Rivista di Scienza - Vol. II/Coenobium, luglio-agosto 1907
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Coenobium. (Lugano - Luglio-Agosto 1907). — Angelo Crespi, «Il problema religioso nella luce del Pragmatismo». Riattaccandosi a Peirce, James e Schiller, ed in particolare al recente libro di questi, «Studies in Humanism» (Macmillan & C., London 1907), spiega la tesi gnoseologica pragmatistica che riduce le leggi naturali ad una creazione volontaria dell’uomo, in vista di un’utilità o di un bisogno. Da questo punto di vista il problema religioso assume un aspetto nuovo: non può più esser questione di decidere se all’oggetto della fede corrisponda o no una verità, ma soltanto se si trovi utile di voler credere o di non volerlo.
[Questo articolo ha il pregio di far palese il valore e il significato sociale della Filosofia pragmatistica. La quale esprime in sostanza il tentativo di accreditare la religione in nome degli interessi che vi si riattaccano, e perciò deve incontrare naturalmente la disapprovazione di coloro — credenti o non credenti — che pongono come principio etico fondamentale «la volontà del vero».
Limitandoci a considerare soltanto l’aspetto scientifico della questione, notiamo che la dottrina della conoscenza contenuta nel pragmatismo poggia sopra un’analisi unilaterale: è certo che nella conoscenza c’è qualcosa di volontario, che tiene al lato subiettivo del sapere, ma vi è anche qualcosa di reale o obiettivo che non dipende dal nostro volere; e la discriminazione di questa verità indipendente dal timore e dal desiderio risale già ai filosofi della Rinascita. Il sentimento può accreditare certe aspettative in confronto a certe altre, ma non può impedire che esse vengano deluse; e l’uomo che si è abituato a giudicare con prudenza e sincerità delle proprie previsioni, misurandole alla stregua di criterii scientifici, non sfugge al bisogno di estendere il suo giudizio anche a quelle previsioni che per avventura oltrepassino i limiti di un esperimento diretto, e di valutarle tacendo astrazione dai sentimenti che vi si collegano].