Rime di Argia Sbolenfi/Libro secondo/Le visite del Cardinale
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QVANDO
IL PREFETTO DEL RE
E IL SINDACO DEL COMVNE
RENDEVANO OMAGGIO
A SVA EMINENZA REVERENDISSIMA
DOMENICO SVAMPA
PRETE CARDINALE DEL TITOLO DI SANT’ONOFRIO
ED ARCIVESCOVO DI BOLOGNA
QVESTO CARME BENE AVGVRANTE
AL SVO FORMOSO PASTORE
ARGIA SBOLENFI
DEDICAVA
Signor, poi che ti sta supplice ai piedi
Questa Felsina tua che un dì sdegnosa
Bacio di prete sofferir non volle,
Costei che, infranto il trono in cui tu siedi,
5Cercando libertà tinse gioiosa
Del suo sangue miglior l’itale zolle,
Absolvi or la pentita e le concedi
L’amplesso del perdono
Dimenticando dell’error l’audacia.
10Sii generoso e buono
Con chi, come a Signor, la man ti bacia,
E poi che piango ravveduta anch’io,
Misericorde ascolta il canto mio.
Un tempo, e ben lo sai, morta di fame,
15Schiava del tuo stranier temprò la plebe
Ceppi a se stessa su la propria incude:
Pe’ sacerdoti tuoi le turbe grame
Reser feconde le sudate glebe
E sul solco natio caddero ignude
20Ai campi della Chiesa util letame;
Ma un Dio consolatore
Da’ sacri templi a lor dicea: «Soffrite,
Turbe nate al dolore
E che felici nel dolor morite,
25Poi che v’aspetta in ciel di Dio il sorriso
E sol de’ tribolati è il paradiso».
Dolci tempi, o Signor, ma triste il giorno
In cui la libertà disse il suo nome
La prima volta nella rea Parigi,
30Poi che le turbe allor volsero intorno
Torbido l’occhio e scossero le some
Brandendo l’armi ad operar prodigi
Di che all’anime pie duro è il ritorno.
Germogli del mal seme
35Crebbe il tristo terren le idee novelle;
Compresso indarno, freme
Tra i nuovi ceppi il popolo ribelle,
E poi che in cor gli agonizzò la fede
Non più la libertà, ma il pan ci chiede.
40E grida: «Senza gioia e senza luce,
Martiri del lavoro e degli stenti,
Moriamo e il pane ancor ci si rifiuta,
Aprimmo il solco e non per noi produce,
Altri ha le lane e noi guardiam gli armenti,
45Altri ha la messe e noi l’abbiam mietuta.
Nuovo un tiranno i servi suoi riduce
A maledir la vita
E, come bruti a litigar le ghiande;
Ci calca inferocita
50La gente nuova che facemmo grande,
Ma lieto il dì della riscossa arriva:
Corriamo all’armi e la giustizia viva!»
Deh! soccorri, o Signor! Più non ci giova
Rinnovar le catene ed i tormenti
55O sfrenar birri alle cercate stragi.
Troncata l’idra i capi suoi rinnova
E i pubblicani ed i giudei dolenti
Tremano su gli scrigni e nei palagi
Dove il tripudio del goder si prova.
60La turba macilente
Accorre e di morir non ha paura
Poi che, soffrendo, sente
Che a lei la vita e non la morte è dura...
Deh, Signor, ci soccorri e se al desio
65Mancan le Guardie, ci difenda Iddio!
E se il tuo Dio ci costa, a noi che importa
Quando i ribelli al timor suo riduce
E delle turbe ci ridà il governo;
Quando agli eletti suoi l’ausilio porta,
70Quando tra i volghi creduli conduce
L’util minaccia ed il terror d’inferno
Ed ha il demonio pauroso a scorta?
Ben venga Iddio se reca
Fede agli umili, securtà ai possenti,
75L’obbedienza cieca,
Il catechismo, i preti, i sacramenti,
De’ frati tuoi la sacrosanta loia,
Il Sant’Ufficio, la mordacchia e il boia.
Ben vedi che timor, non cortesia,
80I magistrati nostri a’ piè ti caccia
Inginocchiati a far debita ammenda.
Ieri nemici, ognun di lor fuggìa
Fino il pretesto di guardarti in faccia
Ma la tema del poi gli animi emenda
85Ed eccoli a gridar Gesù e Maria.
Reca dunque, o Levita,
Benedetti dal ciel giorni soavi
Alla città pentita,
Al Senator che te ne dà le chiavi;
90Stringi la briglia nella man paterna
E questo popol tuo reggi e governa.
Canzon vanne alla sede
Del Pastor cui fu porto
Omaggio di paura e non di fede.
95Egli è saggio ed accorto
E se ben tu lo guardi
Gli leggerai nel viso: «È troppo tardi!»