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argia sbolenfi 139


Un tempo, e ben lo sai, morta di fame,
     15Schiava del tuo stranier temprò la plebe
     Ceppi a se stessa su la propria incude:
     Pe’ sacerdoti tuoi le turbe grame
     Reser feconde le sudate glebe
     E sul solco natio caddero ignude
     20Ai campi della Chiesa util letame;
     Ma un Dio consolatore
     Da’ sacri templi a lor dicea: «Soffrite,
     Turbe nate al dolore
     E che felici nel dolor morite,
     25Poi che v’aspetta in ciel di Dio il sorriso
     E sol de’ tribolati è il paradiso».

Dolci tempi, o Signor, ma triste il giorno
     In cui la libertà disse il suo nome
     La prima volta nella rea Parigi,
     30Poi che le turbe allor volsero intorno
     Torbido l’occhio e scossero le some
     Brandendo l’armi ad operar prodigi
     Di che all’anime pie duro è il ritorno.
     Germogli del mal seme
     35Crebbe il tristo terren le idee novelle;
     Compresso indarno, freme
     Tra i nuovi ceppi il popolo ribelle,
     E poi che in cor gli agonizzò la fede
     Non più la libertà, ma il pan ci chiede.