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Quisquis es Sonetto I

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All’Illust.mo & Rev.mo mio Sig.re e patron col.mo

IL SIG·CARD·S·GIORGIO CINTHIO ALDOBRANDINI.



E dovessero le persone private con egual cambio pareggiar i favori de’ Principi, dubbio non è, ch’essendo questa troppo faticosa, e disegual impresa alle forze loro, dovrebbono più tosto desiderar le grazie, che vedersi di quelle arricchite; non è però che s’habbiano da porre in oblìo, perche questa sarebbe espressa ingratitudine; e non si trova cosa, che da così fatto vizio ne difenda; ond’io, che oltre ogni mio merito sono stata da V.S. Illustrissima, e Reverendissima favorita non una volta, ma molte, e molte; comech’io sin da principio sgombrassi dalla mente ogni pensiero, ed ogni speranza di poter giamai agguagliar i suoi favori: tuttavia non ho mancato di pensar meco stessa, e d’ingegnarmi per trovar cosa, ond’almeno io potessi mostrarmene ricordevole; e son’andata hor questa, ed hor quella scegliendo, nè mai mi son’appigliata ad altra, che à questa delle mie Rime; nè meno havrei [p. x modifica]havuto ardir di prenderla, conoscendo, ch’ella è troppo humile alla sua grandezza, quand’io non sapessi, che non per altro à lei hò voluto dedicarle, che perch’ella conosca, ch’io serbo memoria delle grazie ricevute, e per segno della riverenza, ch’io le porto. oltre che m’è parso ancora, non dirò convenevole, ma necessario (dovend’io à persuasione di molti mandarle alla luce del Mondo) il consacrarle non ad altrui, che à V. S. Illustriss. & Reverendiss. vero Tempio della Virtù, e dell’Honore, ed à questo fare m’ha confortata non poco il perito legislator Ligurgo, il quale nelle sue ben composte Leggi ordinò, che quei doni, che sacrificando s’offerivano à gli Iddij fossero poveri, e semplici, accioche più facilmente potessero da ciascheduno esser honorati. Dunque non sarà sconvenevole, s’à voi gran CINTHIO, che per l’altezza dello stato, e per la ’nfinita virtù altro quasi non sete, che un terreno Dio, col giudizio del quale si fa bello il Mondo, appresento, e sacro questo mio picciol dono; picciolo inquanto à voi mio Signore; poiche non è cosa per grande, che sia, ch’a vostri meriti contraposta non appaia picciola; ma non già tale inquanto à me, poiche nè più cara, nè più pregiata cosa haveva io da donare à V. Sig. Illustrissima e Reverendiss. essendo questi componimenti (quali siano) parti di quel poco ingegno, ch’è piacciuto alla divina bontà di concedermi; e però da me amati in quella stessa guisa, che s’amano i propri figli; ne i quali non pur si tien caro il bello, e ’l buono, ma l’istesse macchie, e difetti aggradiscono, e piacciono; e se à grandezza di quelli tutto ardisce il Padre, e tenta il tutto, perche io, che sola à questi miei figli son Padre, Madre, e Nutrice non doverò [p. xi modifica]tentare à grandezza ed a gloria loro di rischiarargli à raggi divini di voi lucidissimo Sole, dallo splendor del quale possono ricever perpetuo lume? ricevagli dunque la sua benignità; e se le pareranno per avventura indegni dell’altezza de’ suoi pensieri (come quella, ch’è sempre intenta à cose sublimi) iscusimi appresso di lei la materna pietà, che ’l bene della suo prole continuamente desidera; e gradisca, e lodi in me se non altro l’accorto, e saggio avvedimento, havendo con giudizio eletto alle mie debili, ed oscure composintioni un così forte, e lucido appoggio, e per fine humilissima le m’inchino.

Di Milano il di 22. Settembre 1601.

          Di V.S. Illustriss. e Reverendiss.

                                                            Devotiss. serva

                                                                                Isabella Andreini. [p. xii modifica]

AL MEDESIMO.



P
ER lunge trargli da mortale scorno

A voi CINTHIO consacro i versi miei,
     A voi trà purpurati Semidei
     Chiaro viè più di chi n’adduce il giorno.
Con voi fà la Virtù sempre soggiorno,
     Anzi risplende in voi l’alma di lei,
     E dispiega pomposa i suoi trofei
     Per far d’eterna gloria il mondo adorno;
Saggia d’eccelso Heroe dunque son’io
     Fatta (indegna no’l nego) ombra verace
     Cui seguo, e da cui solo attendo aìta.
Di sì gran nome armata il cieco oblìo
     Non tem’io nò, che vinto il Tempo edace
     Starommi ogn’hor con queste Rime in vita.