Rime (Dante)/LXXXII - Le dolci rime d'amor ch'i' solia

LXXXII - Le dolci rime d'amor ch'i' solia

../LXXXI - Amor che ne la mente mi ragiona ../LXXXIII - Poscia ch'Amor del tutto m'ha lasciato IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% letteratura

Dante Alighieri - Rime (XIII secolo)
LXXXII - Le dolci rime d'amor ch'i' solia
LXXXI - Amor che ne la mente mi ragiona LXXXIII - Poscia ch'Amor del tutto m'ha lasciato
Rime allegoriche e dottrinali

 
Le dolci rime d’amor ch’i’ solia
cercar ne’ miei pensieri,
convien ch’io lasci; non perch’io non speri
ad esse ritornare,
5ma perché li atti disdegnosi e feri

che ne la donna mia
sono appariti m’han chiusa la via
de l’usato parlare.
E poi che tempo mi par d’aspettare,
10diporrò giù lo mio soave stile,

ch’i’ ho tenuto nel trattar d’amore;
e dirò del valore,
per lo qual veramente omo è gentile,
con rima aspr’e sottile;
15riprovando ’l giudicio falso e vile

di quei che voglion che di gentilezza
sia principio ricchezza.
E, cominciando, chiamo quel signore
ch’a la mia donna ne li occhi dimora,
20per ch’ella di se stessa s’innamora.

Tale imperò che gentilezza volse,
secondo ’l suo parere,
che fosse antica possession d’avere
con reggimenti belli;
25e altri fu di più lieve savere,

che tal detto rivolse,
e l’ultima particula ne tolse,
ché non l’avea fors’elli!
Di retro da costui van tutti quelli
30che fan gentile per ischiatta altrui

che lungiamente in gran ricchezza è stata;
ed è tanto durata
la così falsa oppinion tra nui,
che l’uom chiama colui
35omo gentil che può dicere; ’Io fui

nepote, o figlio, di cotal valente’,
benché sia da niente.
Ma vilissimo sembra, a chi ’l ver guata,
cui è scorto ’l cammino e poscia l’erra,
40e tocca a tal, ch’è morto e va per terra!

Chi diffinisce: ’Omo è legno animato’,
prima dice non vero,
e, dopo ’l falso, parla non intero;
ma più forse non vede.
45Similmente fu chi tenne impero

in diffinire errato,
ché prima puose ’l falso e, d’altro lato,
con difetto procede;
ché le divizie, sì come si crede,
50non posson gentilezza dar né tòrre,

però che vili son da lor natura:
poi chi pinge figura,
se non può esser lei, non la può porre,
né la diritta torre
55fa piegar rivo che da lungi corre.

Che siano vili appare ed imperfette,
ché, quantunque collette,
non posson quietar, ma dan più cura;
onde l’animo ch’è dritto e verace
60per lor discorrimento non si sface.

Né voglion che vil uom gentil divegna,
né di vil padre scenda
nazion che per gentil già mai s’intenda;
questo è da lor confesso:
65onde lor ragion par che sé offenda

in tanto quanto assegna
che tempo a gentilezza si convegna,
diffinendo con esso.
Ancor, segue di ciò che innanzi ho messo,
70che siam tutti gentili o ver villani,

o che non fosse ad uom cominciamento;
ma ciò io non consento,
ned ellino altressì, se son cristiani!
Per che a ’ntelletti sani
75è manifesto i lor diri esser vani,

e io così per falsi li riprovo,
e da lor mi rimovo;
e dicer voglio omai, sì com’io sento,
che cosa è gentilezza, e da che vene,
80e dirò i segni che ’l gentile uom tene.

Dico ch’ogni vertù principalmente
vien da una radice:
vertute, dico, che fa l’uom felice
in sua operazione.
85Questo è, secondo che l’Etica dice,

un abito eligente
lo qual dimora in mezzo solamente,
e tai parole pone.
Dico che nobiltate in sua ragione
90importa sempre ben del suo subietto,

come viltate importa sempre male;
e vertute cotale
dà sempre altrui di sé buono intelletto;
per che in medesmo detto
95convegnono ambedue, ch’en d’uno effetto.

Onde convien da l’altra vegna l’una,
o d’un terzo ciascuna;
ma se l’una val ciò che l’altra vale,
e ancor più, da lei verrà più tosto.
100E ciò ch’io dett’ho qui sia per supposto.

E’ gentilezza dovunqu’è vertute,
ma non vertute ov’ella;
sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella,
ma ciò non e converso.
105E noi in donna e in età novella

vedem questa salute,
in quanto vergognose son tenute,
ch’è da vertù diverso.
Dunque verrà, come dal nero il perso,
110ciascheduna vertute da costei,

o vero il gener lor, ch’io misi avanti.
Però nessun si vanti
dicendo: ’Per ischiatta io son con lei’,
ch’elli son quasi dei
115quei c’han tal grazia fuor di tutti rei;

ché solo Iddio a l’anima la dona
che vede in sua persona
perfettamente star: sì ch’ad alquanti
che seme di felicità sia costa,
120messo da Dio ne l’anima ben posta.

L’anima cui adorna esta bontate
non la si tiene ascosa,
ché dal principio ch’al corpo si sposa
la mostra infin la morte.
125Ubidente, soave e vergognosa

è ne la prima etate,
e sua persona adorna di bieltate
con le sue parti accorte;
in giovinezza, temperata e forte,
130piena d’amore e di cortese lode,

e solo in lealtà far si diletta;
è ne la sua senetta
prudente e giusta, e larghezza se n’ode,
e ’n se medesma gode
135d’udire e ragionar de l’altrui prode;

poi ne la quarta parte de la vita
a Dio si rimarita,
contemplando la fine che l’aspetta,
e benedice li tempi passati.
140Vedete omai quanti son l’ingannati!

Contra-li-erranti mia, tu te n’andrai;
e quando tu sarai
in parte dove sia la donna nostra,
non le tenere il tuo mestier coverto:
145tu le puoi dir per certo:

"Io vo parlando de l’amica vostra".
 

[Convivio IV]