bellezze poetiche, e giudice raen giusto dell’uomo semplice ed ignorante. Cosi è avvenuto di Saint-Marc Girardin.
Ma perché si veggano meglio le assurde conseguenze, alle quali mena il suo sistema, io mi propongo di scendere a qualche applicazione esaminando il giudizio che dá del Triboulet di Victor Hugo.
[Nel giornale «Il Piemonte» di Torino, a. II, n. 9, i0 gennaio i856.]