Rime di Argia Sbolenfi/Libro primo/Il lamento del prigioniero
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IL LAMENTO DEL PRIGIONIERO1
Cadea la notte. Già il cancelliere
Avea degli atti chiuso il volume
E il Presidente disse all’usciere:
4«Portate il lume!»
Non un sussurro s’udia nel Foro,
Nemmeno un lieve ronzar d’insetto,
Quando, calzati gli occhiali d’oro,
8Lesse il verdetto,
E disse: «Vista la legge, udita
La parte avversa, pesati i danni,
La pena è questa: — Galera in vita
12Per quarant’anni».
Briscola! Quando mi sentii preso
Così da questa sentenza infame,
Cascai per terra lungo e disteso
16Come un salame.
E il giorno dopo due immense palle
Recar dovetti per ogni dove,
E mi fu scritto dietro le spalle
20«69»
Quante ferriate nella finestra!
Quanti bigatti nel mio pan nero!
Quanti fagioli nella minestra
24Del prigioniero!
Ed il mobilio? Ecco un saccone
Dove gl’insetti tengon cappella
E per... (s’intende) là in quel cantone
28C’è la mastella.
Sono vestito di panno grosso
Con un stifelius tagliato male,
E la catena che porto addosso
32Pesa un quintale.
Con una lima, frega e rifrega,
Potrei scappare non osservato...
Ah, se potessi farmi una sega
36Sarei beato!...
O giornalisti, da sera a mane
Vi sia presente questo mio stato.
Un per finire fatto da cane
40M’ha rovinato!
Note
- ↑ Parla il direttore della effemeride citata, il quale era accusato di aver commesso un per finire diffamatorio, mentre non era che un cretino. Il processo andò a monte.