Rime (Guittone d'Arezzo)/Ahi Deo, che dolorosa
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VII
Gli è grave rivelare il suo profondo dissenso con Amore.
Ahi, Deo, che dolorosa
ragione aggio de dire,
che, per poco, partire
non fa meo cor, solo membrando d’ella!
5Tant’è forte e angosciosa,
che certo a gran pena
aggio tanto de lena,
che for tragga de bocca la favella:
e tutta via tanto angosciosamente,
10che no mi posso giá tanto penare,
ch’un solo motto trare
ne possa enter, parlando in esta via;
ma che pur dir vorria,
s’unque potesse, lo nome e l’effetto
15del mal, che sí distretto
m’ave a sé, che posar posso neente.
Nome, lasso!, ave Amore:
ahi, Deo, ch’è falso nomo,
per ingegnare l’omo,
20che l’effetto di lui crede amoroso!
Venenoso dolore,
pien di tutto spiacere,
forsennato volere,
morte al corpo ed a l’alma lo coso;
25ch’è ’l suo diritto nome en veritate.
Ma lo nome d’Amor pot’om salvare,
ché, secondo me pare,
«amore» quanto «ah, morte» vale a dire;
e ben face amortire
30onore, prode e gioia, ove se tene.
Ahi, com’è morto bene
cui ha, sí come me, in podestate!
Prencipio è de l’effetto
suo, che saver mi tolle;
35e me fa tutto folle,
smarruto e tracoitato malamente.
Per ch’a palese è detto
ca eo son forsennato,
sí son disonorato
40e tenuto noioso e dispiacente.
E me e ’l meo in disamore ho, lasso!,
ed amo solo lei, che m’odia a morte:
dolor piú ch’altro forte,
e tormento crudele ed angoscioso,
45e spiacer sí noioso,
che par mi sfaccia lo corpo e lo core,
sento sí, che ’l tenore
propio non porea dir; per ciò me lasso.
Amore, perché tanto
50se’inver mene crudele,
poi son te sí fedele,
ch’eo non faccio altro mai che ’l tuo piacere?
E con pietoso pianto
e con umil merzede
55ti so’ stato a lo piede
ben fa quint’anno a pieta cherere,
adimostrando sempre el dolor meo:
che (sí crudele è la merzede umana)
fera no è sí strana,
60che non fosse venuta pietosa;
e tu pur d’orgogliosa
manera se’ ’nver me sempre restato:
und’eo son disperato,
e dico mal, poi ben valer non veo.
65Orgoglio e villania
varrea piò forse ’n tene,
che pietanza o merzene:
per ch’e’ voglio oramai di ciò far saggio.
Ch’e’ veggio spesse via
70per orgoglio atutare
ciò che merzé chiamare
non averea di far mai signoraggio.
Però crudele villano e nemico
seraggio, amor, sempre ver’ te, se vale;
75e, se non peggior male
ch’eo sostegno or non posso sostenere,
farai me a dispiacere
mentre ch’eo vivo quanto piò porai;
ch’eo non serò giá mai
80in alcun modo tuo leale amico.
O no amor, ma morte,
quali e quanti dei pro
e d’onore e di pro
hai giá partiti e parti a malo engegno!
85Ché gioi prometti forte
donando adesso noia;
e, se talor dài gioia,
oh, quanto via piggior che noi la tegno!
Ch’omo che vent’ha peggio che perta a gioco
90è, secondo ciò pare;
perch’eo biasmare te deggio e laudare:
biasmar di ciò, che miso al gioco m’hai,
ov’ho perduto assai;
e laudar, che non mai vincer m’hai dato,
95perch’averea locato
lo core in te giocando; e or lo sloco.
Amor, non me blasmar, s’io t’ho blasmato,
ma la tua fellonesca operazione;
ché non ha giá ladrone
100de che biasmi signor ch’ha lui dannato,
ma da sentirli grato,
se merta morte e per un membro è varco;
com’io te de lo marco
de lo mal tuo non ho grano un pesato.
105Valente donna, or par vostra valenza:
ch’amor, cui teme onne vivente cosa,
tèmevi sí, non osa
mettersi in voi; e da poi me non poe
cosa altra dar, né cioe,
110or vi starebbe ben mercede avere!
Ch’adobleria il valere
di voi e ’l grado mio forte in piacenza.