Rubin e il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione/Capitolo 2.1

La forma mercantile che assume il lavoro

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Secondo Rubin, ovunque esista una società di uomini che mettono in atto tra loro una divisione del lavoro complessivo (qualsiasi sia la società e qualsiasi sia il modo con cui si dividono il lavoro), essa deve porsi il problema del criterio con cui stabilire l'equivalenza sociale dei vari lavori, parti del lavoro complessivo. Senza questa operazione di equivalenza non può esistere divisione del lavoro, ma solo caos e mancanza di integrazione dei compiti individuali.

All'interno di una fabbrica questa attività la compie in modo pianificato e immediatamente esecutivo la direzione: essa analizza i bisogni del processo produttivo, stabilisce l'equivalenza tra i vari lavori e l'assegnazione nei reparti. Rubin nota che diversamente accade nelle società mercantili, dove nessuno analizza direttamente i bisogni sociali, nessuno stabilisce direttamente l'equivalenza dei lavori singoli, nessuno dice ai produttori privati quanto e che cosa produrre. Come abbiamo già visto, tutto questo però avviene, anche se post— festum: ovvero nello scambio, spontaneamente. È solo nello scambio che si afferma l'equiparazione dei lavori, attraverso l'equiparazione delle merci: scambiabilità del prodotto con denaro (cioè con il prodotto di qualsiasi altro lavoro) e dunque affermazione del lavoro individuale come lavoro sociale; uguaglianza sociale dei lavori in base al denaro ricavato1; equivalenza delle merci dello stesso lavoro (prezzo unico per tipo di merce).

Rubin ritiene quindi che a causa del feticismo della merce il lavoro assuma storicamente trasformazioni analoghe a quelle della merce: i lavori privati si affermano come lavoro sociale (sono parte del lavoro complessivo); lavori concreti qualitativamente differenti per qualificazione e tecnica produttiva vengono quantitativamente uguagliati socialmente2 come fossero lavoro in genere, lavoro astratto che si differenzia solo per quantità; superamento delle diversità individuali in una determinata attività (lavoro socialmente necessario). Sono queste tutte definizioni di lavoro che crea valore, perché solo in queste condizioni, nella società mercantile, il lavoro privato è riconosciuto come sociale e genera un guadagno (in questo caso di denaro) (ivi, 102-103). Il lavoratore all'interno di una fabbrica non riceve un reddito perché il prodotto del suo lavoro si è rivelato ex-post scambiabile con altri e quindi con denaro, ma perché egli esegue le direttive del piano della direzione; a queste condizioni, per la società-comunità, il suo lavoro è immediatamente sociale3 e percepirà un reddito4. Il produttore mercantile può al massimo tentare di prevedere se e quanto il suo lavoro sarà considerato socialmente equivalente a quello degli altri. Non è immediatamente sociale, non gli basta “produrre” concretamente: tale produzione deve poi equipararsi con una certa somma di denaro e solo alla fine il suo guadagno sistematicamente doppio rispetto, tanto per fare un esempio, a quello di uno spazzino, può dirgli che il suo lavoro concreto è socialmente equiparato al doppio rispetto a quello dell'operatore ecologico.

Rubin ritiene totalmente travisante del marxismo la concezione fisiologica del lavoro che crea valore, confondendola con quella “genuina” di lavoro astratto. Essa vede nel lavoro tecnicamente e concretamente inteso (lavoro come fattore di produzione) non già un presupposto necessario del lavoro astratto5 e di ogni forma sociale in genere6.


Il lavoro “astratto”

Secondo Rubin la teoria marxiana del lavoro astratto parla dell'equivalenza sociale dei lavori per mezzo del valore delle merci, che è tipica ed esclusiva dell'economia mercantile. Il lavoro astratto è un sottotipo di lavoro socialmente equivalente: è quello reificato in merci e poi in denaro, che fa astrazione di ogni caratteristica tecnico-concreta dei lavori, ma li eguaglia ad una uguale somma di merce equivalente generale, il denaro, che rappresenta astrazione concreta di tutti i lavori (ivi, 112 e 123). Due lavori agli antipodi tra loro concretamente, ma socialmente equiparati alla stessa quantità di denaro, sono uguale quantità di lavoro astratto, di lavoro che crea quel valore attaccatogli. In un'economia pianificata, invece, non c'è alcun bisogno che i lavori individuali si traducano in “lavoro astrattamente generale”, poiché non entrano in contatto tra loro se non per le esigenze tecnico-materiali del flusso produttivo; essi sono subordinati al piano, che stabilisce direttamente l'equivalenza funzionale degli stessi.

