Rime (Andreini)/Canzonetta morale VIII
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Instabilità delle cose humane.
Canzonetta Morale VIII.
Ch’io temei non di Pirra il tempo ancora
Tornasse, quando de le nubi fuora
Spuntando il Sol fuggìo l’oscuro velo;
E scorto hò ancor gonfio d’orgoglio il Mare
Minacciar morte, e poi l’humide ciglia
Tranquillar sì, che sua muta famiglia
Potèasi annoverar per l’onde chiare.
Questi vari, ed instabili accidenti
Mostran Borgogni pur, che ’l mal, e ’l bene
Loco si dan, ma son maggior le pene,
Ma son gli affanni al dipartir più lenti.
Quegli, ch’a i Medi, à gli Indi, à i Parthi diede
Terror sovente, ancor sovente il petto
Gravò, meno d’acciar, che di sospetto;
Poiche Fortuna unquà non serba fede.
Però chi splende per sublime altezza,
Che ’n mano e l’altrui vita, e l’altrui morte
Sostien; deh non l’inganni amica sorte.
Fugge qual lampo il fasto, e l’alterezza.
Se ’l minor di lui teme, à lui minaccia
Poscia il maggior, qual Regno in terra spande,
O qual Impero il Tuo poter sì grande,
Ch’altro Impero maggior temer no’l faccia?
Quel giorno, ch’ei ridente honora tanto,
Che l’have trà Corone, e scettri avvolto
Girando il Sol l’obliqua fascia, (ahi stolto)
Al suo ritorno troverallo in pianto.
Non vuol il Ciel, che sempre un viso stesso
L’huom serbi; ond’è che i giorni atri, e sereni
Hora d’angosce, & hor di gioia pieni
Al Servo, al Rè stanno egualmente appresso.
E chi Borgogni mio ne l’infelice
Mondo fù sì beato, che partendo
Il Sol potesse dir del Gange uscendo
Qual mi lasciò mi troverà felice?