Saffo in Leucade/Cantata
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C A N T A T A
S A F F O.
Ecco il Tempio bramato: ecco la meta
De’ miei lunghi sospir. Quivi a seconda
Delle voci del Dio,
O la vita, o l’amor lasciar degg’io.
Sacri Ministri, ah! secondate amici
I miei prieghi, il mio pianto;
E tu propizio intanto
O Nume feritor, volgimi il ciglio;
E vedi innanzi all’ara
Con dimesso sembiante
Un cor trafitto, una infelice amante.
Oh raggio candido,
Che splendi, e tremoli,
A te coi palpiti
Risponde il cor.
Vieni a quest’anima
La vita a rendere,
O cara immagine
Del mio tesor.
Odesi strepito d’Orchestra. S’oscura il cielo: lampi, e tuoni.
Ahimè! Che sarà mai!
Quai lampi ardenti!
Tuona alla destra!
Il vacillante suolo,
Già più non mi sostiene:
Misera! In questo dì par che rovini
A spavento dell’empio
La Terra, il Monte, il Simulacro, e il Tempio.
C O R O.
Taci, che al fine
Il Dio del Canto
Col tuo bel pianto
Si placherà.
O FANCIULLA DI LESBO,
IL FOCO DELL’AMOR, CHE TI CIRCONDA
S’ESTINGUERÀ DI LEUCADE NELL’ONDA.
SAFFO.
Che lessi! È dunque scritto
Il decreto fatale? Il divin labbro
La gran sentenza proferì. Si corra
S’obbedisca al suo cenno. Ardita e franca
Vadasi... Ah non ho cor: nel punto estremo
L’ardir mi manca, impallidisco, e tremo
Più non trovo in ciel pietade,
Più non ho conforto al core.
Si spietato è il mio dolore,
Che non so più lacrimar.
Sol vi chiedo o giusti Dei,
Di vedere il caro amante;
Sul suo volto in quest’istante
L’alma mia godrà spirar.
Vergognosa viltà! Forse quell’onda
In sen di tanti, e tante
La piaga non sanò?
Spero nel Nume:
A lui m’affido: un nuovo ardor già sento
Vado in braccio al mio fato, e non pavento
C O R O.
Alma più intrepida
Nò non si dà
S A F F O.
Vista terribile,
Tu fosti immagine
Della mia barbara
Fatalità.
Dolce speme del mio core,
Non mi è grave il fato mio;
Ma il dover lasciarti, oh Dio,
È insoffribile dolor.
C O R O.
Qual costanza, qual’esempio
Di coraggio, e di valor.
S A F F O.
Va crudel, che della morte
Il vederti è più gran pena
Più quest’alma non si frena
E m’opprime il mio dolor.
F I N E.