Rubin fa notare che anche se l'equivalenza sociale dei lavori come lavoro astratto si stabilisce mediante lo scambio, alcune proprietà che caratterizzano il lavoro concreto hanno un'influenza causale sulla determinazione quantitativa del lavoro astratto, prima e indipendentemente dall'atto di scambio (ivi, 124); è dunque in questo senso che dev'essere letta l'affermazione che il valore viene creato nella sfera della produzione e non dall'anarchia dello scambio. Un lavoratore che produce con una produttività straordinaria (perché è più abile della media, perché è più intelligente e sfrutta meglio i mezzi di produzione, ecc.) ritroverà il suo lavoro concreto equiparato a una quantità di valore maggiore della media, come se avesse lavorato astrattamente 16 ore invece che 8, poniamo. Ma Marx (1964, 76) precisa che tale livello medio è dato per una determinata società in un determinato periodo; non appena il suo lavoro straordinario ritorna ad essere ordinario rispetto agli altri lavoratori del suo settore, il suo lavoro di 8 ore verrebbe di nuovo equiparato a 8 ore.


Il lavoro “socialmente necessario”

Rubin afferma quindi che sulla base dell'equiparazione di valore delle merci di uno stesso tipo, anche i relativi lavori per la produzione di tali merci sono livellati ed equiparati ad una uguale quantità di valore. Così le differenze di lavoro concreto individuali si trasformano in uguale lavoro astratto, valore attribuito a quella merce. Tale valore è quello che serve a impiegare il lavoro socialmente ritenuto necessario per la produzione di quella merce particolare; così il valore di una merce non è tanto determinato dalle condizioni di produzione più sfavorevoli, ma piuttosto dalle condizioni più diffuse, quelle che apportano la maggior massa di merci. È dunque evidente che le imprese a maggiore produttività rispetto alla media producano merci dal “valore teorico” individuale più basso rispetto a quello di mercato, realizzando un extra-profitto; il contrario vale per quelle più improduttive. I lavori privati tendono così a livellarsi anche a livello tecnico-produttivo - oltre che sociale - attraverso l'equiparazione dei differenti lavori individuali con una quantità unica di lavoro astratto.


Il lavoro “qualificato”

Rubin prosegue notando che, se il modo di produzione mercantile equipara quantitativamente lavori individuali differenti quanto a intensità, abilità, produttività, ecc., anche i lavori di differenti qualifiche vengono comparati e valutati tra loro. L'equiparazione dei lavori mediante quella delle merci non può che trasformare in quantitativa soltanto l'equiparazione dei lavori concreti qualitativamente differenti. Certamente un sarto che lavora molto intensamente produce più abiti del suo collega di quartiere, fiacco e sonnolente, rappresentante la media dei sarti della zona; questa equiparazione tra lavori differenti in intensità è la teoria del lavoro socialmente necessario che premia la maggiore produttività attraverso l'attribuzione di un valore unico di mercato alle merci dello stesso tipo che rispecchia le condizioni di produzione dominanti. Ma anche lavori totalmente diversi tra loro vengono equiparati sul mercato, ricevendo le loro merci un'attribuzione di valore, mentre i lavori ricevono la forma di lavoro astratto solo quantitativamente differente tra loro. Tutti i lavori, infatti, presentano diversi gradi di specializzazione, esperienza, qualificazioni; senza contare che molti mestieri richiedono fin da subito competenze specifiche, che non possono essere improvvisate o acquisite in tempi non considerevoli o che non possono essere acquisite affatto da tutti7. Il mercato valuta questi lavori in misura maggiore rispetto a quelli che non richiedono particolari specializzazioni o abilità, ma non sulla base smithiana del maggior valore della forza-lavoro (ivi, 131), bensì sulla base della necessità che la società ha di questi lavori e, di conseguenza, della convenienza economica che anima i soggetti economici nella società di mercato:


“il valore del prodotto del lavoro qualificato deve superare quello del prodotto del lavoro meno qualificato di un ammontare sufficiente a compensare le differenti condizioni di produttività e a stabilire un equilibrio tra i due. [\ldots ] Il problema del lavoro qualificato si riduce all'analisi delle condizioni di equilibrio tra forme diverse di lavoro diversamente qualificate.” (ibidem).


