Rime (Andreini)/Sestina I
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Sestina I.
E sorgerà dal Mar Febo la sera,
E fiori produrran le secche piante,
Ed Echo sarà muta à gli altrui versi,
Che la nemica mia contraria sorte
Resti un dì sol di tormentarmi il core.
Nè fia mai, che la fiamma del mio core
Tempri di quell’altier la fredda neve.
Piangerò dunque (ahi dispietata sorte)
Da un’alba à l’altra, e d’una à l’altra sera;
E con gli afflitti miei ruvidi versi
Andrò noiando e Fere, e Sassi, e Piante.
Tante frondi non son per queste piante
Quant’io porto saette affisse al core;
Nè fede può, nè servitù, nè versi,
Nè l’arder (lassa) à la più algente neve,
Nè ’l vedermi languir mattino, e sera
Far, che’ei muti pensiero, io cangi sorte.
Perch’altri intenda la mia fiera sorte
Scriverò per li sassi, e per le piante,
Ch’al nascer del mio dì giunse la sera
Colpa di lui, ch’eternamente il core
Portò coperto d’indurata neve
Non curando ’l mio duol, l’amore, o i versi.
Traggon dal Ciel la fredda Luna i versi,
Rendon benigna altrui l’iniqua sorte,
Fanno da calde fiamme uscir la neve,
Fermar l’onde fugaci, andar le piante,
Cangiar il chiaro giorno in fosca sera
Per me render non puon men’aspro un core.
Morendo vive per mia doglia il core,
Parlando perdo le parole, e i versi,
Rido piangendo, e ’l dì vado, e la sera
Pascendo l’alma in così dura sorte;
E voi sapete la mia fede ò piante
Superar di candor la pura neve.
Ma se di neve un’agghiacciato core
Scaldar non puon per queste piante i versi
Giunga ò mia sorte homai l’ultima sera.