Cantata

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Alli signori accademici del casino
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C A N T A T A


Si vede spuntare la Luna dall’Orizzonte. Spiaggia di Mare. Promontorio altissimo di Leucade di Marmo bianco, Tempio di Apollo Leucadio. La Spiaggia è ingombra dei Monumenti di coloro, che perirono nel salto, o ne sortirono felicemente. Iscrizioni sugli uni, e sugli altri. Il più magnifico è quello di Deucalione, che fu il primo ad esporsi al cimento. Antro di Stratonica da un lato.
saffo, coro, e sacerdoti di apollo.

S A F F O.

Ecco il Tempio bramato: ecco la meta
   De’ miei lunghi sospir. Quivi a seconda
   Delle voci del Dio,
   O la vita, o l’amor lasciar degg’io.
   Sacri Ministri, ah! secondate amici
   I miei prieghi, il mio pianto;
   E tu propizio intanto
   O Nume feritor, volgimi il ciglio;
   E vedi innanzi all’ara
   Con dimesso sembiante
   Un cor trafitto, una infelice amante.

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Oh raggio candido,
      Che splendi, e tremoli,
      A te coi palpiti
      Risponde il cor.
Vieni a quest’anima
      La vita a rendere,
      O cara immagine
      Del mio tesor.

Odesi strepito d’Orchestra. S’oscura il cielo: lampi, e tuoni.

Ahimè! Che sarà mai!
   Quai lampi ardenti!
   Tuona alla destra!
   Il vacillante suolo,
   Già più non mi sostiene:
   Misera! In questo dì par che rovini
   A spavento dell’empio
   La Terra, il Monte, il Simulacro, e il Tempio.

C O R O.

Taci, che al fine
       Il Dio del Canto
       Col tuo bel pianto
       Si placherà.

[p. 7 modifica]Si vede scrìtto all’improvviso sulla porta del Tempio.

O FANCIULLA DI LESBO,
IL FOCO DELL’AMOR, CHE TI CIRCONDA
S’ESTINGUERÀ DI LEUCADE NELL’ONDA.

SAFFO.

Che lessi! È dunque scritto
    Il decreto fatale? Il divin labbro
    La gran sentenza proferì. Si corra
    S’obbedisca al suo cenno. Ardita e franca
    Vadasi... Ah non ho cor: nel punto estremo
    L’ardir mi manca, impallidisco, e tremo
         Più non trovo in ciel pietade,
             Più non ho conforto al core.
             Si spietato è il mio dolore,
             Che non so più lacrimar.
         Sol vi chiedo o giusti Dei,
             Di vedere il caro amante;
             Sul suo volto in quest’istante
             L’alma mia godrà spirar.
Vergognosa viltà! Forse quell’onda
    In sen di tanti, e tante
    La piaga non sanò?
    Spero nel Nume:

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A lui m’affido: un nuovo ardor già sento
Vado in braccio al mio fato, e non pavento

C O R O.

Alma più intrepida
          Nò non si dà

S A F F O.

Vista terribile,
          Tu fosti immagine
          Della mia barbara
          Fatalità.
Dolce speme del mio core,
          Non mi è grave il fato mio;
          Ma il dover lasciarti, oh Dio,
          È insoffribile dolor.

C O R O.

Qual costanza, qual’esempio
          Di coraggio, e di valor.

S A F F O.

Va crudel, che della morte
          Il vederti è più gran pena
          Più quest’alma non si frena
          E m’opprime il mio dolor.

F I N E.