Secondo Rubin l'economia mercantile si regola proprio sulla base del meccanismo del vantaggio relativo rispetto agli altri lavori (ivi, 130): un produttore si specializza, si qualifica e affina le sue abilità rispetto al livello base della società8 se e solo se il suo lavoro specializzato sarà posto socialmente come superiore al lavoro generico, cioè solo se verrà posto equivalente ad una quantità maggiore di lavoro astratto, il che significa che il lavoro qualificato è lavoro semplice moltiplicato. E ciò si verifica se e solo se le merci che produce vengono valutate sul mercato un certo numero di volte maggiore rispetto a quelle delle professioni più generiche. Il produttore mercantile, infatti, non produce direttamente per i bisogni della società, ma per il valore che spera di ricavare in cambio del suo lavoro; l'equiparazione tra lavori di differente specializzazione è un fattore costante in una società basata sulla divisione del lavoro9, ma solo nella società mercantile questo fatto assume la forma di lavoro qualificato come maggior lavoro astratto rispetto a quello semplice, distinto da esso solo per la maggiore quantità, cioè per il fatto di essere valutato come una somma di denaro volte superiore. Così l'equiparazione sociale tra i lavori di bracciante agricolo e avvocato non si esprime nei soldi qualitativamente diversi che il secondo guadagna rispetto al primo, bensì con i soldi quantitativamente maggiori che il principe del foro si intasca rispetto ai pochi spiccioli dei dannati della terra. Se la teoria del lavoro socialmente necessario mira oltretutto a spiegare la spinta al progresso tecnico nella società mercantile attraverso l'equiparazione dei differenti lavori individuali nello stesso settore, la teoria del lavoro semplice intende certamente spiegare anche la tendenza all'accrescimento del livello produttivo del lavoro sociale attraverso l'equiparazione sociale dei differenti rami della produzione, spingendo i produttori a qualificarsi per poter investire il proprio lavoro in quei rami produttivi maggiormente valutati. Nel tempo si tende a un certo equilibrio, nuovamente rotto da nuovi lavori ancora più qualificati10.

Abbiamo fin qui visto l'interpretazione di Rubin della forma che assume il lavoro nella società mercantile, dunque in quale veste esclusiva esso crea valore ed è sostanza di valore: quando da concreto diviene astratto, quando da individuale diviene socialmente necessario, quando da diversamente qualificato diviene multiplo di lavoro semplice. Ora possiamo esaminare la “legge del valore”, che Rubin definisce “la legge dell'equilibrio dell'economia mercantile” (Rubin 1976, 54).

Note

  1. È sempre qui supposto da Rubin un periodo sufficientemente lungo da livellare le differenze individuali e i temporanei squilibri da eccesso/carenza di una determinata merce.
  2. La quantità di denaro rappresenta proprio la quantità di “lavoro generale”.
  3. Prescindiamo in questo capitolo dal capitalismo, dunque dal fatto che il lavoro operaio nel capitalismo si tramuta non in semplice lavoro sociale, ma in lavoro salariato; lavoro assolutamente mercantile che non solo crea valore, ma dal punto di vista marxista anche plusvalore.
  4. I criteri e le dinamiche con cui nasce e si ditermina questo reddito non sono ovviamente qui affrontate.
  5. È parere di chi scrive che un lavoro incapace di produrre alcun valore d'uso non è certamente in grado di produrre valori d'uso per altri, merci. D'altra parte l'utilità materiale del lavoro è presupposto di ogni lavoro, non solo di quello mercantile: il padre che costruisce in garage la bicicletta per la figlia svolge un lavoro certamente utile, probabilmente anche fisiologicamente uguale a quello di un produttore di biciclette, ma non per questo egli stesso produce valore regalandola alla pargoletta.
  6. Rubin ritiene (ivi, 110) che anche la concezione che vede un denominatore comune fisiologico nei vari lavori è un presupposto dell'economia: se non fosse possibile per gli uomini intraprendere vari tipi di lavoro a causa di vincoli biologici, non vi sarebbe alcuna divisione sociale del lavoro, ma al massimo una società simile a quella delle api e delle formiche, dove la divisione del lavoro complessivo non è sociale, ma naturale. E non muterà fintanto che non sarà la specie stessa a mutare.
  7. Ad esempio tutte quelle che richiedono studi e formazione particolari, iscrizione agli albi, particolari caratteristiche fisico-attitudinali, ecc.
  8. “Tale livello cambia nei differenti luoghi ed epoche storiche, ma per una società in un certo momento, esso è dato.” (Marx 1964, 76). In altri termini, tanto per fare un esempio, potremmo dire che nell'arretrata Russia del XIX secolo, il lavoro semplice di un qualsiasi operaio della industrializzata Inghilterra poteva essere considerato come lavoro qualificato, sulla base della differenza tra saper manovrare solo una zappa e saper far andare anche una macchina industriale a vapore. Ma all'interno della realtà inglese, anche un operaio altamente qualificato in Russia probabilmente altro non era che fornitore di lavoro generico, semplice, non particolarmente qualificato rispetto a chiunque altro.
  9. È, a mio avviso, evidente che persino all'interno della quotidiana divisione dei compiti familiari tale differenza di esperienza e qualificazione viene tenuta in forte considerazione nell'equiparazione sociale dei compiti; così si premiano con rumorose effusioni e slanci d'orgoglio i 10 minuti spesi dal bambino che per la prima volta ordinatamente aiuta i genitori a sparecchiare la tavola, mentre le ore passate dalla mamma a cucinare, lavare, stirare, pulire, ascoltare e, come se non bastasse, lavorare, vengono spesso equiparate con un semplice “che c'è da mangiare stasera?”.
  10. Come del resto l'equilibrio all'interno di un settore produttivo (cioè l'identità tra valore teorico individuale e valore di mercato) viene continuamente spezzato dall'emergere di nuove imprese ancora più produttive.